Musiche oltre i confini. Intervista al poliedrico Aleksander Ipavec

277

IpavecAleksander Ipavec si è diplomato in fisarmonica al Conservatorio “A. Stefani” di Castelfranco Veneto. È docente di fisarmonica alla Glasbena Matica di San Pietro al Natisone e di Gorizia. Ha partecipato a vari concorsi nazionali e internazionali e suonato con numerosi e differenti gruppi (tra cui la Mitteleuropa Salon Orkester, diretta dal maestro Daniele Zanettovich e The original Klezmer ensemble). Ha composto colonne sonore per documentari e cortometraggi, musiche per il teatro e partecipato a programmi televisivi. Ha all’attivo una feconda collaborazione con la pianista Paola Chiabudini, con la quale ha realizzato un progetto sulla musica di Astor Piazzolla e oggi ha intrapreso un lavoro sulle musiche di autori contemporanei. Fa parte del trio Etnoploč, che quest’anno festeggia i dieci anni di attività.

Cosa significa suonare oggi uno strumento come la fisarmonica?

Da sempre mi sono sentito come una persona controcorrente. Non ho mai provato il bisogno di dover prendere una strada musicale già percorsa da molti. Quando ero ancora ragazzino, suonare la fisarmonica significava (almeno nell’ambiente che mi circondava) essere un pò limitati a convivere esclusivamente con la musica delle feste o sagre paesane, fuori dalle quali non c’erano tante altre possibilità di esprimersi con la fisarmonica.

In seguito, quando ho iniziato a frequentare la prima scuola di musica, a partecipare ai primi concorsi, ho scoperto un altro mondo, ovvero quello dove, se avevi uno strumento a bassi sciolti, potevi continuare un certo tipo di studio. Altrimenti rimanevi uno studente “minore”.

I miei genitori hanno faticato per potermi comprare uno strumento con note singole nella mano sinistra. Davanti a me si è aperto un mondo nuovo, dove le possibilità esecutive sullo strumento si moltiplicavano.

Pensavo che finalmente con la fisarmonica si potesse eseguire qualsiasi genere musicale, ma i programmi di studio che mi venivano offerti mi limitavano allo studio di certi periodi storici, prevalentemente quello Barocco e contemporaneo. Sentivo però il bisogno di cercare altri stili ed ascoltare tutto quello che riuscivo a trovare, dalla musica classica al jazz e alle musiche etniche di tanti popoli diversi, innamorandomi specialmente della musica dell’est europeo, dove ritmi ed armonie facevano nascere in me nuove emozioni.

Così appena diplomato in conservatorio ho ripreso a cercare quelle musiche, che mi facevano sentire libero e completavano le lacune che sentivo.

Oggi posso dire che suonare la fisarmonica per me significa sentirmi libero di viaggiare in mondi musicalmente anche molto diversi e lontani tra di loro e cercare di unirli in una musica unica, senza confini.

Puoi parlarci di come è nata la tua passione e come hai affrontato negli anni lo studio della fisarmonica? 

Ho iniziato a suonare la fisarmonica grazie ai miei genitori. All’inizio non era lo strumento che preferivo, il pianoforte era lo strumento che avrei voluto studiare, ma la fisarmonica l’aveva suonata mio nonno e poi mia madre, perciò era uno strumento presente in casa nostra.

Grazie a loro, oggi posso affermare di fare nella vito ciò che più amo, ovvero vivere nella musica.

Dalla prima lezione ad oggi sono trascorsi 37 anni, nei quali la fisarmonica e il suo repertorio si sono evoluti tantissimo.

In quei tempi era difficile trovare la letteratura che abbiamo oggi. Le distanze sono diminuite, tanti muri sono caduti. Tutto ciò ha permesso di conoscere grandi fisarmonicisti provenienti da tutto il mondo, scambiare tra di noi le nostre idee e metodi d’insegnamento. Nello stesso modo si è evoluto anche lo strumento e le sue capacità tecniche e sonore.

In che modo il lavoro nella didattica arricchisce l’esperienza e la formazione di un musicista?

Insegno fisarmonica dal 1993. I primi anni insegnavo nelle scuole private. Nel ‘96 ho iniziato a insegnare alla Glasbena Matica (Centro Musicale Sloveno), nella sede di San Pietro al Natisone UD, dove ho fondato anche l’orchestra Accordion group 4-8-8-16. Con questa orchestra abbiamo ottenuto risultati importanti a concorsi internazionali: il secondo Premio allo European Grand Prix de l’accordeon di Praga e il primo premio al FIF di Castelfidardo nel 2008.

Nel 2009 sono divenuto titolare della cattedra di fisarmonica presso la Glasbena Šola Tolmin (Slovenija).

L’insegnamento ha sempre avuto un ruolo importante nel mio percorso musicale, ma ho sempre cercato di ampliare i programmi di studio preesistenti, insegnando ai ragazzi anche la musica etnica, l’improvvisazione e la musica d’insieme, che reputo molto importante.

La fisarmonica ti permette di confrontarti con molti generi, ma anche di affrontare esperienze nel campo dello spettacolo, della composizione, dei concerti…

Tutte le mie varie esperienze sono frutto di un’unica matrice, ovvero l’interesse che provo per tutti i generi musicali e le forme espressive dello strumento.

La composizione, la scrittura di musiche nuove, la trascrizione per fisarmonica hanno rappresentato forse il primo bisogno oltre a quello della mera esecuzione.

