Coltivatori di sogni

Intervista a Francesco Grillenzoni, frontman dei Tupamaros

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TupamarosQuesto mese, ho incontrato i Tupamaros, coltivatori di sogni, ma ben ancorati ai temi sociali e alle problematiche reali, i cui testi e la cui musica non sono mai lasciati al caso. Originari di Carpi (MO), durante la loro lunga carriera, vivono una transizione che va dai ritmi punk dell’inizio alla musica combat folk e autorale, in una costante crescita e sperimentazione. Una sperimentazione che passa anche per il teatro: ambiente in cui ormai da anni si mettono in discussione e diventano testimoni di quanto musica e teatro possano essere due arti complementari. Ringrazio Francesco Grillenzoni, voce, chitarra e co-fondatore dei Tupamaros per aver accettato di essere intervistato e averci aperto le porte del loro esteso mondo.

Per iniziare, cosa ha a che fare la band con i Tupamaros, combattenti del Movimento di Liberazione Nazionale uruguaiano?

Bella domanda! Questo nome è stato casuale e fortemente voluto allo stesso tempo. Casuale perché, come racconto nel libro A un passo dal traguardo, la storia illustrata dei Tupamaros (2020), è nato ancor prima del gruppo. Mi spiego: nel 1994, conducevo un programma radiofonico sui gruppi locali e in quella occasione ho conosciuto un gruppo di Spilamberto (i Santiago) con cui mi sono trovato talmente bene, che, durante l’estate, mi hanno chiesto di partecipare a un concerto in cui erano solo in duo e avevano bisogno di un altro cantante/chitarrista. Ora, uscire con il mio nome mi sembrava eccessivo e uscire come Santiago mi pareva scorretto nei confronti dei musicisti che non partecipavano alla data. In quel periodo stavo leggendo una biografia di Renato Curcio dove c’era questo riferimento ai mitici Tupamaros, considerati una leggenda dai movimenti extraparlamentari di sinistra del tempo. Ora, io sono sempre stato affascinato dai movimenti rivoluzionari dell’America Latina, aggiungi il fatto che i Clash (mio eterno amore) avevano un disco chiamato Sandinista (movimento rivoluzionario del Nicaragua), beh… il nome era perfetto! Però, come ti dicevo, è un nome fortemente voluto, perché ha condizionato fin da subito la mia scrittura: tutte le canzoni che ho scritto da quel momento hanno sempre avuto un taglio politico o, per meglio dire, di impegno civile, come se quel nome mi costringesse a prendere sul serio i tre minuti di una canzone e a non sprecarli, stando attento ai testi e cercando di usare la forma canzone per dire qualcosa di significativo. Non so se ci sono riuscito, ma l’obiettivo è sempre stato quello.

Tra il 2015 e il 2016, dopo un lungo stop, avete deciso di tornare prima con la partecipazione ad alcuni progetti di teatro civile e poi con la realizzazione dello spettacolo Gente Distratta – chi ha cancellato gli anni ’90? Cosa vi ha dato la spinta giusta per ricominciare a pieno ritmo?

Più che cosa, direi chi. Infatti, è stato grazie a Giovanni Taurasi, uno storico locale nonché amico sia mio che di Stefano Garuti (fisarmonica), che ci ha fortemente voluto per il suo spettacolo di history telling Dalla notte all’alba della democrazia in cui si racconta il periodo che va dall’8 settembre 1943 al referendum monarchia-repubblica. Io e Stefano siamo i fondatori dei Tupamaros (insieme a Marco Sghedoni, il contrabbassista purtroppo scomparso nel 2004), ma dalla sua uscita dai Tupa nel 2001 non avevamo più suonato insieme se non sporadicamente, durante qualche reunion occasionale. Lo spettacolo di Giovanni ci ha fatto ritrovare prima il piacere di suonare e stare insieme, poi quello di tornare a comporre: ci sono voluti anni, ma la sensazione ora è quello di non esserci mai lasciati. Ti ringrazio anche per aver citato il nostro Gente Distratta: è un progetto a cui teniamo molto, in cui il concerto dei Tupamaros si mescola a monologhi sugli anni Novanta dalla guerra nella ex Jugoslavia alla scesa in campo di Berlusconi, alla trattativa Stato-mafia, ma anche a cose positive come l’avvento della finanza etica e il movimento no global. Come ti dicevo, è un progetto di cui andiamo orgogliosi e ne abbiamo fatto pure una web series che si può ancora trovare sulla pagina Facebook dei Tupamaros.

