Rokia Traorè: musica e idee dal (e per il) Mali fuori dagli stereotipi

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Rokia TraoréRokia Traorè è una delle musiciste africane più conosciute al mondo. Ha al suo attivo diversi album, grazie ai quali, soprattutto negli ultimi anni, ha acquisito una visibilità che l’ha inserita nello scenario internazionale delle musiche etniche contemporanee.

Così come il suo stile la lega ai “maestri” che, da qualche decennio, ci hanno introdotto alle interpretazioni “africane” del vecchio rock’n’roll (per banalizzare), la sua figura e la sua presenza in questo scenario suggeriscono un’apertura importante verso una differenziazione sempre più marcata e innovativa del mercato musicale.

È vero che musicisti, soprattutto africani, hanno definito il profilo di un panorama musicale nuovo fin dagli anni Settanta. Ma di là dell’entusiasmo degli studiosi, di qualche discografico illuminato e dei musicofili più curiosi, è sempre rimasto un fenomeno di nicchia, sebbene interessante non solo sul piano musicale ma soprattutto culturale e sociale. E questo anche in considerazione del successo che la cosiddetta world music ha ottenuto a partire dagli anni Ottanta.

Oggi la scena cambia e le sue caratteristiche più significative convergono nella musica e nella consapevolezza della Traorè. La quale suona una Gretsch degli anni Sessanta, si distanzia dallo stereotipo della cantante folk (indigena) depositaria di conoscenze ancestrali, è tornata a vivere in Mali e da lì, in un contesto lacerato dalla guerra civile, produce la sua musica e propone al mondo le sue idee.

È da poco uscito il suo ultimo disco “Beautiful Africa”, per la Nonesuch Records, ricco di sonorità blues e influenze musicali occidentali. Lo scorso giugno si è esibita a Napoli, al teatro Mercadante, nello spettacolo “Desdemona”, scritto dal premio Nobel Toni Morrison e diretto da Peter Sellars, e a luglio in concerti a Roma e Milano. L’Africa che traspare dalle sue produzioni è più reale e contraddittoria, meno ballabile e incastrata in ritmi cadenzati e piatti. Come ha dichiarato recentemente in un’intervista a la Repubblica: “l’arte e la cultura possono connettere l’Africa con se stessa. Ci manca la capacità di vivere in pace, la collaborazione e il rispetto sembrano appartenere a un linguaggio sconosciuto. Vorrei che i giovani potessero avere le stesse possibilità che ha un adolescente di un altro posto del mondo”. E in questo difficile processo l’artista ha un ruolo di primo piano, perché interpreta e diffonde, ma è anche in grado di accelerare e anticipare i flussi politico-culturali che determinano le possibilità di una rinascita o del superamento della congiuntura negativa che sta interessando il Mali in questo momento. “C’è tanto da fare”, chiosa la Traoré, “la mia esperienza può essere utile come esempio. Mi interessa lavorare al tema della scolarizzazione, è complicato, tra lingua Bambara, altri idiomi e il francese. Sto studiando un progetto. Il campionario di disperazione dell’Africa è sotto gli occhi di tutti: fame, economia malata, sopraffazione. È difficile che voi europei possiate comprendere. Siamo un giovane continente che lotta per la propria indipendenza contro il neo colonialismo. Mi sento disorientata, ma non senza speranza”.