Ascoltare per comprendere (1^ parte)
Il senso in musica tra didattica e divulgazione
Comprendere la musica, ascoltandola. Quale musica? L’oggetto sonoro considerato sotto l’aspetto artistico ed estetico, di cui analizzare le caratteristiche sonore in quanto tali, oppure quell’evento sonoro in grado di interagire, attraverso le sue strutture, con la natura e la cultura dell’ascoltatore, suscitando un’importante esperienza emotiva?
“Nell’ascolto della musica si nascondono tante vicende degli uomini e tante esperienze che essi stessi, i ragazzi, conoscono […]. Esperienze motorie o fisiologiche (l’arrivo, la partenza, il culmine, il crescendo, il diminuendo, l’estinguersi, la calma, l’eccitazione, e così via), esperienze tattili e visive (peso, chiarezza, luminosità spazio, colore, apparenze dense o trasparenti, ruvide o penetranti, o pungenti, ecc.), riferimenti a situazioni sociali (la festa, la danza, il dialogo, la ninna nanna, il rito, il lamento, la perorazione, la preghiera…) o infine a oggetti del mondo: macchine, animali, eventi fisici, albe, tramonti, acque, fuochi. Per capire certi aspetti della percezione non basta insomma saper riconoscere gli intervalli”. Così, Mario Baroni, nella presentazione del libro di AA. VV, La musica racconta se stessa (Unicopli, 1984), ci introduce alla complessità del senso in musica veicolato dall’ascolto, segnando la via per una ampia riflessione particolarmente interessante e utile in quegli ambiti della didattica ad ampio raggio che vanno dalla formazione di base alla divulgazione musicale verso il pubblico non specializzato.
Grazie al processo di acculturazione che avviene fin dalla nascita, l’ascoltatore non “specializzato” sviluppa capacità di comprensione di quello che viene percepito come messaggio musicale, una capacità che non seleziona e analizza gli elementi strutturali, ma coglie intuitivamente la globalità del senso, in relazione a contesti ed esperienze significative nella vita dell’individuo.
Le caratteristiche di queste modalità di approccio e fruizione dell’evento musicale costituiscono una base importante per la comunicazione e la divulgazione e allo stesso tempo sorta di punto di partenza con cui la didattica è chiamata a confrontarsi nel progettare l’acquisizione di quelle conoscenze che porteranno a una competenza tecnica più avanzata (quindi verso una competenza musicale colta), riflettendo innanzi tutto sul complesso e controverso problema dell’attribuzione di senso, quindi di significato, alla musica.
Molti sono gli studi compiuti e le ipotesi avanzate sul “meccanismo” interpretativo e quindi sulla natura delle relazioni tra significante e significato in musica; ricorderemo in questa sede gli studi di Mario Baroni, il cosiddetto modello di Competenza Musicale avanzato da Gino Stefani, la prospettiva psicologica e psicomotoria degli studi di Robert Francès e di Michel Imberty, la riflessione di Francois Delalande sul simbolismo del gesto e del movimento.
Il contributo di Mario Baroni definisce la natura non concettuale del significato musicale e descrive le relazioni tra il significato e la struttura musicale che ne è portatrice. Baroni osserva che, al contrario del significato della parola (che assolve a precise funzioni semantiche nel definire categorie di oggetti e di eventi e nel distinguere concetti), il cosiddetto significato della musica “allude” all’esperienza umana dell’ascoltatore, evocando prevalentemente esperienze emotive. La musica, quindi, è asemantica, nel senso che la natura del suo significato non è concettuale; infatti, non siamo di fronte a significati concettualmente precisabili ma a “un complesso di suggerimenti che permettono l’interpretazione”. La riflessione sottolinea ancora che le teorie sulla semanticità delle emozioni mostrano come le risposte emozionali non siano sempre precisamente descrivibili da definizioni concettuali e traccia un possibile parallelo con le interpretazioni della musica, che vengono elaborate in modo non concettuale anche se la comunicazione sociale deve necessariamente servirsi delle parole. Quindi, la musica può essere pensata come un linguaggio, che, attraverso le proprie strutture sonore, è in grado di trasmettere un insieme di significati, sulla base di convenzioni interpretative acquisite per acculturazione e non attraverso apprendimenti formali. Le origini del significato musicale possono essere collegate a molti settori di esperienza. Baroni fa principalmente riferimento al consolidarsi della pratica della musica strumentale, che derivava da schemi legati a gesti vocali e fisici, conservandone i significati convenzionali anche in assenza della parola e nel caso di complesse elaborazioni tecniche. Il linguaggio musicale, quindi, si serve di una sorta di “grammatica”, intesa come sistema di collegamento fra regole strutturali fissate all’interno di una determinata cultura, a cui corrisponde un sistema di convenzioni semantiche per cui l’ascoltatore è in grado di attribuire senso a tali strutture musicali; un terreno comune, che mette a disposizione di compositore e ascoltatore una complessa gamma di possibilità espressive per comporre e interpretare la musica. Per Baroni, la relazione tra il significante e il significato, in musica, è caratterizzata da una somiglianza tra la struttura dei suoni e l’esperienza umana evocata; la convenzione interpretativa viene così definita come analogica e motivata, distinguendola da quella arbitraria, che caratterizza il linguaggio verbale, in cui la relazione tra significante e significato è costituita (a eccezione delle onomatopee) dall’assenza di somiglianza tra le parole e gli oggetti cui esse rinviano.
