Un uomo profondo – Nazzareno Carini: una vita per la fisarmonica (3° parte)

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Nazzareno Carini: una vita per la fisarmonica (3° parte) - foto 3Il sorriso e le lacrime, l’allegria e la commozione si alternano, misurati, sul volto e negli occhi azzurri di Nazzareno Carini, mentre racconta la propria vita. Una vita, dedicata al lavoro e alla famiglia, che ha conosciuto, anch’essa, i tempi del dolore e quelli della gioia. Sarà perché Nazzareno è così empatico, sarà perché, senza saperlo, tocca dei tasti sensibili anche per l’intervistatore (e non sono quelli della fisarmonica), ma anche chi sta seduto di fronte a lui non può non partecipare delle sue emozioni. Il racconto di Nazzareno va avanti, torna indietro, si sofferma su questo o su quell’aneddoto, è interrotto da riflessioni, sempre interessanti, sempre opportune, sul mondo della produzione della fisarmonica. “Quello che non ti ho ancora raccontato è l’avventura di quando sono andato a fare il militare”, mi dice il secondo giorno delle nostre conversazioni. “Sono partito per il militare che già con mio padre eravamo tornati a Castelfidardo a fare le fisarmoniche”. Prima di cominciare il servizio di leva, che a quei tempi non solo è obbligatorio, ma dura la bellezza di 2 anni, Nazzareno viene chiamato da un “bravissimo maestro”, Ricci, che ha messo su un complesso. Il gruppo va in tournée, partecipa a numerose competizioni e vince pure un secondo premio a Terni. “Quando sono partito soldato, questo maestro mi ha fatto una lettera da presentare al colonnello, scrivendo che sarebbe stato un peccato se il latore della presente, che aveva raggiunto un altissimo grado di perfezionamento con la fisarmonica, fosse rimasto inattivo per 2 anni. Quindi, chiedeva gentilmente al colonnello la concessione, dopo il servizio, di una stanzina in cui avrei potuto allenarmi”. Nazzareno, con la sua fisarmonica, arriva al C.A.R. (Centro Addestramento Reclute) di Casale Monferrato e, un paio di giorni dopo, si reca direttamente dal colonnello. L’ufficiale è accogliente, vuole sentirlo suonare, rimane colpito dall’abilità del giovane che ha davanti a sé. In poco tempo prende davvero a benvolerlo, fino a fargli scegliere la destinazione una volta finito il C.A.R.: “Tutti pensavano che ero un parente!”. Il giorno dopo aver conosciuto il colonnello, però, il capitano della compagnia convoca Nazzareno e lo apostrofa: “A te ti devo mettere dentro!” Nazzareno impallidisce: “Perché? Cosa ho fatto?” Il capitano insiste: “Ti devo mettere dentro! Tu sei andato a parlare con il colonnello! Ma lo sai che per andare a parlare con il colonnello avresti dovuto dirlo al caporale, il caporale lo avrebbe detto al sergente, il sergente al tenente, il tenente al capitano e così via?!” No, Nazzareno non lo sa. È appena arrivato in caserma e non conosce la prassi. Alla fine “in galera non mi ci ha messo, ma mi ha fatto una ramanzina…” Superato quel momento, anche il capitano si affeziona a Nazzareno, seppure non voglia darlo a vedere: “L’unica cosa che mi piace di te, diceva scherzosamente il capitano, sono i tuoi capelli”. Sorride Nazzareno: “Avevo tanto di quei capelli ricci, biondi, che manco ti rendi conto”. Il C.A.R. finisce e Nazzareno è trasferito a Torino. Appena arrivato a destinazione, scende dal camion militare con la fisarmonica in mano e gli si avvicina un maresciallo maggiore: “Eh, ne ho conosciuti di personaggi bravi! Questo sottufficiale era stato messo nella prima pagina della Domenica del Corriere perché era il maresciallo maggiore più giovane d’Italia”. Non appena gli sguardi s’incrociano, tra i due nasce un’intesa e un dialogo coinciso.

“Tu sei un musicista?”

“Sì, suono la fisarmonica”.

“Vuoi venire nella banda? Io sono il direttore”.

“Ma io suono la fisarmonica…”.

“Non ti preoccupare, qualcosa ti troviamo”.

