La Donna Musica e il mondo che verrà
Barbara Hannigan al Festival di Spoleto
Barbara Hannigan sta per risalire sul palco del Teatro Romano, al Festival dei Due Mondi. È il 7 Luglio del 2024. Il pubblico del Festival la ricorda sul palcoscenico di Piazza Duomo, quando nel 2022 vestiva i panni di Elle, la protagonista della tragedia lirica in un atto La Voix Humaine [1] di Francis Poulenc composta sul testo di un monologo di Jean Cocteau. Contemporaneamente voce solista e maestra sul podio, servita da un grande schermo che rendeva visibili per il pubblico anche i suoi gesti, guidava l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Qui a Spoleto quest’artista è amata, desiderata, attesissima. La chiamano la Donna Musica.
– …è l’unica al mondo che dirige l’orchestra cantando.
– Ma stasera dirige o canta?
– Tutte e due.
– Quando arriva?
– Deve essere una cosa complicata…
– Ma chi è questo Zorn [2]?
– Non vedo l’ora di…
Sono le voci delle spettatrici e degli spettatori prima di uno spettacolo: ascoltare ciò che la gente si dice prima di assistere a un evento dal vivo è un’esperienza affascinante. È come se il pubblico fosse esso stesso un’orchestra, specchio del palco, una costellazione temporanea che ha bisogno di accordarsi, di impastarsi fisicamente, sonoramente, metaforicamente come essere assembleare, cercando posizione e senso collettivo, in una speciale condizione di ascolto nella prossimità umana.
La musica contemporanea sembra insidiosa nell’esecuzione, considerata di non facile ascolto, spesso stravolge i concetti di tonalità e modalità ed è caratterizzata da dissonanze, vocalizzi inattesi, suoni e rumori della quotidianità che spiazzano l’ascoltatore pop comodamente adagiato su tre accordi. C’è un’attesa dalla multiforme sfumatura, un’attesa comunque consapevole del fatto che “qualcosa” di sicuro sta per accadere, sul palco o da qualche altra parte nella memoria incarnata di tutti noi, richiamati da una sensazione di epica grandezza che non ha bisogno di mediazioni.
Di Barbara Hannigan so che è canadese, di Waverley, classe 1971, che a sette anni la musica è diventata la sua casa grazie alla sua prima insegnante, Miss McEwen, e che grazie a una seconda docente conosciuta all’Università di Toronto, Mary Morrison, la musica contemporanea è diventata per lei un fatto imprescindibile. È bello dire, ricordare, celebrare i nomi di chi ha custodito e nutrito la vocazione e il talento di una bambina prima e di una giovane donna poi. Lei oggi è quello che è anche perché le altre che l’hanno guidata sono state intensamente loro: ho imparato a chiamare queste donne “co-madri”, donne che vegliano l’una sull’altra, si ascoltano e si scambiano insegnamenti sull’anima [3].
So anche che Barbara Hannigan, acrobata vocale, soprano dalla precisione sovrannaturale, è capace di sfidare il limite delle possibilità umane e che John Zorn aveva già progettato per Hannigan brani di musica d’avanguardia, sperimentali ed elettronici come Jumalattaret [4]. Si esibirà in Star Catcher con il Jack Quartet (Christopher Otto violino, Austin Wulliman violino, John Pickford Richards viola, Jay Campbell violoncello) e con batteria, basso, pianoforte e vibrafono rispettivamente sotto il tocco di Ches Smith, Jorge Roeder, Sthephen Gosling e Sae Hashimoto.
So che Barbara Hannigan ha una carriera trentennale già intensamente vissuta con Waltz, Mitchell, Dutilleux, Ligeti, Sciarrino, Benjamin assieme a Händel, Bach, Mozart a farle da maestri, compagni, sorgenti di cui lei è matura interprete e alleata poetica, pronta assieme ad altre donne sul podio a trasformare la relazione di potere tra chi dirige e i suoi strumentisti in qualcosa… qualcosa che ancora non so… che non so ancora chiaramente nominare.
Un applauso… eccola! Sono abbastanza vicina per guardare al dettaglio il suo straordinario corpo performativo. La immaginavo immensa, possente… invece è esile, raffinatissima, con i muscoli rigorosamente disegnati dal lavoro fisico di una vita.