A partire dalla considerazione che i significati della musica sono culturali e non universali, anche se “soggettivi” all’interno di una stessa cultura, Gino Stefani propone una teoria di Competenza Musicale, competenza intesa come “capacità di produzione di senso mediante e/o intorno alla musica”, costituita da un insieme codici, distinti in diversi livelli:
“Dei codici generali”: schemi percettivi e schemi logici, antropologicamente universali, che assicurano processi mentali e sensoriali grazie ai quali la realtà viene percepita in termini sinestesici o decodificata secondo criteri logici.
“Delle pratiche sociali”: permettono l’interpretazione di eventi sonori sulla base dell’esperienza sociale che appartiene ai membri di una certa cultura.
“Delle tecniche musicali”: l’interpretazione è anche in questo caso un “fatto” culturale; si basa, infatti, su convenzioni musicali proprie della cultura di appartenenza.
“Dello stile”: l’interpretazione avviene grazie all’associazione tra tecniche musicali e certi contesti storico-culturali.
“Dell’opera”: la conoscenza che si ha dell’opera musicale ne influenza in maniera determinante l’interpretazione.
Diversa l’impostazione della riflessione di Robert Francès, Michel Imberty e Francois Delalande, anche se non è difficile trovare degli importanti punti di contatto con il contenuto della teoria di Gino Stefani. Nella sua Analisi del rapporto simbolico nell’espressione musicale dei sentimenti, Francès indaga la natura del significato in musica a partire dal concetto di emozione e osserva che l’emozione e il sentimento si manifestano, innanzitutto, attraverso sensazioni fisiche: la percezione del sentimento è in primo luogo percezione corporea, che risulta indipendente dalla consapevolezza della causa scatenante e precedente la capacità di dare nome all’emozione stessa. Il ricordo dell’emozione si costruisce, così, attraverso risposte posturali e toniche, che mettono l’individuo in condizione di riconoscerle anche nelle manifestazioni corporee e vocali altrui. Non solo. La percezione fisica delle emozioni passa nel simbolismo musicale: si rinviano cioè alle strutture musicali le caratteristiche fisiche, ritmiche e di energia del corpo quando vive una emozione. L’attribuzione di significato alla musica quindi non è una proiezione di sentimenti, ma un riconoscimento percettivo di quanto già vissuto. Vediamo come.
La musica è in grado di simbolizzare cinestesia, tensione e distensione dell’atteggiamento corporeo e, quindi, dell’espressione. Traduce, cioè, le emozioni in quanto risultato di azioni motorie, avvalendosi di messaggi posturali e visivi. La fusione delle sensibilità tattile, muscolare e artrocinetica costituisce il senso posturale, garantisce “l’acquisizione delle dimensioni spaziali, temporali e di intensità delle reazioni corporali” e con esse delle nozioni di sforzo, rilassamento, velocità, ritmo, resistenza, frenata, ecc. Le componenti ritmiche e toniche della musica si rifanno a tutti questi elementi che formano il senso posturale e, quindi, sono in grado di simbolizzare gli stati psicologici a essi legati, permettendo una suddivisione in grandi famiglie di emozioni.
La simbolizzazione delle sfumature delle emozioni non può avvenire attraverso la dimensione motoria dei messaggi posturali, ma deve ricorrere a mezzi di suggestione visivi attraverso le convenzioni melodiche e armoniche delle strutture musicali. La creazione di senso in musica avviene, quindi, attraverso la formazione intuitiva e preconscia di “schemi affettivi”: un insieme strutturato di percezioni, movimento corporeo ed emozioni a essi collegate, che sono il punto di passaggio tra il vissuto delle nostre emozioni e la possibilità di riconoscerle in musica.
In estrema sintesi la musica si costruisce su ritmi, movimenti, tensioni e distensioni (componenti “motorie”), unitamente a convenzioni melodiche e armoniche (componenti “visive”). A partire da questi elementi la musica evoca stati affettivi costruiti da ognuno su emozioni e percezioni durante la propria esperienza. Francès si occupa, dunque, del senso in musica a partire dall’emozione culturalmente espressa, evidenziando come la capacità di attribuire senso in musica sia prodotto delle caratteristiche delle esperienze personali di un individuo che è, comunque, parte interagente di una cultura.