Le mie prime esperienze con la musica da scena invece risalgono agli anni del liceo, quando sono stato contattato dal Teatro Stabile Sloveno di Trieste per accompagnare un attore in un monologo. Poi negli anni ho lavorato anche con il Politeama Rossetti a Trieste e altri teatri in Slovenia.

La conseguenza naturale fu che le produzioni iniziavano a chiedermi di scrivere le musiche per vari spettacoli teatrali. Nel 2001 scrissi le musiche per un documentario prodotto dalla Rai. Da allora ne sono seguiti parecchi, prodotti dalla Rai, Tv Capodistria, ORF ecc. Nel 1999-2000 ho fatto parte di un gruppo musicale col quale ci esibivamo a “Circus”, la trasmissione di Rai Due condotta da Michele Santoro.

Al di là del lavoro di composizione non sono mai mancati i concerti e le collaborazioni con tantissimi musicisti, con i quali ho sempre privilegiato la componente umana a quella artistica. Oggi posso dire che collaboro quasi esclusivamente con grandi persone, prima che con grandi musicisti. Due esempi su tutti sono il duo con la pianista Paola Chiabudini, con la quale collaboriamo dal 2001, dapprima in un progetto di musiche di Astor Piazzolla, poi di musiche di autori contemporanei. Oggi ci siamo immersi in un nuovo progetto con due strumenti particolari, ovvero il portativo di Leonardo da Vinci, costruito da Mario Buonoconto e il clavicembalo.

Il secondo gruppo con il quale lavoro da dieci anni è L’Etnoploč trio.

Tutti questi progetti, che includono anche la direzione orchestrale e l’organizzazione di eventi musicali, fanno parte di un mio modo di esprimermi e perciò la loro convivenza è naturale. A volte l’unico vero limite è la mancanza di tempo per coordinarli tutti.

Dalla classica al jazz all’etnica (penso ad esempio al The Original Klezmere Ensemble). Qual’è la differenza?

Ogni genere musicale esige modi diversi di esecuzione. Tra le mie esperienze, oltre la musica classica, il jazz, ci sono molte influenze balcaniche e klezmer. Ognuno di questi generi ha un suo stile particolare, che si differenzia dagli altri per i ritmi, armonie e tecniche di esecuzione. Non basta. Oltre a queste componenti, bisogna cercare di entrare nell’anima di quella musica, di quel popolo, capirne le tradizioni, modi di pensare, tradizioni ecc. Suonare, ad esempio, musiche di Astor Piazzolla, eseguendo esattamente tutto ciò che è scritto nello spartito non è sufficiente. L’aver conosciuto i collaboratori, il produttore, i musicisti che hanno suonato con Piazzolla, mi ha aiutato tantissimo a interpretare meglio la sua musica. Con Bach però sarebbe un compito molto più arduo…

Tra i vari progetti è doveroso parlare del trio Etnoploc, che quest’anno compie dieci anni…

Gli Etnoploč sono formati da Piero Purini al sax soprano, Matej Špacapan alla tromba e dal sottoscritto alla fisarmonica.

Una formazione inedita, formata da tre musicisti di confine (Italia/Slovenia), i quali, oltre ad essere grandi amici, sono accomunati dal non credere ai confini e cercare di abbatterli partendo da quelli che li riguardano in prima persona, cioè i confini che ognuno di noi ha dentro.

Il nome ploč in dialetto triestino significa pozzanghera, nella quale il trio mescola tutti i generi, culture, (nella storia Trieste ne ha avute parecchie), fondendo a volte due o più brani in un’entità nuova.

Negli anni abbiamo registrato quattro cd. L’ultimo, dal titolo Across the Border live 2012 è stato dedicato ad Andrea Parodi.

Hai accennato a un progetto di collaborazione con Andrea Parodi. Puoi parlarcene? Io ho avuto la fortuna di conoscerlo e di lavorarci per un breve periodo e mi ha lasciato un bellissimo ricordo, non solo professionalmente…

L’incontro con Andrea Parodi rimarrà per me un momento indimenticabile. Nel 2005 un noto critico musicale della nostra regione mi ha consigliato di procurarmi assolutamente un cd dal titolo “Midsummer Night in Sardinia” di Andrea Parodi e Al di Meola.

Appena ascoltato i brani di quel cd non ho resistito, ho cercato nel book un contatto a cui poter rivolgere tutta la mia ammirazione per quelle esecuzioni, allegando il numero del mio cellulare. Dopo qualche settimana ho ricevuto una telefonata da un numero sconosciuto ed era proprio Andrea Parodi. È stata un’emozione grandissima. Dopo qualche minuto sembrava già che fossimo amici di lunga data. Andrea ha voluto sapere tutto sul progetto Etnoploč. Qualche tempo dopo ci siamo incontrati a Milano per parlare di un progetto di collaborazione. Andrea però già non stava bene e purtroppo l’anno seguente morì. Nel 2008 siamo stati invitati da Valentina, sua moglie, al Festival Flumini jazz, dedicato ad Andrea Parodi.

Andrea è stato molto amato da tutti nella sua terra. A Cagliari abbiamo incontrato un calore da parte delle persone che è molto difficile da spiegare. Quella sera abbiamo eseguito A Foua, uno dei brani contenuti nel cd di Parodi e Di Meola.

Nel 2012 è uscito il nostro ultimo cd, nel quale abbiamo inciso No Potho Reposare, che è stato anche l’ultimo brano che ha cantato Parodi in pubblico davanti alla sua città. Grazie Andrea!