Nella relazione di scambio con l’ambiente viene ritenuta determinante la funzione del baby-talk, ossia di quella particolare interazione vocale degli adulti con i bambini. Il baby-talk è una attività “a eco”, strutturata secondo il criterio di ripetizione e variazione: la madre lo usa per interagire con il bambino, ripetendo finché il piccolo non la imita e imitandolo a sua volta in una miriade di microvariazioni. In tutti i baby-talk del mondo sono ravvisati alcuni tratti comuni, familiari ai musicisti, ma riconoscibili da chiunque: la segmentazione, la ripetizione, la semplicità sintattica, la lentezza temporale, la semplificazione e l’amplificazione dei moduli espressivi e dei contorni melodici. Questi elementi, inoltre, trovano esatta corrispondenza a livello della relazione corporea, evidenziando così, ulteriormente, la natura della comunicazione non verbale e il rapporto inscindibile tra il movimento e il suono.
Il criterio ripetizione-variazione, base della musicalità del baby-talk, non è solo uno dei criteri maggiormente utilizzati in musica, ma è anche il principio organizzatore delle sequenze comportamentali e dei primi scambi preverbali che costruiscono l’interazione e la comunicazione sociale tra il bambino e l’ambiente umano.
Di grande rilevanza, inoltre, sembra essere la funzione del principio ripetizione-variazione nella strutturazione del tempo. Poter “dominare” il tempo, prevedere e valutare lo scorrere del tempo è infatti uno dei bisogni fondamentali dell’essere. La ripetizione genera una regolarità che permette al bambino di anticipare il corso del tempo, quindi di dominarlo; la variazione porta con sé, allo stesso momento, certezza e incertezza rispetto al modello iniziale. Il tempo può essere così dominato attraverso una regolarità variata e diversificata: la conferma della presenza di un elemento nel contesto della molteplicità delle sue variazioni, permette al soggetto di individuare punti di riferimento e di costruire la sua identità. La ripetizione crea, inoltre, la tensione dell’attesa del ritorno della sequenza iniziale, come un’attesa di soddisfazione di un desiderio; la variazione fa seguire una distensione più o meno marcata a seconda della differenza col modello iniziale. Si istituisce così un sorta di “tempo originario” nella prima e fondante esperienza della durata, unitamente al rapporto con l’anticipazione dell’esperienza futura e con la perdita dell’oggetto.
Ma non è tutto. Vale la pena di ricordare come nei primi mesi di vita si attivi la cosiddetta “percezione amodale”: quella, cioè, che permette di trasferire l’esperienza percettiva da un canale sensoriale all’altro, attivando le corrispondenze tra i diversi sensi (quindi anche la sinestesia) e la possibilità di riconoscerle. Si costruiscono così modi di sentire non riconducibili alle categorie affettive classiche, ma che, piuttosto, si esprimono in termini dinamici e cinetici, come per esempio il senso di “stati” come fluttuare, svanire, esplodere, crescendo, decrescendo, gonfiarsi, esaurirsi. Questi modi di sentire non dipendono da modalità sensoriali, ma dalla percezione amodale. Sono esperienze e allo stesso tempo categorie intuitive e sensitive primordiali su cui si costruiranno successivamente le emozioni, le forme percepite e identificate, i pensieri; costituiscono le radici della soggettività umana e della creatività.
Tali modi di sentire, definiti anche “affetti vitali”, sono alla base delle cosiddette sintonizzazioni affettive: il neonato scopre verso il settimo mese l’esperienza di condivisione di taluni “stati” attraverso il dialogo corporeo e sonoro, fondato su elementi ben precisi, riconducibili a ritmo, tempo, intensità e forma. Nell’aggiustamento dello scambio interpersonale si ricerca un corrispondente affettivo utilizzando tutte le capacità di trasposizione transmodale. Madre e bambino “si accordano” per entrare in risonanza emotiva l’una con l’altro e condividono gli affetti di vitalità. Una sorta di procedimento che continuerà a far parte dell’esperienza adulta in tutte le fasi e dimensioni della vita, come, per esempio, ciò che si sviluppa nella musica di insieme.
Le implicazioni conseguenti a questo rapporto originario con il suono sono veramente molteplici e complesse. In questa sede ci limitiamo solo a un paio di sintetiche riflessioni: in primis, sulla necessità di non privare l’esistenza dello spazio necessario a vivere la dimensione sensoriale naturale, così come sull’esigenza di ognuno dell’esperienza artistica – musicale in particolare – in tutte le sue forme e i suoi linguaggi; in un contesto più specifico, poi, la riflessione si muove intorno alla consapevolezza che quella sensibilità artistica, comunemente ritenuta privilegio naturale di pochi eletti, in realtà appartiene a ogni essere e merita di essere risuonata, curata, educata, espressa con conseguenze importanti sul piano metodologico.
In estrema sintesi, infine, terremo a mente che la costruzione dell’identità e la struttura delle esperienze affettive e cognitive che regolano la relazione d’interazione e comunicazione si formano nella connessione con il suono: si viene a formare la struttura originaria (una sorta di prototipo) delle esperienze affettive e cognitive future, il cui senso profondo sarà riattivato e rappresentato dalla musica. La musica attiva così una conoscenza che risale alle fasi più arcaiche della vita, richiama la realtà profonda delle strutture cognitive e affettive, gli stati fisiologici e i vissuti emozionali, facendosi portatrice di una conoscenza implicita che appartiene al non verbale e al non concettuale e che non scomparirà per tutta la vita.