La generosità, l’entusiasmo e la comunicazione genuina di Sergio Scappini
Queste le tre caratteristiche fondamentali del modus vivendi del fisarmonicista Scappini
Fisarmonicista di lunghissima esperienza, storico docente di fisarmonica fra i più apprezzati in Italia e all’estero, Sergio Scappini è un musicista all’avanguardia, sempre incline all’innovazione. Nel corso della sua brillante carriera ha fatto incetta di premi nazionali e internazionali, ha tenuto concerti in tutto il mondo e diretto masterclass a tutte le latitudini. In tutti questi anni ha riscosso enormi successi sia da concertista che in qualità di insegnante di fisarmonica, esperienze che racconta ricordando anche alcuni divertenti aneddoti.
Durante il tuo ricco percorso di formazione didattica hai incontrato diversi docenti eccellenti, fra i quali Emanuele Spantaconi, recentemente scomparso, con il quale hai stretto un rapporto personale molto profondo. Quanto ti ha arricchito artisticamente e umanamente questa frequentazione così importante con lui?
Conobbi Emanuele Spantaconi nel settembre del 1964, quando mia madre mi accompagnò con mio fratello presso la locale scuola di musica. Ben presto, da maestro, divenne amico di famiglia con un rapporto che si è mantenuto negli anni. Oltre all’aspetto prettamente didattico ho sempre riconosciuto in lui grande generosità, vivo entusiasmo e una spontanea comunicazione. Tutti valori che ho condiviso e che spero di aver assimilato, elaborato e trasmesso.
Nel corso della tua prolifica carriera hai fatto incetta di premi e sei stato vincitore di numerosi concorsi nazionali e internazionali assai prestigiosi come, ad esempio, il XXIV “Trophée Mondial” della C.M.A. (Confédération Mondiale de l’Accordéon). Potresti raccontare i momenti emotivamente più intensi legati a questa esperienza?
Sono passati moltissimi anni. Ricordo e sorrido più per gli episodi “periferici”, cioè quelli “gastronomici” e “turistici”, che per i concorsi stessi. Ricordo qualche importante commissario come la cecoslovacca Marta Checheova, qualche personaggio mitico come Bio Boccosi e tanti ragazzi che, come me, frequentavano quelle manifestazioni. Gli istanti che precedevano l’esecuzione erano sempre carichi di adrenalina e di tensione, ma trascorsi i momenti duri aveva predominanza il rapporto umano. La mia scarsa competitività mi ha permesso di superare indenne qualche delusione e, soprattutto, le gioie momentanee.
Inoltre, hai vinto il concorso per fisarmonicista di palcoscenico del “Teatro alla Scala” di Milano. Che repertorio di brani hai dovuto presentare?
Questo lo ricordo meglio. È più recente, risale al 1989 (ride, ndr). Il programma da presentare prevedeva brani tratti dal repertorio classico della tradizione fisarmonicistica italiana, ancora oggi a mio avviso validissimo. Oltre all’esecuzione di Fugazza, Pozzoli, Ferrari Trecate e Melocchi era previsto un brano a prima vista e un colloquio motivazionale. In commissione ricordo Aldo Turconi che, oltre ad essere violinista di fila presso l’orchestra del teatro, era anche un valente fisarmonicista. Ma per anni mi precluse il piacere di suonare alla “Scala”. Ho aspettato quasi dieci lunghi anni.
Sei molto attivo come concertista da solista, camerista e con orchestre in alcuni fra i più prestigiosi teatri del mondo. Artisticamente, senti di esprimerti al meglio da solista, camerista, in contesti orchestrali, oppure queste tre dimensioni ti rappresentano allo stesso modo?
Ho avuto la fortuna di suonare in situazioni importanti, contesti tradizionali, ma anche in balere imbarazzanti. Da solo, in ensemble variegati e con orchestra, ma sicuramente quella orchestrale è stata la più bella delle esperienze, affrontando repertori classici, di musica leggera, popolari o cosiddetti di “ricerca”. Penso di aver suonato di tutto, ma non ricordo di averlo fatto svogliatamente o senza entusiasmo. Certamente sempre con rispetto per il pubblico e per me stesso. Suonare è una grande fortuna. Ecco perché sono felice e conscio della buona stella che mi ha sempre accompagnato.
Sei stato titolare della prima cattedra di fisarmonica in Italia presso il conservatorio “Gioachino Rossini” di Pesaro, mentre adesso sei ordinario al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano. Nel tuo metodo d’insegnamento, quali sono i fondamenti da cui non si può assolutamente prescindere nella formazione di un allievo?
Sì, la prima cattedra di fisarmonica in Italia è stata quella di Pesaro, poi trasformata in corso ordinario. Da questa sperimentazione sono nate successivamente tutte le altre cattedre. A prescindere dal sistema di insegnamento che varia da studente a studente, penso che la cosa più importante sia riportare al centro dell’interesse socio-culturale la figura dell’allievo che deve essere il protagonista assoluto dell’attività didattica, particolarmente di quella pubblica. Insegnare significa dare, donare, regalare, senza la presuntuosa pretesa di essere ringraziati, anche perché spesso si impara più di ciò che si insegna. «Dimenticati della riconoscenza», mi disse e mi insegnò il buon Spantaconi. Nonostante siano in atto variazioni didattiche continue, spesso deliranti, credo che non si possa prescindere da una formazione che consenta l’assimilazione delle diverse tecniche e la conoscenza del più vasto repertorio non solo fisarmonicistico. Sostanzialmente ritengo che non si possa fare a meno di una didattica tradizionale.