A proposito del vostro ritorno, come è cambiata la vostra musica rispetto al 1995?

Beh, indubbiamente sono passati vent’anni, siamo cresciuti, abbiamo vite diverse e questo si riflette per forza di cose in ciò che cantiamo e soprattutto nel come cantiamo. Certo, il furore punk degli esordi (principalmente dal vivo eh, che su disco siamo sempre stati più attratti da sonorità più tranquille) è un po’ sparito ma nemmeno troppo. Indubbiamente, ora anche il mio modo di scrivere è cambiato. Non ho mai amato troppo gli slogan e nei miei testi ho sempre cercato di evitarli. Le nuove canzoni sono, secondo me, più profonde e, anche musicalmente, pur essendo legati affettivamente a quel genere che si definisce di solito combat folk, ci siamo progressivamente spostati verso la musica d’autore. Inoltre, con gli anni ci siamo fatti più spavaldi e se una canzone ci piace non ci facciamo troppi problemi se sia o meno nel nostro genere: diciamo che abbiamo una libertà che prima forse non avevamo.

Un segno particolare da inserire in un’ipotetica carta d’identità della band è proprio il vostro accompagnamento musicale a spettacoli teatrali di history telling. Come nasce l’idea di dedicarsi anche al teatro e come conciliate i vostri concerti con gli spettacoli di teatro canzone?

Come ti dicevo, prima tutto è nato dall’invito di Giovanni Taurasi che ci ha rimesso insieme (perlomeno me e Stefano) e devo dirti che fin da subito ci siamo accorti che la dimensione teatrale ci piaceva da matti. Intanto, per me è una novità non essere al centro della scena, ma mettere la mia voce e la mia musica al servizio della narrazione è una cosa che mi piace un sacco e mi permette di concentrami ancora di più sull’ esecuzione. Poi, essendo, ahimè, ormai di una certa età, mi sembra che nella forma teatrale io possa dire cose importanti in un modo più consono alla mia età e alla mia esperienza. Per quanto riguarda il fatto di conciliare le due esperienze (spettacoli teatrali e concerti), devo dirti che non potrei chiedere di meglio. La mia anima rock ha comunque bisogno del live. Il concerto tirato di novanta e passa minuti mi rende sempre molto felice e ti dirò che l’esperienza teatrale mi ha aiutato molto a gestire il live: ora, riesco a tenere il palco molto meglio e anche le presentazioni dei brani (gli altri Tupa mi hanno sempre accusato di “tenere dei sermoni”) sono più focalizzate e inserite nello spettacolo. Insomma, non rinuncerei a nessuna delle due esperienze.

Nelle vostre canzoni e nei vostri spettacoli trattate temi sociali anche molto delicati come quello dei migranti, non da ultimo con Tocco terra. Storia di eroi senza gloria realizzato insieme a Paolo Bruini, e quello della parità di genere con le canzoni scritte per lo spettacolo Alfonsina, corridora. Qual è lo scopo della vostra “musica resistente”?

Come ti dicevo, l’idea di scrivere cose “impegnate” arriva da lontano: i Tupamaros sono nati proprio con questo intento. Stessa cosa per gli spettacoli teatrali. Tutti gli spettacoli a cui partecipiamo come Tupamaros (al momento ne ho ben sei in cartellone) hanno come elemento comune proprio le tematiche sociali. Dalla notte all’alba della democrazia parla di Resistenza, Marci su Roma è una rilettura di come un manipolo di esaltati sia riuscito a prendere questo paese e farlo diventare una dittatura per vent’anni, il già citato Gente Distratta racconta gli anni Novanta, mentre nel nostro Alfonsina Corridora raccontiamo la storia di Alfonsina Morini Strada (unica donna a correre il Giro d’Italia insieme agli uomini) e tocchiamo temi come la parità di genere, i pregiudizi e la discriminazione. Ancora, in Tocco Terra raccontiamo l’epico viaggio di un migrante che dal Gambia arriva in Italia, fino ad arrivare al nuovo progetto La mafia cantata ai ragazzi, che vedrà la luce l’anno prossimo, in cui insieme al giornalista Pierluigi Senatore abbiamo deciso di raccontare con musica, video e parole le mafie, soprattutto ai ragazzi delle scuole, convinti che si debba lavorare proprio sui ragazzi per crescere una generazione più attenta e civile. Ecco, questo credo proprio che sia lo scopo ultimo del nostro fare “musica resistente”: cercare di offrire spunti di riflessione soprattutto alle nuove generazioni. Ovviamente, cercando pure di farli divertire, eh.

