“QUANDO IL VENTO APPENA SOFFIAVA”
Il Fado, Lisbona, la letteratura
(seconda parte)
Sebbene lo giudichino poco rispettabile, gli autori romantici portoghesi non nascondono la propria simpatia nei confronti del fado. Basteranno pochi decenni, però, e i letterati della generazione degli anni ’70 del XIX secolo assumeranno ben altro atteggiamento e ne prenderanno le distanze. Il fadista, nei loro romanzi, diventa il simbolo di sentimentalismi eccessivi ed è rappresentato come un modesto poeta di provincia, avvezzo a facili rime e ad ancor più facili patriottismi. È quanto possiamo trovare in L’illustre casata dei Ramires di José Maria Eça de Queirós che, però, in una lettera (1884) confessa di provare “un gusto depravato per il fadinho” oltre che un “giusto amore per il baccalà con la cipollata”[1].
Sul fado si spara anche da più fronti politici: da parte dei radicali, che, impegnati in una battaglia per la «rigenerazione del Portogallo», lo accusano di diffondere uno spirito di rassegnazione nei confronti dello status quo, e da parte dei conservatori, che ne sottolineano l’immoralità. D’altra parte, i rappresentanti di entrambi i campi appartengono alla stessa élite culturale e sociale.
Col secolo nuovo, che nel 1926 è segnato dal colpo di stato militare, il fado cerca di costruirsi un’immagine austera e convenzionale, che escluda ogni riferimento alla marginalità, da sempre inviso ai suoi oppositori. Lo fa in locali totalmente dedicati, abbracciando alcuni cliché tematici, primo fra tutti quello della disgrazia. Ma nemmeno questo basta a farlo assolvere dagli intellettuali dell’epoca. Nel 1930, José Gomes Ferreira (1900-1985), poeta, scrittore, musicista e giornalista, nonché attivista antifascista, raccontando della propria esperienza in uno di questi locali, con una buona vena di umorismo scrive: “Il chitarrista e il suonatore di chitarra portoghese entrarono con ritmi da funerale. Poi il cultore della canzone nazionale, vestito di nero, pallido, sinceramente triste, fece la sua apparizione. Ci fu un sussurro religioso. Tutti si prepararono a soffrire comodamente. Quel ragazzo smilzo con le basette cadde in estasi. Le lacrime erano già pronte per ogni evenienza. Silenzio! E il fadista cominciò a raccontare la storia di quella madre che chiese alla Madonna la grazia di dare nuovi occhi alla figlia cieca! Poi descrisse gli orrori della Grande Guerra! In seguito insistette sull’evocazione dei feriti di un ospedale, mutilati, lontani dalle proprie mamme. E finì col dire, in versi ingenui, il dramma di quella ragazza perduta che prese una coltellata quando stava per rigenerarsi. Tutto in re minore! La voce era armoniosa e insinuante. I frequentatori di quella «casa per soffrire» lasciarono cadere le lacrime, godevano, soffrivano, sollevavano le mani afflitte. Che bello! Eravamo portoghesi ed eravamo lì tutti insieme, a meditare sulle miserie del mondo, e a dimenticarci del sole, degli alberi e del mare!”[3].
Nel 1932, António de Oliveira Salazar, già Ministro delle Finanze, diventa Presidente del Consiglio e lo resterà fino al 1968, anno in cui, a causa di un incidente che lo renderà inabile, dovrà lasciare il posto a Marcelo Caetano. Nonostante qualche tentativo fadista di assecondare il regime, il genere non piace nemmeno al dittatore, che confida alla giornalista francese Christine Garnier di giudicarlo piuttosto “deprimente” e pericolosamente proletario. Il fado, poi, è la “canzone dei vinti” e non rientra nell’ideologia trionfante del salazarismo dei primi tempi.
Amália Rodrigues è la protagonista assoluta del rinnovamento della tradizione fadista. La sua carriera inizia alla fine degli anni ’30 del Novecento e pochissimi anni dopo ha già assunto carattere internazionale.