A proposito di attività didattica, hai tenuto svariate masterclass in tutto il mondo: Italia, Cina, Corea del Nord, Spagna, Svizzera e non solo. Ti è capitato di incontrare studenti maggiormente talentuosi che ti hanno colpito in maniera particolare?
Ho avuto la fortuna di conoscere numerose ragazze e numerosi ragazzi di provenienza e cultura profondamente diverse: dall’Italia alla Cina, dalla Corea del Nord al Sud America. Moltissimi hanno fatto della musica la propria attività e dunque la propria vita. Tutti talentosi, ognuno a proprio modo e con originali sfaccettature assai differenti: chi dotatissimo tecnicamente, chi con un istinto musicale particolare, chi magnificamente spregiudicato nella ricerca del “nuovo”, chi intelligentemente organizzato in uno studio al limite del maniacale. La musica li ha aiutati soprattutto nella loro crescita. Oggi sono tutti musicisti affermati, ma soprattutto belle persone.
Hai collaborato con la Roland Europe alla creazione del V-Accordion, la prima fisarmonica virtuale del mondo di cui sei stato testimonial in Italia, Germania, Belgio, Australia, Spagna, Giappone, Cina, Corea del Sud, Canada, Russia e Stati Uniti. E nel 2010 sei stato insignito dell’Award “Electronic Arts Hamamatsu” per l’attività svolta. Quali sono le caratteristiche tecniche del V-Accordion?
Nel 2004 nacque la prima fisarmonica virtuale con marchio Roland. Già il fatto che questa azienda si sia rivolta alla fisarmonica penso sia stato un importantissimo evento nella storia del nostro strumento, quantomeno per aver scosso il mondo fisarmonicistico non sempre avvezzo a novità così dirompenti. Il primo esemplare era oggettivamente pieno di problematiche soprattutto per chi non voleva assolutamente vederne i lati positivi, ma già da esso si intravedeva un potenziale enorme che avrebbe potuto portare allo sviluppo di uno strumento dalle grandi possibilità. I successivi modelli e l’intervento della Bugari, con la conseguente nascita del settore digitale al suo interno che ha portato in seguito alla creazione della Bugari Evo, cioè una fisarmonica a tutti gli effetti con un “cuore” Roland, ha apportato allo strumento miglioramenti tali da farla apprezzare almeno ai fisarmonicisti più di larghe vedute. In buona sostanza lo strumento può essere usato come una fisarmonica (sono molti i modelli campionati al suo interno), mettendo a disposizione dell’esecutore una serie di suoni ed effetti che aprono al fisarmonicista un mondo sonoro unico ed affascinante.
Focalizzando l’attenzione su questo strumento innovativo, ritieni che la conoscenza approfondita del V-Accordion possa rappresentare un valore aggiunto soprattutto per un fisarmonicista moderno?
Assolutamente sì. A mio avviso non ha ancora avuto il meritato riscontro da parte degli addetti ai lavori, penso per l’erroneo paragone che ci si ostina a fare con la fisarmonica, poiché ne ha la forma e la gestione, ma è uno strumento molto diverso. Peraltro sono convinto che si debba suonare e studiare come ogni altro strumento e, soprattutto, conoscerlo a fondo prima di darne un giudizio privo di preconcetti. Trovo sia un ottimo mezzo di comunicazione e non dimenticherei l’aspetto prettamente professionale: è una macchina musicale che piace molto al pubblico e, se ben usata, risulta essere un ottimo strumento, innovativo e curioso. Presso il conservatorio di Milano, da anni, abbiamo istituito l’indirizzo di “Fisarmonica Digitale” accanto al tradizionale corso di fisarmonica. Il programma è lo stesso e prevede lo studio del repertorio antico e originale con trascrizioni dal repertorio musicale degli strumenti diversi nonché della creazione di materiale originale, il tutto in parte o in toto proposto o riproposto con l’ausilio delle caratteristiche elettroniche fornite dallo strumento. Inoltre, essendo il codice lo stesso della fisarmonica, ci è sembrata corretta questa scelta sia nei confronti dei fisarmonicisti “acustici”, ma soprattutto nei riguardi dei fisarmonicisti “digitali”, che hanno il diritto di conoscere profondamente la fisarmonica. Per gli studenti che lo frequentano il compito è sicuramente più impegnativo, ma il risultato e la soddisfazione finali sono ampiamente ripagati. Sempre al conservatorio di Milano abbiamo anche attivato un master di primo livello in “Fisarmonica Digitale”. Molto felicemente posso dire che tra gli allievi dei corsi accademici e quelli dei master si è creato un entusiasmo particolare verso la fisarmonica, il pianoforte, il violino, l’orchestra e la musica tutta.
Soffermandosi ancora sullo strumento, che modello di fisarmonica utilizzi solitamente in studio di registrazione e nei concerti?
Ho tre strumenti: per il repertorio originale e antico uso una 45 tasti con sistema C Griff. Mentre quando non ho necessità di bassi sciolti, e soprattutto per lo splendido repertorio italiano tradizionale, suono volentieri una 41 tasti a bassi standard e, chiaramente, mi diverto anche con uno strumento digitale: l’Haria. Tutti rigorosamente della Bugari.
Hai in serbo nuovi progetti discografici o concertistici per l’immediato futuro?
Oltre ad andare in pensione e a dedicarmi ai nipotini, attendo. Ogni giorno mi porta qualcosa di nuovo.