Intervista con Vincenzo Gualtieri su Item per fisarmonica da concerto

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La fisarmonica da concerto nella musica contemporanea

Quattro incontri con quattro compositori

di Corrado Rojac

 

PREMESSA

Corrado RojacAnche quest’anno, dopo il plauso ottenuto dall’iniziativa l’anno scorso, la redazione di Strumenti&Musica mi ha chiesto un contributo sulla musica contemporanea per fisarmonica. Ho accolto l’invito con gioia. Ho pensato di presentare alcuni pezzi, scritti per me da importanti compositori, che ho eseguito in prima esecuzione presso sedi prestigiose, quali l’Accademia Chigiana di Siena (Laboratorio di Composizione del M° Corghi), il Teatro Bibiena (Stagione del Conservatorio “Campiani” di Mantova), la Sala della Tromba di Trento (Ciclo “Musica Novecento”) e la Basilica di S. Silvestro a Trieste (Festival Trieste Prima).

Per l’anno 2016 si è concordato di presentare quattro compositori, con cadenza bimestrale. Si proporrà quindi Vincenzo Gualtieri, Gabrio Taglietti, Rolando Lucchi e Giorgio Colombo Taccani.

 

 

Chi è Vincenzo Gualtieri

Vincenzo Gualtieri svolge l’attività di compositore e performer di musica acustica ed elettro-acustica. Porta a compimento gli studi di Composizione e Musica Elettronica seguendo nel tempo da un lato i corsi di G. Manzoni (Scuola di Musica di Fiesole), di A. Solbiati (Civica Scuola di Musica – MI) e A. Corghi (Accademia Chigiana di Siena) e dall’altro quelli di R. Doati e A. Di Scipio. Finalista di concorsi nazionali di Composizione con le opere Dis-AGE, Traceless-steps e Item (rispettivamente: Ente Concerti Castello di Belveglio, Progetto Giovani Compositori, concorso Franco Evangelisti), nel 2004, con l’opera Field, vince il 1° premio al II Concorso internazionale di miniature elettroacustiche di Siviglia: “Confluencias – Arte y Tecnologia al Borde del Milenio” e sempre nel 2004 l’opera è anche incisa su CD nella collana di opere elettroacustiche: “Punti di Ascolto” (a cura della Federazione CEMAT). Altre opere sono state incise a cura di ARS Publica, XXI Musicale, Spaziomusica Ricerca. Un suo profilo è inserito nell’opera: Enciclopedia Italiana dei Compositori Contemporanei edita  presso Flavio Pagano Editore.

È possibile rintracciare esecuzioni di sue opere sia in contesti internazionali che nazionali. Fra queste spiccano senz’altro quelle avvenute negli U.S.A. (New York University, F. Loewe Theater  ed al Sarah Lawrence College, Bronxville), a Bourges (al “34th International Festival of electronic music and sonic art”), a Santiago del Chile (“Santiago’s 4th Annual Electroacoustic Music Festival” – Centro Cultural de España), a Pechino (Center of Electro-acoustic Music of China [CEMC] – Concerti C.I.M.E.), Cadice (Confluencias.org). Degne di nota sono altresì le esecuzioni avvenute in alcune città italiane fra le quali: Torino (Goethe Institut – a cura dell’Ensemble Antidogma), Roma (CRM), L’Aquila (La Terra Fertile), Palermo (C.I.M.S.), Cagliari (Spazio Musica), Siena (Accademia Chigiana), Mantova (Estate a Palazzo Ducale), Caserta (Convegno internazionale: “Capire e Creare la Musica”), Napoli (Università Federico II – dip. Storia della Musica, Conservatorio di Musica “S. Pietro a Majella”, Istituto Universitario “L’Orientale”, così come in concerti a cura di celebri associazioni musicali, fra le quali: Dissonanzen ed Eclettica). In più occasioni cura la regia del suono di lavori propri e di altri compositori. È di recente pubblicazione, nel quadrimestrale Musica Realtà (n° 109), un suo articolo dal titolo: “Strumenti produttori e riproduttori di suono come espressione dell’innovazione tecnologica in campo musicale”. La composizione (BTF-3) nel 2014 è stata selezionata in un concorso legato al festival Di-Stanze ed eseguita presso il Conservatorio di Musica di Padova “C. Pollini”. È inoltre stato pubblicato un suo scritto (a cura del Sound and Music Processing Lab e del Conservatorio di Padova ) nel quale, a latere della presentazione dell’opera (BTF-3), vengono tracciate le linee guida dell’attuale progetto di studio: lo sviluppo di sistemi analogico-digitali interattivi che sono assieme adattivi (site-specific) ed autopoietici (grazie all’impiego di feed-back loops con autoregolazione). 
Si esibisce spesso in duo col flautista Tommaso Rossi, al quale è anche dedicata la composizione Flowte. Pubblica per la Casa Editrice TAU-KAY di Udine ed è titolare della cattedra di Composizione presso il Conservatorio di Musica “D. Cimarosa” di Avellino.

