La poesia occitana dei Lou Dalfin

Organetti, violini, ghironde e sogni di resistenza popolare

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Lou DalfinLou Dalfin, ovvero il delfino. “Quello che si trova scolpito in tante fontane, in tanti architravi, in tanti muri nelle case delle nostre montagne. Il simbolo del Delfinato, una delle sette regioni delle terre d’oc, quella a cui apparteniamo e che comprende le quattordici valli tra la provincia di Cuneo e Torino”. Così Sergio Berardo spiega la bizzarra creatura musicale cui ha dato vita nel lontano 1982, mettendo insieme tradizione, reinvenzione della memoria locale e voglia di festa.

Una formazione variabile (che ruota intorno ai capitani di lungo corso Dino Tron e Riccardo Serra, alla guida di schieramenti di volta in volta più adatti al sound del gruppo), una strumentazione atipica (in cui spicca la ghironda, una sorta di violino con una ruota al posto dell’archetto) e una concezione atipica della musica che rimanda alla tradizione dei cantori in lingua d’oc, dei trovatori. Chiamarlo folk rock non basta, sono gli stessi Lou Dalfin ad aver ribattezzato il loro genere “ballo canzone”.

“Noi vogliamo che la musica tradizionale sia di tutti, dunque popolare” – dice ancora Sergio Berardo –, “che si muova in un linguaggio condiviso dal maggior numero di persone. Così, accanto agli strumenti tradizionali, abbiamo inserito quelli della cultura di oggi: il basso, la batteria, le tastiere… La ghironda ha un tono molto acido che si sposa benissimo con le distorsioni della chitarra elettrica…”.

Quando negli anni Novanta esplode la musica indipendente, i Lou Dalfin si trovano a nuotare con sorprendente agio nella corrente alternativa che investe tutta la penisola ed esonda fin oltre le Alpi. Gibous, Bagase e Bandì (del 1995) – prodotto tutto in chiave dub da Madaski degli Africa Unite – costruisce un ponte ideale con la Francia, in cui la tradizione dei trovatori scopre rinnovato vigore grazie alla scena, moderna e sfrontata, del rap occitano di Marsilia Sound System e Faboulous Troubadours.

Lou DalfinLa formula peculiarissima del gruppo di Sergio Berardo non sfugge all’attenzione della critica. Nel 2004 L’òste del Diau (la produzione, tesissima, a cura del bassista dei Mau Mau Josh Sanfelici, la copertina firmata dal fumettista di culto Luca Enoch) vince il Premio Tenco per il miglior album in dialetto.

Lungi dall’essere un limite, la forte marcatura occitana è la base intorno a cui articolare movimenti bastardi e improvvise tirate rap. I ritmi dei Lou Dalfin sono sempre alle stelle, un carosello di giocose ballate e accelerazioni in controtempo. Con una curiosa, imprevedibile trasversalità… metropolitana. “Non c’è concerto a Roma, in Toscana, a Milano e al Sud in cui qualche coppia non si metta a danzare la giga, il rigodon o la farandola” – spiega Berardo –. “Gli altri provano a fare altrettanto, e chi non ci riesce salta come ai concerti punk”.

Questo mondo forsennato, popolano e basso, mondo “di liti, taverne e bevute”, in cui l’umorismo grasso o grottesco nasconde l’invettiva politica, rivendica la propria identità ma rifugge ogni inquadratura politica. “All’inizio la Lega ha provato a coinvolgerci nelle sue feste, ma hanno ricevuto un netto rifiuto da parte nostra. I piccoli egoismi localistici non hanno niente a che spartire con la cultura occitana”.

C’è piuttosto una vena festosamente insurrezionalista, vicina ai movimenti più per sentimento che per spirito di rivolta: “Noi cantiamo la montagna violata dai grandi interessi, svuotata dei propri abitanti, emarginata dalla politica. Quando qualcuno, come il movimento contro il TAV, alza la voce, ci trova al suo fianco”. Nel 1997, i Lou Dalfin hanno suonato insieme ai baschi Sustraia nel live Radio Occitania Libra, “un disco importante, vitale, grintoso”, ribadisce Berardo. L’album del 2011 Cavalier Faidit, il cavaliere proscritto, racconta della crociata di papa Innocenzo III per estirpare il catarismo dai territori della Linguadoca nel 1209 e della resistenza dei nobili locali, i cavalieri occitani, che persero la guerra e per questo furono espulsi dalle loro città. Lou Dalfin“Il cavalier faidit è il simbolo di chi non sta a guardare, chi interviene contro un sopruso e combatte contro l’oppressione, pagando per la sua scelta: un simbolo di allora ma anche del nostro tempo”. Il brano Glòria al Deseseten, contenuto nell’album del 2016 Musica Endemica, celebra un altro episodio di resistenza. Nel 1907, a Montpellier era in corso una rivolta contro l’immissione di vino alterato chimicamente che metteva alla fame i coltivatori locali. La capeggiava un socialista, Ernest Ferroul, che chiudeva i comizi gridando «W la Nazione Occitana!». Al momento della repressione, i ragazzi D’Oc del 17° Fanteria rifiutarono di fare fuoco sulla gente e si unirono alla protesta. “Per farli rientrare in caserma vennero illusi con la chimera di un condono. In realtà furono inviati prima in Nord Africa e poi al fronte della Guerra Mondiale. Dopo il 1918 su quattrocento ne erano rimasti vivi sette”, ricorda infine Berardo.

Resistenza, memoria, socialità. Dodici album in studio, oltre milletrecento concerti, un’associazione culturale fondata nel 2011 “che ha trasformato il gruppo in un piccolo centro di iniziative sulla musica e gli strumenti tradizionali”. C’è tanto nella carriera pluritrentennale dei Lou Dalfin. Orgoglio occitano, certo, ma soprattutto orgoglio popolare.

 

DISCOGRAFIA

En Franso i ero de Granda Guera (Madau dischi, 1982)

L’Aze d’Alegre (Prince Records, 1984)

W Jan d’ l’Eiretto (Ousitanio Vivo, 1992)

Gibous, Bagase e Bandì (Felmay, 1995)

Radio Occitania Libra (Felmay, 1997)

Lo Viatge (Noys, 1998)

La Flor de lo Dalfin (Ultimo Piano Records, 2001)

L’Oste del Diau (Felmay, 2004)

I Virasolelhs (Musicalista, 2007)

Remescla (Musicalista, 2009)

Cavalier Faidit (Musicalista, 2011)

Musica Endemica (Marduk Records, 2016)

 

LINK

www.loudalfin.it
www.felmay.it
www.musicalista.it