Dopo due giorni il maresciallo maggiore chiama Nazzareno e gli chiede di suonare qualcosa. Nazzareno esegue Preludio e fuga di Felice Fugazza, uno dei suoi cavalli di battaglia: “Non ti dico l’entusiasmo quando m’ha inteso!” ricorda ancora Nazzareno. “Ha chiamato il sergente, ha chiamato un’infinità di persone. Mi commuovo… ha avuto tanto entusiasmo, e m’ha detto di stare con loro, con la banda”.

Nazzareno Carini: una vita per la fisarmonica (3° parte) - foto 1Anche quando non è impegnato musicalmente, Nazzareno lavora fianco a fianco col suo superiore, nel suo ufficio. La domenica, la banda suona nel cortile della caserma, alla presenza di tutti i soldati. E “dopo finito di suonare, il maresciallo mi portava nel bar a prendere il caffè con lui e con tutti gli ufficiali”. Nelle caserme c’è un continuo via vai, soldati che terminano il servizio di leva, soldati che lo stanno iniziando. Anche nella caserma di Nazzareno vanno così le cose e si presenta un periodo durante il quale la banda si disfa per carenza di musicisti in divisa. Ma né lui, né il maresciallo maggiore si perdono d’animo: “In quel periodo, saranno stati un paio di mesi, il maresciallo mi scriveva dei pezzi per organo che io suonavo con la fisarmonica per la messa. A volte, la mattina, arrivava in ufficio e mi diceva: ‘Nazzareno, dobbiamo scrivere subito delle partiture, partiture per una marcia funebre perché è morto un generale’. Noi eravamo l’unica banda del Piemonte, quindi per tutte le feste dei reggimenti o per i funerali di qualche personaggio importante eravamo chiamati noi”. Il colonnello che comanda la caserma è “un purosangue napoletano”. La domenica, dopo la messa, la banda suona anche le canzonette allora di moda. “Il maresciallo mio non aveva tanta simpatia per i napoletani e faceva orecchio da mercante quando il colonnello gli chiedeva di suonare qualche canzone napoletana”. Una volta, alla presenza di Nazzareno, il colonnello si avvicina al proprio subalterno e gli dice:

“Maresciallo, a lei le canzoni napoletane proprio non le piacciono, eh!”.

“A me non è che non mi piacciono le canzoni napoletane, non mi piacciono i napoletani”. Alla faccia della sincerità!

Finito il militare e tornato a casa, per qualche anno Nazzareno mantiene i contatti col suo maresciallo di Pinerolo. “Comunque, quello del militare me lo ricordo come un periodo bello, ho tanti bei ricordi. Nella caserma si stava bene. A mensa mangiavamo a tavolini da sei, avevamo tutti una piccola bottiglia di vino, le scodelle erano di porcellana e il colonnello napoletano, che era patito per le cose della cucina, se vedeva che qualcuno aveva una mela più piccola o che i piatti non erano scolati bene, si arrabbiava”.

Tornato a casa, Nazzareno riprende il lavoro “con grande vigoria, anche di più di quando ero partito perché ero rimasto inattivo per un lungo tempo”.

Comincia allora quella ricerca di “cose particolari” (di cui si è parlato nella precedente puntata dell’articolo) per superare le varie crisi. “Sì, perché la fisarmonica ha avuto varie crisi. A Castelfidardo abbiamo avuto i costruttori di prima generazione che non avevano studiato, come mio padre o addirittura Paolo Soprani che è stato il primo. Qui da noi a quel tempo avevamo il 99% di analfabetismo. Questi primi imprenditori non capivano nulla di commercio. Quindi le fabbriche sono nate veramente con l’ingegno. E l’ingegno è qualcosa di differente dalla conoscenza del commercio”.