 

L’INTERVISTA

Vincenzo GualtieriPotresti descriverci Item? Potresti, a grandi linee, darcene un’interpretazione analitica?

Item è l’ultimo pezzo da me scritto per strumento acustico solo, e rimane peraltro la prima e unica esperienza compositiva con la fisarmonica a bottoni. Originariamente si presentava diviso in tre movimenti autonomi. Il secondo movimento era a sua volta suddiviso in cinque brani di uguale durata. Successivamente ho deciso di dare la possibilità all’interprete di scegliere quali dei cinque distribuire in tre punti (A, B e C) che nel frattempo avevo indicato in partitura, nel primo movimento. La forma definitiva dell’intero lavoro risulta così essere bipartita, di fatto avendo incastonato l’originario primo movimento nel secondo. Come spesso accade, comporre è assieme anche una forma di esplorazione attorno allo strumento: dalle proprietà fisico-acustiche fino alla storia e all’ascolto dei suoi repertorii, dallo studio delle possibilità tecnico-esecutive alla relazione con l’interprete (che nei casi più fortunati è anche una guida decisiva per il compositore). In Item mi sono rifatto a tre modelli di lavoro, se vogliamo a tre condotte d’indagine diverse. Inizialmente non avevo esperienze d’ascolto del repertorio fisarmonicistico e neanche molto tempo a disposizione (come forse ricorderai, I e II movimento sono stati composti con una certa fretta – 10 giorni – a Siena,  nell’estate del 2003 in occasione dei corsi all’Accademia Chigiana). Per i primi due movimenti ho scelto due modelli compositivi dichiaratamente dialettici, così come di rifarmi a quell’unica parte di repertorio disponibile nella mia memoria musicale che in qualche modo fosse riconducibile alla fisarmonica. Come riferimenti culturali avevo le prassi compositive virtuosistiche della Toccata-Ricercare-Preludio e quelle più meditative della Sarabanda, il mio repertorio d’ascolto essendo di fatto limitatamente organistico… L’originario primo movimento – in cui le nonine di semicroma si accoppiano ed inseguono su entrambi i manuali – tradisce quella matrice. Il secondo movimento (poi accorpato al primo), si ispira invece ad un modello che in parte esprime lentezza e concentrazione su aspetti armonici, in parte diventa occasione per riflettere sulla meccanica e sull’acustica dello strumento così come su questioni bruitistiche (soffio, rumore di tasti ecc.). Quel secondo movimento, come accennato, è costituito da cinque brani di uguale durata: 15 secondi. I brani sono da eseguirsi utilizzando tutti e 15 i secondi “per produrre la sequenza soffio-suoni-soffio” ed “utilizzando il mantice nella sua massima espansione e lentamente, dando in questo modo adito alle ance di fare il loro ingresso con gradualità.”  I miei studi di musica elettronica evidentemente avevano attivato curiosità ed attitudini al comporre col suono che in qualche modo bilanciavano il facile (in quel caso: obbligato) ricorso al solo repertorio d’ascolto.

