Antonello Messina: la fisarmonica come una mongolfiera

609

Antonello MessinaMusicista brillantemente poliedrico, Antonello Messina è un fisarmonicista, pianista e compositore rinomato e apprezzato in tutto il mondo. Profondo conoscitore della tradizione jazzistica, il suo pervasivo  playing è raffinatamente speziato, imperlato da apollinee colorazioni world music, mediterranee ed ethno jazz. Autore di un nuovo disco intitolato Polyfemo, attraverso questa intervista racconta il suo vissuto umano e artistico.

Sei un musicista particolarmente eclettico, a tutto tondo. Quando e perché hai deciso di focalizzare la tua attenzione sulla fisarmonica?

 

(Foto di Flavia Trachsel)

La fisarmonica è come una mongolfiera, puoi gonfiarla d’aria e viaggiare. Il senso e l’istinto di libertà hanno prevalso su quello che per me raffigura un monumento grandioso e a tratti statico: il pianoforte.

Sei stato protagonista anche all’interno di alcune prestigiose produzioni teatrali. Come sono nate queste prolifiche collaborazioni?

Come per tutte le cose importanti, per caso e non a caso. Negli ultimi anni ho lavorato con il “Teatro della Città di Berna”, ma anche con quello di Zurigo. Cercavano qualcuno che potesse velocemente trasporre dal piano alla fisarmonica e suonare sul palcoscenico da solo, un unico musicista in mezzo a centinaia di altre maestranze. Ho appena partecipato anche a un film, Gotthard, una sorta di colossal europeo, dove suono la fisarmonica. Qualcuno, in Polonia, ha fatto il mio nome e mi hanno cercato. Funziona così, talvolta, spesso per  fortuna.

Spesso e volentieri, oltre all’Europa, ti esibisci in Giappone riscuotendo sempre numerosi consensi da parte del pubblico. Che tipo di rapporto instauri con gli ascoltatori giapponesi?

È un pubblico attento, educato, interessato. A fine concerto non c’è un solo spettatore che non acquisti il disco. Si può volere di più?

Che considerazione hanno gli uditori del Sol Levante dei musicisti italiani e, nello specifico, dei jazzisti nostrani?

Negli ultimi 30 anni tutti volevano suonare in Giappone, meta soprattutto dei jazzisti americani. Oggi c’è più selezione a seguito di tanta, troppa offerta. C’è molto entusiasmo per tutto ciò che rappresenta l’Italia, come in ogni parte del mondo. I pochi jazzisti italiani che oggi suonano in Giappone sono quelli che comunque godono della visibilità anche ad altre latitudini. Sono musicisti che, nel corso degli anni, hanno costruito e intrecciato rapporti di collaborazione su più fronti. Generalmente hanno spalle forti e marketing efficiente.

Quali sono le principali analogie e le differenze sostanziali tra il pubblico europeo e quello asiatico?

Forse una minuscola dose di compostezza. Gli asiatici, a fine concerto, si avvicinano con timidezza e reverenza, tirano fuori uno smartphone ipertecnologico e si concedono una foto e la firma sul disco, ma poi spariscono. Gli europei, invece, ti mollano una pacca sulla spalla e ti aspettano al bar. A me piacciono entrambi.

Tra le svariate collaborazione che figurano nel tuo ricco palmares vi è quella con il percussionista israeliano Zohar Fresco. Come è nato l’incontro e il sodalizio artistico con questo musicista?

Zohar è un musicista fuori dal comune. Conosco pochi musicisti che spendono tanta concentrazione, reverenza e studio. La nostra collaborazione inizia attraverso un video su Youtube. Un amico comune lo aveva contattato per invitarlo a suonare come ospite, spedendogli un filmato dove suonavo anche io. Lui ha ricontatto il mio amico chiedendogli il mio numero di telefono. Poi, in occasione di un mio tour in Israele, ho partecipato alla registrazione del suo nuovo disco. Abbiamo fatto una splendida serie di concerti insieme. Personalmente credo che sia uno dei migliori percussionisti al mondo. È stato un piacere enorme suonare con lui.

Esiste un musicista in particolare, con cui hai condiviso il palco, al quale sei profondamente legato dal punto di vista umano?

Non ho dubbi: Paul McCandless. Con Paul c’è sempre qualcosa da apprendere dentro e fuori dal palco, ad esempio il rispetto incondizionato che dimostra verso i suoi colleghi musicisti. Prima, durante e dopo il concerto.

Non sei solo un fisarmonicista, ma anche un pianista e un fruttuoso compositore. Che ruolo ricoprono il pianoforte e la composizione nella tua vita?

Io compongo quasi esclusivamente al pianoforte e poi, eventualmente, traspongo per fisarmonica. Se facessi il contrario mi sentirei strettamente condizionato dalla letteratura fisarmonicistica. Componendo al pianoforte obbligo la fisarmonica a suonare fuori da schemi precostituiti.

Visto e considerato la tua sconfinata esperienza specialmente nelle vesti di fisarmonicista, quali consigli dispenseresti a un giovane che vuole cimentarsi con questo strumento?

Generalmente non amo dare consigli. Credo che si debba sbagliare da soli e da lì, empiricamente, ripartire e crescere. Se proprio dovessi azzardare qualche suggerimento direi di imparare diverse lingue, perché in futuro si dovrà viaggiare ancora di più rispetto a oggi e di lasciar perdere la competitività circense che affligge questo strumento. Esiste forse un campione mondiale di sassofono? Ci sono centinaia di campioni di fisarmonica e sovente mi chiedo quanti mondi esistono. Consiglierei a un giovane fisarmonicista di ascoltare i “vecchi” (Gumina, Fleming, Sash e tantissimi altri ancora). Questi hanno già detto tutto, 40 anni fa e meglio di chiunque altro. Gli consiglierei di amare la vita, perché tra questa e la fisarmonica c’è poca distanza.

Hai in mente di realizzare nuovi progetti discografici?

Ho appena registrato un nuovo album, in trio, in cui suono solo il piano.