Anche la seconda generazione ha un approccio alla produzione e al commercio uguale alla prima. Intanto, subito dopo la II Guerra Mondiale, c’è una richiesta immensa di fisarmoniche, specialmente dall’America. “Una cosa paurosa. Sono nate delle ditte impensabili. Bastava un po’ d’iniziativa e un paio di bravi operai e si formava una società. Fabbriche che venivano fuori come funghi. Il lavoro c’era per tutti, non c’era bisogno di fare l’offerta perché c’era la richiesta, potevi mandare via quello che volevi”. È un momento di grande euforia nel mondo della fisarmonica: “Nel 1952, abbiamo raggiunto le 197.000 unità mandate all’estero”. Poi, la crisi. A Castelfidardo gli imprenditori si lasciano cogliere impreparati. Non sono stati accorti né, tantomeno, lungimiranti. “Qui da noi i fabbricanti non hanno fatto come ho fatto io quando ho fatto la macchina, la casa, ecc. Io non ho mai voluto fregare nessuno. Prima mettevo da parte i soldi, poi compravo quello che mi serviva. Gli altri, invece, quando hanno visto che c’era la richiesta hanno fatto le grandi ville, le grandi fabbriche, le grandi macchine, si sono buttati un po’ allo sbaraglio. Poi, quando il vento ha cominciato a tirare contrario, si sono trovati perduti perché per fare tutte queste cose avevano dovuto ricorrere alle banche. Quindi, quando il lavoro è calato hanno cominciato a diminuire i prezzi, tanto che gli utili non bastavano più nemmeno a pagare gli interessi”. Molti imprenditori di Castelfidardo entrano, a mano a mano, in un circolo vizioso da cui non riescono più ad uscire e che porta, inesorabilmente, al disastro. “Dalle ricerche che ho fatto per un libro, che ho scritto insieme ad un professore di italiano di Camerano, è venuto fuori che il 70% e anche più delle fabbriche di fisarmoniche di Castelfidardo ha chiuso per fallimento. Adesso, la nuova generazione è una generazione molto più intelligente, ragazzi che hanno studiato per diventare imprenditori; l’unica cosa negativa, rispetto alla mia generazione, è che noi suonavamo tutti la fisarmonica, adesso no, quasi nessuno la suona. Però hanno studiato. Quando vanno alle fiere, dal più piccolo artigiano a quello più grande, tutti parlano l’inglese”. Oggi, a Castelfidardo ci sono 32 ditte, lavorano tutte, “fanno dei buoni prodotti, veramente eccezionali”.

Nell’universo italiano della fisarmonica ci sono state, prima e dopo di quella ricordata da Nazzareno, altre crisi, “tant’è vero che nel primo ’900 c’era una cosa che qui da noi si diceva. I vecchi dicevano: canta la ciovetta sopra i tetti, come andranno a fini’ sti poveri organetti?”. La civetta intesa come uccello del malaugurio… E Nazzareno elenca le tante crisi: quella del 1915/’18 per la Grande Guerra, quella del ’29, seguita al crollo di Wall Street, quella del 1935, con le sanzioni contro l’Italia che aveva invaso l’Etiopia, e poi la II Guerra Mondiale. “E io penso che adesso” riprende Nazzareno “abbiamo un’altra piccola crisi”. È acuto, come sempre, il ragionamento di Nazzareno attorno a questo tema. La crisi, secondo lui, è dovuta al fatto che tutte le fabbriche sono orientate a fare solo fisarmoniche molto sofisticate: “Ci potrebbero essere due motivi: primo, perché la fisarmonica ha raggiunto una grande evoluzione e questa è una cosa indiscutibile; secondo, e non lo dico per malignità, l’indirizzamento alla fisarmonica è dovuto ai maestri che sempre hanno guadagnato – è brutto dirlo ma è la verità – consigliando una ditta invece di un’altra e prendendoci la percentuale. Una fisarmonica costava 1.000 e prendevano 100/200. Ma oggi, indirizzando gli allievi verso quel tipo di fisarmonica che si fa adesso, che viene a costare 8/10.000 Euro, ne possono prendere 1.000 o 2.000. Le fabbriche negheranno, ma io lo so che è così”. Nazzareno è preoccupato per il futuro. Quanti ragazzi potranno iniziare lo studio della fisarmonica e diventare i musicisti di domani, se i prezzi sono così elevati? “Tante persone mi hanno detto: ‘per quanto mi piace la fisarmonica, mi venderei la casa se fossi sicuro che poi mio figlio seguita. Ma posso andare a comprare un fisarmonica a 2/3.000 Euro quando una chitarra con 30 Euro la compro?’ E io adesso mi pongo quel problema lì: un genitore il cui figlio s’avvia allo studio della fisarmonica deve spendere tanto denaro per comprare uno strumento perché tutte le ditte si sono indirizzate su quel livello. È un seminare meno che facciamo. Se prima se ne facevano 1.000, ora ne facciamo 10. Quindi, se vogliamo raccogliere abbiamo bisogno di seminare”. Nazzareno s’interrompe, mi guarda e sorride. Con le mani fa il segno di stop. “Finito? Ma pensa quante cose t’ho detto!” E il sorriso accattivante si trasforma in una risata che trascina. “Troppe ancora me ne deve dire, Nazzareno!”. Nazzareno continua a ridere, sempre schivo ma felice di poter continuare a raccontare la passione della sua vita. Ed io con lui.