Sebbene appartenga alla tradizione musicale della Sardegna, le origini del trimpanu sono tuttora dibattute. Secondo la classificazione Hornbostel-Sachs si colloca nella categoria dei membranofoni a frizione. Su di esso disponiamo di informazioni decisamente confuse: alcune lo definiscono come strumento utilizzato in guerra, altre come di ausilio al pascolo. Viene anche chiamato scorriu, moliaghe, òrriu, tunciu, zumbu zumbu.
Struttura e costruzione
Il trimpanu è composto da una cassa armonica in sugherone o in sughero gentile (o sughero femmina) spesso, però, sostituito con altri materiali, compresi barattoli di latta scoperchiati. Prima di essere lavorato, il sugherone viene sottoposto a bollitura per essere poi rivoltato in modo che la superficie liscia risulti all’esterno. Nella parte superiore del cilindro viene fissata una membrana in pelle, tenuta in tensione tramite spire di spago o con una striscetta di legno di pioppo; nella parte interna, al centro della membrana, viene fissato uno spago (preferibilmente crine di cavallo) intriso di pece, assicurato nei punti di giuntura alla pelle da due dischetti in cuoio, atti ad evitare che quest’ultima subisca lacerazioni.
Relativamente alla pelle utilizzata, dobbiamo fare una precisazione circa la diceria che si tratti di quella “di cane morto di fame”, come viene detto spesso anche per altri strumenti musicali sardi. Pare che questa credenza sia dovuta al fatto che una pelle priva di grasso produca vibrazioni maggiori e più profonde. Ciò, però, a parte rare eccezioni o testimonianze di tali pratiche in periodi di carestia o di guerra, non è assolutamente documentabile, né, tantomeno, ha riscontro presso i costruttori, che sostengono che la pelle di capretto sia sempre la migliore.
Esecuzione/modalità di utilizzo dello strumento
Considerato che per produrre l’effetto sonoro è necessario afferrare e agire sul legaccio impeciato, non è possibile eseguire figurazioni ritmiche complesse come con numerosi, altri tamburi, per cui lo strumento non è vocato alla normale pratica musicale. Facendo scorrere la cordicella, opportunamente tesa, tra le dita (spesso viene afferrata usando un pezzo di tessuto in orbace) dalla base del cilindro verso l’esterno, viene sollecitata la membrana, che, vibrando, produce un suono cupo e profondo, che si propaga in lontananza e, sembrerebbe, quasi insopportabile per gli animali, soprattutto per i cavalli, in quanto capace di produrre una grande quantità di infrasuoni. Si dice che un tempo, grazie a questa peculiarità, su trimpanu venisse impiegato per allontanare dalle greggi gli animali predatori, per raccogliere le mandrie o, addirittura, che venisse usato dai malviventi alla macchia per disarcionare di sella i carabinieri che erano sulle loro tracce. È questa la ragione che, verso la fine dell’Ottocento, spinse le autorità a vietarne tassativamente l’utilizzo, con regio decreto. Infatti, anche se per l’uomo non sembra particolarmente fastidioso, lo è moltissimo per i cavalli, che, sentendolo all’improvviso, si spaventano, s’impennano e sono portati a disarcionare chi li cavalca, dandosi alla fuga.
Un trimpanu originale dell’epoca del banditismo sardo, sequestrato tanti anni fa, lo si può ammirare nel piccolo museo allestito presso la sede della Legione dei Carabinieri di via Sonnino a Cagliari, ma anche al “MuSPoS” Museo degli Strumenti Popolari Sardi, recentemente aperto a Pula dal maestro Orlando Mascia.
Oggi, il trimpanu viene utilizzato soprattutto nelle sfilate tradizionali e in occasione delle manifestazioni carnevalesche.
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Questo articolo è frutto della collaborazione tra Accademia di Musica Sarda e “Strumenti&Musica Magazine”