La nuova estetica della popular music nei 50 anni di Rolling Stones

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GRRRPer celebrare i cinquant’anni di carriera, tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013, i Rolling Stones hanno rimesso in moto una macchina organizzativa degna dei tempi migliori.

Hanno pubblicato “Grrr”, un greatest hits che è la summa delle composizioni dei Glimmer Twins (alias Jagger e Richards), contenente due inediti e, a seconda delle versioni, dalle cinquanta alle ottanta tracce, più vari bonus come, ad esempio, registrazioni da Ep in vinile;“Crossfire Hurricane”, il documentario che celebra la storia del gruppo; il dvd del Live in Chicago del 1981 con Muddy Waters e il libro “The Rolling Stones 50”, una biografia fotografica composta da molto materiale inedito (in Italia è uscito per Rizzoli). A Londra è stata inaugurata la mostra “Brown sugar on Main Street: unseen images of the Rolling Stones”. I due soli concerti – a Londra e New York – organizzati per il cinquantennale hanno registrato il tutto esaurito e hanno visto avvicendarsi sul palco molte star a celebrare la grande rock band inglese: da Springsteen a Clapton, da Lady Gaga ai Black Keys, da Wyman a Tylor (i due ex del gruppo).

La storia e la presenza sulle scene dei Rolling Stones ci spinge, in un certo senso, a ridefinire la categoria stessa di rock’n’roll e, in generale, di musica leggera (come la chiamiamo noi).

È il principio di una nuova rottura con una percezione ormai tradizionale e tradizionalizzata?

Se così fosse, vale forse la pena lasciarsi trasportare dall’idea. E provare a svilupparla in queste righe.

Oggi i Rolling Stones sono gli unici reduci del pionierismo rock degli anni Sessanta: attivi, in forma, pieni di voglia e ancora aderenti, nonostante cinquant’anni in più, alla sagoma e alla mitologia della rockstar perfetta. Anzi imperfetta, contraddittoria. Borderline.

E proprio oggi la loro imperfezione ci fa allungare il collo e misurare il riverbero che il fenomeno ha sul piano estetico oltre che musicale. A settant’anni, infatti, gli Stones non solo continuano a integrare, con segni riconoscibili, il frasario della musica leggera, ma soprattutto contribuiscono a ridefinire un’iconografia rancida che celebra tradizionalmente solo i grandi musicisti del passato (meglio se morti giovani e nel pieno dell’estro e dell’irriverenza).

In questo nuovo quadro possiamo leggere il rock’n’roll come un fenomeno popolare in evoluzione e non solo come il vettore di una rivoluzione. La parabola che è giunta fino a noi ritorna alla bocca scimmiesca e al corpo-frusta di Jagger, alla Gretsch di Charlie Watts (un jazzista che suona con un solo tom fin dall’inizio ma con una tecnica unica – zoppa, interrotta e prorompente – che ha determinato il sound della band) e, infine, alle mani di Keith Richards, ingrossate e deformi (come quelle di tanti musicisti popolari fotografati dagli etnomusicologi).

E se nell’opinione comune è permeata la valutazione riduttiva che incastra il genere (con scarsa attenzione ai relativi sottogeneri e articolazioni) nelle categorie dell’immaturità e della spregiudicatezza, agli occhi di molti il rock’n’roll è maturato e non è più soltanto la fiamma necessaria al cambiamento o all’alternativa all’establishment. Questo paradigma calzava sulla società e la cultura degli anni Sessanta. Oggi quella musica che apparve incomprensibile ai vecchi (e ad alcuni giovani) di allora – e che li lasciò sospesi in un tempo trascorso per sempre e imbavagliati dentro un codice ormai quasi incomprensibile – ha più proseliti di qualsiasi altro genere musicale e ha sviluppato soluzioni senza precedenti, sia sul piano musicale che del costume.

E ancora oggi nuovi strati si sovrappongono al nervo che avevano scosso i pionieri: la musica che per definizione sembrava destinata a una delirante ed eterna giovinezza è matura, ma gli innovatori continuano a proporci combinazioni interessanti, perché la materia prima è ancora duttile e ci si può lavorare.

Come ha dichiarato Mick Jagger, alla nostra età possiamo ancora permetterci di tener fede a due dei principi totemici della vita on the road, e cioè il sex e il rock’n’roll. Abbandoniamo giocoforza la droga ma, per quanto si perda qualcosa in poesia e decadenza, siamo più che soddisfatti e soprattutto in grado di bilanciare.