Il primo pezzo è Star Catcher, a surrealist fantasy for Remedios Varo [5], ispirato alle opere della pittrice surrealista.
Hidden beings
Tarot card desire
Lunar reflection
dreaming
Il testo è un cut-up dei titoli di una selezione di dipinti della Varo. In un ritmo forsennato, in una gamma di eventi sonori che vanno dal graffio allo stridio, dal soffio allo scoppio, in veste nera lucida, ampia e a braccia nude, Hannigan guida una cavalcata metamorfica, una fantasia surrealista in cui la parola si ripercuote nello spazio e nel tempo, smargina l’umano per riverberare il non umano. In un’allucinazione, una sensazione di commistione d’età della vita che coinvolge tutto (le pareti, le luci, il teatro, noi…tutto) vedo un essere contemporaneamente bambina e vecchia giovane donna e donna attuale che canta nel presente e dirige nell’oltre.
Tiforal
Mimesis
Anxiety
Into the world beyond
The threads of fate
Strange rites
To be reborn
Sento il bisogno di togliermi gli occhiali. Di vedere meno. Di non vedere più.
È la volta di Ab Eo, Quod, brano che trae ispirazione dall’opera di un’altra grande artista surrealista e mistica: Leonora Carrington [6]. ll titolo fa parte di un’iscrizione contenuta nel suo dipinto Ab Eo, Quod del 1956.
“Ab eo, quod nigram caudam habet
abstine, terrestrium enim deorum est”.
“Evita ciò che ha la coda nera,
perché appartiene agli dèi della terra”.
Al vibrafono, Sae Sashimoto appare. C’era già, in posizione, in jeans treccia e maglietta nera, ma al suo primo gesto si ripresenta ai nostri sensi. La percussionista di origine giapponese sembra proporre un nuovo incipit, sentimentalmente più largo stavolta, più plausibile per la mente umana. Penso che i suoni del nostro mondo non siano semplici, affatto. E provare a comprendere la complessità di ciò che può essere udito è un [i]nostro compito: ascoltare il vento, le acque, la montagna, l’albero e la divinità della Terra. Sashimoto tocca con le bacchette lo strumento, sembra poggiare i piedi su una superficie fluida immaginaria, crea un disegno che rende l’aria visibile. La vedo: ha cinque anni ed è a Osaka nel suo primo incontro con la musica; è contemporaneamente anche qui, davanti a tutti noi, all’apice di una carriera da musicista; ed è anche altrove, in un luogo della musica di cui solo lei conosce i margini.
Liber Loagaeth è una preghiera-incantesimo: Hannigan la esegue con il Jack Quartet invocando consonanti e vocali assieme a frammenti del sottotitolo del brano:
Vocatus Atque non Vocatus, Deus Aderit
Proibito o no, Dio è sempre presente
È il motto inciso sulla porta di Carl Jung ed è originariamente la parola dell’Oracolo di Delfi. Ma come può la sua voce essere più acuta del suono di un violino? Davanti a quale porta spalancata ma nascosta ci porta questo suono? Cosa fa Hannigan ora, in colori chiari e vesti ampie? Sarà stato davvero così il canto oracolare? Questa la sua possibile forma immersiva, rischiante? Hannigan performa tutta la sua eredità musicale in una dimensione fuori misura, si fa il canale attraverso cui qualcosa… qualcosa… (il Dio proibito?) guida l’umanità verso l’ignoto.
Hannigan lascia il palco a Casting The Runes, ispirato all’omonimo racconto di M.R. James [7]. Vero corpo a corpo di Smith, Roeder, Gosling e Sashimoto con i loro strumenti da cui emergono sofisticatissimi materiali sonori. Questo brano è iper, in tutti i sensi possibili: ipercinetico, iper-swing, iper-jazz. Un’allucinazione futurista imprendibile. Eccolo John Zorn! Ecco l’irrequieto altosassofonista newyorkese che porta il suo universo magico di formule, energie, codici di significazione. Ecco il compositore dal corpo di lavoro controverso che sfida l’arte, l’alchimia, il misticismo!
