Il punto di vista del compositore e concertista Marco Persichetti

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Marco Persichetti

Marco Persichetti si è diplomato in Pianoforte con Sergio Perticaroli e in Composizione con Guido Turchi e Irma Ravinale, presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma. Successivamente ha conseguito il Diploma in Direzione d’Orchestra con Francesco De Masi presso il Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli.

Come compositore ha ottenuto riconoscimenti in concorsi nazionali e internazionali e le sue opere sono eseguite in numerose rassegne e trasmesse in diversi palinsesti radiofonici, tra cui Radio Rai 3.

Ha scritto brani per sonorizzazioni televisive e radiofoniche, realizzando vari CD di musica strumentale e uno di musica classica per quartetto d’archi, “Rimembranze”, edito dalla Fonit Cetra. Si è dedicato alla musica applicata e per teatro vincendo, nel 1988, il 1° premio al Concorso Internazionale di Musica per film a Latina. Ha collaborato in teatro con registi quali Ugo Gregoretti e Patrick Rossi Gastaldi e con Maria Monti in veste di pianista, arrangiatore e autore di canzoni. Come pianista ha suonato in ambiente jazzistico, partecipando con il gruppo “Esperanto” a diversi festival e rassegne in tutta Italia e all’estero. 

È titolare della cattedra di Armonia e Analisi presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma.

 

 

Dalla Sua brillante carriera, emerge da un lato l’attività di concertista e dall’altro quella di compositore. Quale delle due strade è più impegnativa? Si può individuare un legame tra loro?

Penso che ogni carriera sia impegnativa quando si cerca di arrivare ad alti livelli; quella del compositore oggi è forse più problematica a causa del ruolo più limitato che la figura del compositore “colto” riveste nella società, o potremmo dire del suo minore riconoscimento, se paragonato alla popolarità raggiunta da cantanti, strumentisti o direttori d’orchestra. Per quanto riguarda i legami tra le due attività, quella di concertista e quella del compositore, erano ovvi e quasi imprescindibili fino a tutto l’800; oggi mi sembra che ci sia una separazione fra questi ambiti, che rimangono invece molto legati nel jazz e nelle varie correnti della “popular music”.

C’è stato un autore nella storia della musica che ha segnato un passaggio importante nella sua formazione musicale?

Ci sono stati due autori che sono alla radice del mio amore per la musica: George Gershwin e Claude Debussy; il primo lo ascoltavo in continuazione su dei dischi che avevamo in casa (mio padre ne era molto appassionato), e non è forse un caso se poi mi sono sempre interessato al jazz oltre che alla classica. Anche l’amore per Debussy viene dalla mia famiglia e nello specifico avevo una nonna che lo amava molto ed aveva un cofanetto con l’opera omnia per pianoforte… I miei primi tentativi di composizione ricercavano armonie ed atmosfere molto vicine alla sua musica. Poi sono venuti tutti i grandi classici, Bach in testa, e via via tutti gli altri… ma questi miei due “primi amori” mantengono un posto speciale nelle mie preferenze.

Oggi ci sono molte discussioni sul valore e il fascino della musica contemporanea, con opinioni divergenti che provengono anche dagli stessi conservatori. Come dobbiamo considerare questo genere musicale? 

Credo che la musica contemporanea oggi corra il rischio di diventare un po’… accademica ed autoreferenziale, perlomeno qui in Italia. Non c’è dubbio che in questo campo hanno operato ed operano, ancor oggi, musicisti di altissimo valore, che hanno molto ampliato gli orizzonti dell’ascolto e della creatività; tuttavia l’accademismo di cui parlavo nasce quando si vogliono mettere dei confini rigidi ed escludere tutto ciò che non rientra nel “politicamente corretto” dell’arte contemporanea… Ricordo le bacchettate che toccarono a Berio da parte della critica più intransigente quando osò (scandalo!) giocare con materiali popolari nei “Folksongs”… ed era Berio! Invece i grandi del passato avevano saputo conciliare l’elemento popolare con il linguaggio “alto”, e questa è – a mio parere – una componente essenziale della loro grandezza. A questo proposito ci sarebbe da fare anche un altro discorso: ma qual’è, veramente, la musica contemporanea? Forse dovremmo allargare lo spettro di questa definizione ad altre espressioni del nostro tempo, come la musica per film, il jazz, il rock ed il pop almeno dove esprimono una creatività autenticamente di livello… Anche in questi ambiti operano musicisti di alto valore ed in fondo la qualità della musica dipende da chi la fa.

Lei fa parte del consiglio accademico del conservatorio “Santa Cecilia” di Roma, in cui è docente. Qual è la situazione attuale dei conservatori in Italia? Quali crede siano gli aspetti da riformare, o comunque migliorare, in un’istituzione di tale prestigio?

Credo che i conservatori abbiano una grande tradizione da difendere e da tramandare, ma che si debbano al contempo saper evolvere ed aggiornare, evitando i due opposti pericoli: da una parte un atteggiamento retrogrado ed ostile al rinnovamento, dall’altra la smania di correre dietro a qualunque novità col rischio di disperdere anche il buono che c’era nella nostra consolidata esperienza didattica. Certamente è necessario aprirsi, con una intelligente strutturazione didattica, alle novità del mondo odierno. Oggi esistono realtà culturali e professionali del tutto sconosciute all’epoca in cui vennero definiti i conservatori, nella prima metà del 1900; tuttavia penso sia necessario molto buon senso e molta attenzione per far sì che quegli elementi di rigore, di serietà e di selettività che caratterizzavano il “vecchio” conservatorio possano confluire armoniosamente dentro una realtà didattica molto diversa.