Il terzo movimento (poi divenuto il secondo), evidenzia un terzo modello operativo, essendo un vero e proprio studio sui ribattuti ma anche il movimento più “polifonico” dei tre: probabilmente il più riuscito …

In tutti e tre i movimenti prevale l’uso di una sintassi astratta (abstract) su una estrapolata (abstracted)[1], vale a dire l’impiego di procedure legate a modelli costruttivi non appartenenti necessariamente alla natura dei suoni organizzati. Approcci gestuali e tessiturali esprimono l’esigenza di comunicare forma (idee musicali pregnanti), ma diventano anche pre-testo per accogliere istanze che si auto-definiscono lavorando in un modo più interattivo e intuitivo. Item è stata anche la seconda esperienza di composizione assistita da computer, laddove ho messo in atto strategie già utilizzate in un precedente lavoro per pianoforte ed elettronica (Field). Ho usato due software per la generazione di partiture di eventi sonori: Csound e Cmask. Con Cmask lavoravo ad alto livello per generare maschere di tendenza di eventi che poi Csound definiva ad un livello più basso. Cambiando ordine di scala, ho poi trasposto quegli eventi in note da trasferire in partitura.

Che ne pensi dello strumento fisarmonica?

Di sicuro non lo concepisco un organo portativo. Indubbiamente, già solo il fatto che sia uno strumento portatile, estende enormemente sia tutta la sua attuale palette sonora intrinseca che la quantità e qualità di proprietà sonore ancora da esplorare. L’esecutore in movimento – tralasciando alcune prassi che si richiamano a certo teatro in musica – muta, rispetto ad un pubblico posto secondo le forme della fruizione tradizionale (seduta e frontale), la posizione della fonte sonora. Mutano di conseguenza sia gli schemi di relazione fra interprete, spazio e pubblico, che le opportunità percettive del suono (le implicazioni qualitative sul timbro, e non solo, possono a quel punto essere decisive…). È uno strumento del quale ho sempre apprezzato (da pianista) la possibilità di ottenere un suono prolungato e controllabile dinamicamente a valle del transitorio d’attacco del suono; così come l’immenso potenziale timbrico dovuto sia alla gestione differenziata delle ance che all’uso del mantice. È infine uno strumento polifonico, dal registro più che ampio e dalle eccellenti possibilità dinamiche (nel senso stavolta dell’intensità del suono).

Quali altri tuoi pezzi sono legati alla fisarmonica?

Come detto, Item è il mio unico lavoro per fisarmonica.

Hai altri progetti legati alla fisarmonica?

Indubbiamente, da quanto emerso finora, sarei interessato ad avere un’altra esperienza di lavoro, stavolta in duo, con la fisarmonica a bottoni da una parte ed il sottoscritto a curare l’elettronica dal vivo dall’altra.

Come descriveresti il panorama della musica contemporanea del momento e il suo sviluppo negli ultimi decenni?

Difficile rispondere in così poco spazio. Il panorama artistico globalizzato oggi appare così complesso e diversificato – anche causa della crescente democratizzazione (per fortuna, aggiungo!) dei mezzi di produzione e diffusione artistica – da rischiare di ricorrere a schematizzazioni frettolose che non darebbero giustizia al continuo evolversi delle forme dell’arte.

Come vedi il proprio operato compositivo all’interno di esso?