Nel 1955, Amália approda ai versi di David Mourão-Ferreira (1927-1996), allora giovane poeta, in seguito una tra le glorie della letteratura portoghese. Docente di Filologia Romanza all’Università di Lisbona, giornalista, Ministro della Cultura (1976-1979) in un Governo nato a seguito della Rivoluzione dei Garofani del 1974, Mourão-Ferreira scrive anche per un altro grande cantante di fado, Camané. Fin dalle prime battute di questa canzone, interpretata da Amália Rodrigues, è facile cogliere la profonda differenza tra i suoi versi e quelli dei poeti di tradizione popolare:
“Tutto l’amore che ci aveva catturati
Come fosse di cera
Si era rotto e sciolto.
Ahi, funesta primavera,
Avessi potuto, avessimo potuto
Morire quel giorno.
E mi condannarono a tanto
Vivere con me il mio pianto,
Vivere, vivere e senza te,
Vivendo senza, tuttavia,
Dimenticare quell’incanto
Che quel giorno persi.
Pane duro della solitudine
È l’unica cosa che ci danno,
L’unica cosa che ci danno da mangiare.
Che importa che il cuore
Dica sì oppure no
Se continua a vivere?
Tutto l’amore che ci aveva catturati
Si era rotto e sciolto,
In paura si trasformava.
Nessuno parli di Primavera,
Avessi potuto, avessimo potuto
Morire quel giorno”[4].
Amália Rodrigues prosegue nel percorso di profondo rinnovamento del fado, anche grazie all’incontro, al principio degli anni ’60, con Alain Oulman,
“Ho già detto addio a tanta terra, a tanta gente,
Non ho mai sentito il mio cuore così, ferito,
Inquieto sapendo che il tempo passa
E tu dimenticherai il nostro fado
Partenze,
Sempre più cupe, stanche,
Sono nuvole nere in un cielo blu,
Sono onde di naufragio in un mare profondo.
Nel mio deserto non vedo rifugio
Senza avere un amore in questo mondo.
Ma se tornerò e, come penso,
mi avrai dimenticata,
Cambio con un altro il cuore amareggiato.
Tenterò di non fare più castelli in aria
E mai più vivere un altro fado”
“Un giorno ero in tournée e mi presentarono Alain Oulman, che aveva composto una musica pensandomi: Vagamundo. La ascoltai e mi piacque. Ne seguirono altre ed andai contro la marea di persone che mi stavano intorno, che trovavano quella musica molto complicata. I chitarristi, effettivamente, dovettero imparare quelle armonie nuove che aveva portato Alain, armonie che non avevano niente a che vedere col Fado, dato che il Fado è povero in armonia. Ed io le ho cantate perché per me erano Fado. […] Ci fu molta gente che disse che io non cantavo più il Fado, che quello scritto da Alain non era Fado. (…) Alain mi ha portato un pubblico che non era mio ed allo stesso tempo ha allontanato un po’ l’altro pubblico che avevo. A cominciare dai chitarristi. José Nunes quando doveva suonare cose di Alain diceva sempre: «Andiamo a suonare le opere!»”[6].
Oulman ha origini francesi, radici ebraiche e nasce da una famiglia di operai. È un convinto ed attivo oppositore del regime di Salazar e viene arrestato dalla polizia politica, prima di essere espulso dal Paese (1966). Con lui Amália incide l’album Asas Fechada (Ali chiuse), in cui canta nuovamente le poesie di David Mourão–Ferreira e di Luís Macedo.
NOTE
[1] Cit. in Rui Vieira Nery, Il fado. Storia e cultura della canzone portoghese, Roma, Donzelli Editore, 2006, p. 128.
[2] Idem.
[3] Ibidem, p. 189.
[4] David Mourão-Ferreira, Segreto.
[5] Cit. in http://fadoportoghese.blogspot.it/2013/03/amalia-lincontro-con-alain-oulman-ed-il_22.html
[6] Idem.
[7] Idem.
PER APPROFONDIRE
BIBLIOGRAFIA
LANCIANI, Giulia (a cura di), Il Novecento in Portogallo, Roma, Universitalia, 2014.
PESSOA, Fernando, Poesie, Milano, Adelphi, 2013
TAVANI, Giuseppe (a cura di), Da Pessoa a Oliveira. La moderna poesia portoghese, Milano Edizioni Accademia, 1973.
TOCCO, Valeria, Breve storia della letteratura portoghese, Roma, Carocci, 2011.
LINK AUDIOVISIVI
https://www.youtube.com/watch?v=ZORp6bvUSj0
https://www.youtube.com/watch?v=L9fxt5Wbt40