Festival 2019: un bilancio del nostro inviato a Sanremo

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Simone CristicchiChi, come me, vive a Sanremo sa che il Festival trascende il discorso musicale per trasformarsi in un piccolo saggio di psicologia delle masse.
Infatti, per una settimana, la città si divide tra gli appassionati della canzone italiana ed i “critici a prescindere” che, magari di nascosto, ascoltano qualche brano per essere preparati nel parlarne male.
La pervasività dei social ed il gusto, tipicamente italico, della polemica politica e del complotto hanno messo in croce il Direttore Artistico Claudio Baglioni già prima dell’inizio della rassegna in seguito ad alcune sue dichiarazioni sul tema dell’accoglienza.
La sua risposta è stata quella di definire la 69° edizione come il “Festival dell’armonia”.
Missione riuscita?
Direi di no.
In quanto lo spirito livoroso di una parte consistente di questo paese ha continuato ad esprimersi raggiungendo il picco nelle polemiche contro la “giuria di sinistra” che ha premiato con la vittoria finale Mahmood, reo di essere un italiano di seconda generazione e lontano dai canoni della nostra tradizione canora.
Non è stato il “Festival dell’armonia” neppure nel senso musicale in quanto sono state rare le composizioni originali nella costruzione armonica enfatizzando, invece, facili melodie o ritmi coinvolgenti.
Bisogna dare atto, però, alla volontà di inserire nel cast artisti emergenti e vicini al gusto giovanile come Ghemon, Achille Lauro, Einar, Briga, Ultimo ed il succitato vincitore a sorpresa a far da contraltare ai classici Renga, Berté e Patty Pravo.
Tralasciando le note dolenti (decisamente prevalenti a mio parere) concentriamoci sulle poche cose da ricordare: Daniele Silvestri, con l’aiuto del rapper Tarek Iurcich, in arte Rancore, ha affrontato il tema dello straniamento di molti adolescenti odierni e del loro difficile rapporto con l’istituzione scolastica e con la famiglia.
“Argento vivo” è un brano duro, vibrante in cui l’orchestra, a tratti dissonante, dialoga col ritmo scandito dalla batteria di Fabio Rondanini comunicando il senso di sconfitta di una generazione di padri che non sa più comunicare coi figli e si stupisce vedendoli legati ad una realtà sempre più virtuale.
La vittoria del Premio della Critica Mia Martini e Lucio Dalla, oltre al riconoscimento per il miglior testo, rendono giustizia al cantautore romano che si conferma come uno degli artisti più interessanti in circolazione.
La poesia di Simone Cristicchi, presente con “Abbi cura di me”, gli è valsa il premio come migliore interpretazione e composizione anche se, a mio parere, l’accoppiata di recitato e ritornello cantato ricorda altri suoi brani precedenti.
Degna di nota la grinta di Loredana Berté che, a dispetto della sua lunga e travagliata carriera, mantiene una energia che molti giovani le dovrebbero invidiare.
Il quarto posto, da lei ottenuto, ha scatenato una ondata di protesta tra il pubblico dell’Ariston (ed anche tra gli addetti ai lavori) in quanto avrebbe meritato, secondo molti, di essere sul podio a scapito de Il volo, trio di tenori che rappresenta gli stereotipi dell’Italia immaginata da un turista russo.
La presenza di The zen circus ed Ex Otago, rappresentanti dell’indie rock, del controverso Achille Lauro, dei divertenti Boomdabash e del pupillo del “Club Tenco” Motta stanno a testimoniare che il Festival si è aperto ad una visione più ampia della scena musicale italiana e questo, al di là della opinabile qualità delle canzoni in gara, va ascritto come merito della “gestione Baglioni”.
Ora, con l’affievolirsi delle polemiche, saranno il tempo ed il mercato a decidere quali canzoni otterranno riscontri e resteranno nella nostra memoria.
Come scrisse Sergio Bardotti (a cui è intitolato il Premio per il miglior testo) in “Canzone per te”, che Sergio Endrigo portò alla vittoria nell’edizione del 1968, “La festa appena cominciata è già finita”.
Ora Sanremo tornerà al suo tran tran quotidiano.
In attesa di nuove canzoni e nuove polemiche.

 

(foto Umberto Germinale)