Penso che lo sviluppo delle tecniche del comporre, del dar forma ai suoni e coi suoni, si plasmi assieme alla coscienza dei mezzi tecnologi messi in atto. Spesso la teoria della composizione ha esaltato l’impiego di grammatiche generative mutuate solo in parte dai contesti tecnologici in uso. Si trattava di sistemi deterministici rigidi, dotati di un proprio statuto, in gran parte autonomo rispetto al referente sonoro. Essi tuttavia esprimevano una leggittima esigenza di strutturare il pensiero musicale. In contrasto con questo approccio si è assistito al proliferare di comportamenti più intuitivi, di relazioni empiriche (interattive) coi cosiddetti “materiali sonori” e spesso di maggiore effetto. La ricerca di modelli olistici di organizzazione del suono – ed una metodologia di lavoro divenuta per alcuni necessariamente interdisciplinare – ha determinato nel tempo altri generi di prassi compositive. Le tecnologie del suono nei dominii analogico-digitali, se da un lato hanno innalzato il livello di sfida da parte del compositore col proprio oggetto di studio (in un’ottica “non” di problem-solving quanto di problem-posing), dall’altro hanno sollevato questioni cruciali sul ruolo del musicista nelle dinamiche artistiche. La relazione uomo-macchina-ambiente (site-specificity) è da considerarsi organica a una rete di mutui condizionamenti che sono simmetrici a quanto già avviene “suonando insieme” con strumenti tradizionali (e non solo improvvisando). Oggi appare perciò dubbia qualsiasi forma di trattamento del suono in cui gli interpreti nelle due dimensioni[2] non siano musicalmente impegnati in una profonda “integrazione strutturale”. Insomma credo che si tenda a ri-stabilire su basi più paritarie le qualità (oltre che le quantità) dei rapporti che s’instaurano fra i vari “agenti del suono” e che sia diventato altrettanto urgente scorrelare queste forme di interazione da certi principi efficientistici (del perseguimento dell’esito sonoro a qualunque costo, con qualsiasi mezzo). I sistemi viventi (uomo) accoppiati con quelli elettro-meccanici (macchina) dovrebbero essere sempre più disponibili a forme di mediazione biunivoca, di accoglimento e ascolto reciproco; sistemi che auto-apprendono, che si ispirano a modelli autopoietici: cioè che producono ricorsivamente (es.  iterazioni lineari/non-lineari) ciò che hanno appreso[3]. In quest’ottica il suono è da concepirsi come evento e non più come oggetto. La visione oggettiva dei materiali sonori (parametrizzazione) può essere facilmente fraintesa ed interpretabile riduzionisticamente (riducendo ad oggetto – perciò oggettualizzando – il fenomeno acustico). Sappiamo per esempio che sul piano percettivo, determinati rapporti d’altezza, durata e intensità, non sono determinabili dall’orecchio con strumentale accuratezza a causa dei contesti di fruizione e delle relazioni circolarmente causali che vengono a crearsi. Ma i luoghi dell’esecuzione possono influenzare in modo ugualmente decisivo l’organizzazione sonora, l’interpretazione e la percezione. Credo si senta il bisogno di ripensare, di ri-comporre (porre insieme) ciò che è stato separato, in una cornice che non è (più) somma delle parti ma che risulta invece essere sensibile alle qualità di un mondo di interazioni complesse. Questa prospettiva favorisce l’osservazione/ascolto di proprietà emergenti ed ammette il “tradimento” di aspettative succitate da certe premesse. Queste ultime le considero come condizioni di possibilità di fenomeni acustici più o meno accettabili musicalmente, del tutto imprevedibili in potenza ma altrettanto stimolanti per chi è aperto all’ascolto di quanto non ancora udito o pre-visto. Talvolta sono proprio i fenomeni più indesiderati o comunque talune circostanze acustiche (sonorità del secondo ordine e materiali sonori di risulta, glitch, disturbi elettro-meccanici o ambientali, rumori e/o distorsioni del segnale) a risultare tanto più fecondi quanto più si è disposti ad accogliere “deviazioni eretiche” da condizioni iniziali ed un loro re-ingresso nel ciclo dell’elaborazione del suono (retroazioni). Al di là di aspetti psico-acustici, credo sia sempre più utile ricontestualizzare il soggetto fruitore, ed avere una maggiore consapevolezza delle proprietà sistemiche di agenti ed eventi in mutua trasformazione.

 

[1] Simon Emmerson, The relation of language to materials – Gordon & Breach, London.
[2] Quella elettronica e quella acustica.
[3] Di questo e altro ne discuto in un paio di articoli pubblicati di recente nel numero 109 della rivista Musica Realtà e nella presentazione dell’opera (BTF)-3, edito dal Sound and Music Processing Lab e dal Conservatorio di Padova.