Diego Santamaria vede la sua prima formazione al Conservatorio “Ottorino Respighi” di Latina, prima nella classe di violoncello, poi in quella di composizione. Il suo brano, Mistrau, prende il nome dal Maestrale, il forte vento nord-occidentale tipico della regione della Provenza, ed è stato inciso per l’occasione da Stefano Di Loreto.
Si tratta di un brano episodico, pensato per fasce di suono che vengono raggiunte e abbandonate in maniera progressiva, dove la qualità del suono è decisamente l’aspetto più importante.
Nelle parole dell’autore: “I vari episodi che compongono il brano sono differenti realizzazioni di un’unica idea musicale: la formazione, trasformazione e dissipazione di fasce sonore. Semplici spunti melodici sono il seme di agglomerati sonori via via più complessi, agglomerati la cui densità viene aumentata e diminuita tramite addizione o sottrazione di note. Il titolo è una metafora visiva e simbolica di ciò che avviene nel brano: il maestrale, vento secco e freddo che spira da nord-ovest, è capace in poche ore di spazzare via le nuvole e di disperdere foschie e polveri; il suo arrivo in Provenza è quindi motivo di un cielo sereno e di un’aria limpida. Come fosse vento, il passaggio di aria nello strumento filtrerà l’asprezza di certi cluster per restituirci sonorità trasparenti e cristalline”.
L’altro brano di Sordano, inciso da me e dal sassofono di Laura Venditti, è dedicato alla figura di Claude Debussy. Composto nel 2018, nel centenario della morte del compositore francese, ripercorre in cinque episodi altrettanti momenti della sua vita. Il primo, L’enfant prodige, vuole ritrarre in qualche modo il Debussy appena diciottenne del Trio in Sol op. 1; sono, dunque, in primo piano la melodia e un’armonia sostanzialmente tonale. Il secondo, Pomeriggio a Villa Medici, fa tornare al tempo della vittoria del Prix de Rome e al soggiorno di Debussy nella villa pinciana. Come riporta Andrea Sordano: “A Roma [Debussy] si innamorò del contrappunto di scuola romana e della musica di Palestrina. In questo brano ho tentato di coniugare questi due elementi con l’elemento arabesco delle melodie Debussiane”. Nel terzo brano, Pétit sérénade à Monsieur Croche, possiamo ritrovare un libero uso della dodecafonia, simbolo dell’antitradizionalismo debussiano.
È veramente splendido vedere, in questi tre brani in modo particolare, come sia ancora possibile scrivere musica originale e di qualità in questo tempo così liquido, dove niente sembra più avere senso o importanza, e come questo venga realizzato da giovani compositori armati di pazienza, impegno e voglia di realizzare qualcosa di significativo.
E in ultima analisi è anche la prova che, a dispetto di quanto si possa pensare, il passato (più o meno recente) ha ancora molto da dare a chi è disposto ad osservarlo con umiltà e sincero interesse.