Una formazione variabile (che ruota intorno ai capitani di lungo corso Dino Tron e Riccardo Serra, alla guida di schieramenti di volta in volta più adatti al sound del gruppo), una strumentazione atipica (in cui spicca la ghironda, una sorta di violino con una ruota al posto dell’archetto) e una concezione atipica della musica che rimanda alla tradizione dei cantori in lingua d’oc, dei trovatori. Chiamarlo folk rock non basta, sono gli stessi Lou Dalfin ad aver ribattezzato il loro genere “ballo canzone”.
“Noi vogliamo che la musica tradizionale sia di tutti, dunque popolare” – dice ancora Sergio Berardo –, “che si muova in un linguaggio condiviso dal maggior numero di persone. Così, accanto agli strumenti tradizionali, abbiamo inserito quelli della cultura di oggi: il basso, la batteria, le tastiere… La ghironda ha un tono molto acido che si sposa benissimo con le distorsioni della chitarra elettrica…”.
Quando negli anni Novanta esplode la musica indipendente, i Lou Dalfin si trovano a nuotare con sorprendente agio nella corrente alternativa che investe tutta la penisola ed esonda fin oltre le Alpi. Gibous, Bagase e Bandì (del 1995) – prodotto tutto in chiave dub da Madaski degli Africa Unite – costruisce un ponte ideale con la Francia, in cui la tradizione dei trovatori scopre rinnovato vigore grazie alla scena, moderna e sfrontata, del rap occitano di Marsilia Sound System e Faboulous Troubadours.
Lungi dall’essere un limite, la forte marcatura occitana è la base intorno a cui articolare movimenti bastardi e improvvise tirate rap. I ritmi dei Lou Dalfin sono sempre alle stelle, un carosello di giocose ballate e accelerazioni in controtempo. Con una curiosa, imprevedibile trasversalità… metropolitana. “Non c’è concerto a Roma, in Toscana, a Milano e al Sud in cui qualche coppia non si metta a danzare la giga, il rigodon o la farandola” – spiega Berardo –. “Gli altri provano a fare altrettanto, e chi non ci riesce salta come ai concerti punk”.
Questo mondo forsennato, popolano e basso, mondo “di liti, taverne e bevute”, in cui l’umorismo grasso o grottesco nasconde l’invettiva politica, rivendica la propria identità ma rifugge ogni inquadratura politica. “All’inizio la Lega ha provato a coinvolgerci nelle sue feste, ma hanno ricevuto un netto rifiuto da parte nostra. I piccoli egoismi localistici non hanno niente a che spartire con la cultura occitana”.
C’è piuttosto una vena festosamente insurrezionalista, vicina ai movimenti più per sentimento che per spirito di rivolta: “Noi cantiamo la montagna violata dai grandi interessi, svuotata dei propri abitanti, emarginata dalla politica. Quando qualcuno, come il movimento contro il TAV, alza la voce, ci trova al suo fianco”. Nel 1997, i Lou Dalfin hanno suonato insieme ai baschi Sustraia nel live Radio Occitania Libra, “un disco importante, vitale, grintoso”, ribadisce Berardo. L’album del 2011 Cavalier Faidit, il cavaliere proscritto, racconta della crociata di papa Innocenzo III per estirpare il catarismo dai territori della Linguadoca nel 1209 e della resistenza dei nobili locali, i cavalieri occitani, che persero la guerra e per questo furono espulsi dalle loro città.
Resistenza, memoria, socialità. Dodici album in studio, oltre milletrecento concerti, un’associazione culturale fondata nel 2011 “che ha trasformato il gruppo in un piccolo centro di iniziative sulla musica e gli strumenti tradizionali”. C’è tanto nella carriera pluritrentennale dei Lou Dalfin. Orgoglio occitano, certo, ma soprattutto orgoglio popolare.
DISCOGRAFIA
En Franso i ero de Granda Guera (Madau dischi, 1982)
L’Aze d’Alegre (Prince Records, 1984)
W Jan d’ l’Eiretto (Ousitanio Vivo, 1992)
Gibous, Bagase e Bandì (Felmay, 1995)
Radio Occitania Libra (Felmay, 1997)
Lo Viatge (Noys, 1998)
La Flor de lo Dalfin (Ultimo Piano Records, 2001)
L’Oste del Diau (Felmay, 2004)
I Virasolelhs (Musicalista, 2007)
Remescla (Musicalista, 2009)
Cavalier Faidit (Musicalista, 2011)
Musica Endemica (Marduk Records, 2016)
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