Ritorna Barbara: siamo sul finale con Pandora’s Box. Canta, parla, recita, danza, dirige chi suona in un movimento sferico, di rotazione circolare e tutto, tutto diventa musica.
Book evil
Lost
Eternal thirsting
Witch’s curse
A broken pitcher
Angels look up
Volatile shadows
Care not
Heart-beings
Terrifying curiosity [8]
In questi ultimi istanti capisco cosa ancora non sapevo, capisco cosa ho davvero di fronte, a quale evento stiamo insieme assistendo, io e gli altri, gli altri sconosciuti qui con me, stranieri alla mia biografia eppure così intimi in questo momento di apertura. Non è immediato: arriva di colpo, alle spalle… un’immagine mitica emerge lentamente, fino a collocarsi in tutta la sua pregnanza al centro di una fulgida visione che riverbera ciò che questa straordinaria figura del mondo artistico-performativo richiama dall’oblio del nostro mondo di oggi. Sembra un ricordo all’origine del mondo: la prima Donna Musica batte il suo tamburo e conduce l’umanità attraverso il suono fuori dall’oscurità. La Donna Musica ha tutte le età della vita: è riserva boschiva d’incanto, sorgente del pianto e stupore d’infanzia, brama di accoppiamento e rinascita perpetua, preghiera di pietà e vecchiezza sapiente, soglia di morte e corpo vibrante di quella rivolta originaria che accade in ogni donna, in ogni uomo, in ogni cosa che si trova sospesa tra caos e cosmo, tra attrazione e respingimento, tra creazione e distruzione.
In Pandora’s Box, la sensuale trasposizione della Lulu di Alban Berg di Zorn (ispirata a un’enigmatica poesia di Paul Celan scritta in tedesco e in inglese), mentre rivive il racconto di Zeus che dona agli uomini la donna come offerta mortale, causa di tutti i mali, liberatrice curiosa e incosciente degli spiriti di vecchiaia, gelosia, malattia, pazzia e vizio… Hannigan usa il suono della Parola prima per attaccare e tormentare e poi per condurci alla fine del bosco dove si prega al centro della radura e si guarda insieme nel fondo del vaso per capire cosa è rimasto.
Ed è a questo punto che si intuisce il mondo come sarà: che verrà un giorno un potere tutto al femminile, plurale e unitario che sosterrà e nutrirà mentre godrà della libertà altrui, che crescerà e si espanderà mentre curerà il gesto umano, che diventerà strumento incarnato del vivere autentico. Non è la prima volta che l’arte ci fa vedere cosa c’è da vedere, che ci fa andare dove ce c’è da andare, che ci fa agire secondo la più pura legge poetica.
Mi rimetto gli occhiali. Ora voglio vedere. Voglio vedere di più! In Hannigan si rivela qualcosa, questa cosa: la sua arte è l’indicazione luminosa per la nostra prossima evoluzione umana.
E ora sola resta la Speranza.
Drammaturga e linguista, Flavia Gallo è fondatrice di Humanitas Mundi Teatro, ensemble di ricerca, cultura e produzione teatrale. Si occupa di cooperazione tra artisti e artiste, di riscrittura contemporanea della tragedia classica, di educazione poetica pubblica. Vincitrice di premi di drammaturgia nazionali e internazionali tra cui Tragos e Sipario, nel 2022 è autrice selezionata al College Autori della Biennale Teatro di Venezia. Dal 2023 fa parte della Direzione Artistica del Teatro del Lido di Ostia (RM).
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FOTO: FESTIVAL DEI DUE MONDI – © ANDREA VERONI
1 https://www.festivaldispoleto.com/eventi/la-voix-humaine
2 https://www.treccani.it/enciclopedia/john-zorn/
3 Cfr. La danza delle grandi madri, Feltrinelli, Milano, 2012, p. 97
4 https://www.festivaldispoleto.com/eventi/jumalattaret
5 https://nmwa.org/art/artists/remedios-varo/
6 https://www.enciclopediadelledonne.it/edd.nsf/biografie/leonora-carrington
7 Casting the Runes è un racconto dello scrittore inglese M.R. James pubblicato nel 1911 in More Ghost Stories
8 Testo originale di Paul Celan in tedesco e traduzione in inglese di John Zorn