Ha vissuto da docente il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento dei conservatori. Come giudica questa evoluzione?

Questo è un punto dolente; la transizione dal vecchio ordinamento al nuovo, delineato dalla legge 508, è così lunga e faticosa da dare fiato alle trombe di coloro che rimpiangono i “bei tempi” del vecchio conservatorio. Non c’è dubbio che molti problemi sollevati dal nuovo ordinamento (si pensi, solo per fare un esempio, al tema della istruzione pre-accademica) sono ancora in attesa di una adeguata soluzione, che potrà delinearsi – credo – solo in un arco di tempo adeguato. Anche il parallelo con le università non è privo di problemi, un po’ forse perché la nostra cultura e le nostre abitudini di docenti erano – e rimangono – in parte diverse, e un po’ perché l’apprendimento di un’arte (il “saper fare” opposto al solo sapere) ha delle caratteristiche particolari; molti studenti raggiungono un alto livello di abilità in un’età ancora liceale, quando non addirittura della scuola media. È l’aspetto dei cosiddetti “talenti precoci” che deve essere adeguatamente tutelato, perché è una risorsa preziosa. Alla nostra generazione spetta il faticoso compito dell’attraversamento di questa lunga transizione; compito arduo ma esaltante, perché ritengo che solo attraverso il nostro sforzo intelligente e creativo si può arrivare a dare pieno contenuto a questa riforma ed a superare tutti i problemi connessi, trasformandoli in una opportunità di crescita e di rinnovamento.

È stato commissario di giuria al prestigioso concorso “Contemporaneamente  Fisarmonica” di Roma. Che impressioni ha avuto di questo strumento? Come reputa il livello dei fisarmonicisti nell’attuale panorama musicale?

Devo dire che sono rimasto molto colpito nel constatare le grandi possibilità di questo strumento che prima non conoscevo a fondo, uno strumento che si adatta con grande versatilità sia alla grande letteratura organistica della tradizione, sia ai linguaggi ed alle sonorità della musica contemporanea.

Il livello dei musicisti mi è sembrato veramente molto alto, sia da parte degli studenti del nostro conservatorio, che hanno la fortuna di frequentare una scuola di altissimo livello, sia da parte degli studenti stranieri, soprattutto quelli provenienti dai paesi dell’Est, dove evidentemente la tradizione della fisarmonica è più lunga e consolidata. Direi quindi che nel panorama attuale i fisarmonicisti rappresentano un drappello piccolo ma molto agguerrito che, grazie alla qualità che sa esprimere, ha buone probabilità di imporsi all’attenzione generale.

Come sappiamo, la fisarmonica sta subendo un processo evolutivo in questi anni. Quale ruolo ricoprirà in futuro? Quanto crede dovremmo attendere per avere una cattedra di fisarmonica in ogni conservatorio italiano?

Questo è difficile dirlo, ma penso che la fisarmonica abbia buone probabilità di diffondersi e di conquistare l’attenzione di un pubblico più vasto, anche per il legame con il ruolo radicato di questo strumento nella nostra cultura popolare. Quest’ultimo aspetto rende necessario il superamento di qualche pregiudizio, che d’altra parte viene rapidamente fugato non appena si ascolta una buona esecuzione di musica al bayan… ma vorrei ricordare anche l’impatto che è arrivato nella musica di oggi con la figura di un artista che amo ed ammiro molto, Astor Piazzola ed il suo bandoneon, sono tutti elementi che aprono la strada ad un rinnovamento delle abitudini di ascolto e conseguentemente nuovi spazi di studio e di apprendimento.

Nel Medioevo la musica faceva parte del “quadrivio”, ossia l’insieme di quelle arti che rappresentavano la base dell’insegnamento scolastico. Quanto siamo distanti da quella realtà? Cosa direbbe ad un giovane che intende avvicinarsi al mondo della musica e magari fare di questa il proprio lavoro?

Purtroppo la scuola italiana sembra recepire ben poco il valore formativo ed educativo della musica; paradossalmente, mai come oggi gli adolescenti “consumano” una quantità impressionante di musica – attraverso gli I Pod, i tablet e tutti i possibili mezzi tecnologici – ma la musica è vista quasi esclusivamente come mezzo di svago e di distrazione e non come un potente mezzo di arricchimento e di crescita spirituale. Rimane quindi affidata alla buona volontà di qualche insegnante appassionato, o agli stimoli provenienti dalla famiglia, la possibilità per il ragazzo di incontrare una dimensione diversa della musica, dalla quale potrebbe scaturire la voglia di tentare lo studio in senso professionale. Ad un giovane consiglierei di ascoltare con curiosità e di avvicinarsi senza pregiudizi a tutti i tipi di musica… e se scatta la passione, è comunque una grande ricchezza! Il lavoro del musicista è difficile, ma sicuramente esaltante, quindi vale la pena di provare!