TupamarosDurante la vostra lunga carriera, e nonostante i cambi di formazione, una costante, oltre alla voce, è stata la fisarmonica: uno strumento che è al centro di questa rivista. Che ruolo ha nella vostra idea di musica?

La fisarmonica è stata fin da subito la nostra chitarra elettrica. Diciamo pure che non ci potrebbero essere i Tupamaros senza la fisarmonica! Tutti i riff e i cantati (ovvero le parti melodiche) sono di competenza della fisarmonica. Amo quello strumento perché è indubbiamente popolare ma allo stesso tempo non ti vincola a certi generi musicali come altri strumenti della tradizione popolare. Può essere folk, ma anche jazz o tante altre cose. E aggiungo che, nonostante negli anni i fisarmonicisti nei Tupa siano stati vari (Albino Berti, Daniele Contardo e Alessandro Zacheo), per i nuovi Tupa, ovvero quelli “rinati” nel 2019, la presenza di Stefano Garuti, il fisarmonicista con il quale abbiamo iniziato tanto anni fa, è imprescindibile. Ormai io e lui siamo “una coppia di fatto” e faticherei moltissimo a immaginare i Tupa senza la sua presenza!

L’album Senza Paura (2021) è stato realizzato grazie al sostegno di oltre duecento persone che hanno aderito alla vostra campagna di crowdfunding: credo che questo sia un segno evidente e tangibile dell’affetto che la vostra comunità, come amate definirla, ha per voi. Vi sareste aspettati una risposta del genere? Che rapporto avete con i vostri sostenitori?

L’esperienza del crowdfunding di Senza Paura è stata un vero e proprio miracolo: ci siamo avvicinati alla “cassa comune” con molta diffidenza, non pensavamo proprio che ci potesse essere ancora interesse per un gruppo che, per quanto avesse girato tanto negli anni Novanta e nei primi Duemila, era fermo da tanto tempo. Invece, la risposta è stata meravigliosa e davvero mi ha fatto capire che il mio ruolo è quello di cantore di una comunità, per quanto piccolo e meno talentuoso di altri. Dico spesso che il successo per un gruppo come i Tupamaros non si può misurare in vendite di dischi o passaggi televisivi, ma nel rapporto che riesce a instaurare con la propria comunità: in questa accezione noi siamo un gruppo di grande successo. Pensa che avevamo messo come obiettivo per il crowdfunding 3.500 euro (e non eravamo nemmeno convinti di riuscire a raggiungere quella cifra), mentre a fine campagna abbiamo sfiorato i 10.000, ma, soprattutto, abbiamo avuto il sostegno di duecentotrentacinque persone, davvero una cosa inaspettata. Per quanto riguarda il rapporto con i nostri sostenitori, ci consideriamo parte della stessa comunità: con molti di loro è nata una vera e propria amicizia, ma anche con chi frequento meno o non frequento affatto per via della distanza sento che quello che si è creato non è certamente il rapporto artista-fan, ma qualcosa di molto più profondo e duraturo. Credo che la vera ricchezza di un mestiere come il mio sia avere la possibilità di entrare in contatto con tanta gente simile a me e non ti nascondo che aver recuperato questo rapporto, dopo tanti anni di inattività, mi rende felice e in uno stato di perenne gratitudine. Insomma, valeva davvero la pena di ricominciare a macinare chilometri.

Nel 2022 è uscito il vostro ultimo album Coltivatori di sogni (Live). Ci dobbiamo aspettare un altro album o l’idea è quella di dedicarsi principalmente ai live tra concerti e teatro?

Per carità! Stiamo già scrivendo nuove canzoni. In tempi grigi come questi gli spunti sui quali scrivere canzoni non mancano. Fra l’altro, l’anno prossimo saranno vent’anni dalla scomparsa di Marco e vorremmo davvero ricordarlo con un disco nuovo e magari anche con un bel concerto con molti ospiti: credo che continuare a suonare e portare avanti il progetto che lui aveva costruito insieme me e a Stefano sia il modo migliore per ricordarlo. I tempi sono terribili e non esistono più etichette indipendenti come la Gridalo Forte Records (etichetta che ha pubblicato i nostri primi tre album), quindi aspettatevi una nuova campagna di crowdfunding, sperando che la nostra comunità continui a supportarci.

Lasciateci un messaggio per i nostri lettori

Intanto, un grazie enorme a voi per esservi ricordati di questo vecchio gruppo che ancora non smette di sognare! A proposito di sogni, beh… quello che vorrei dire a tutti i lettori è che noi da quasi trent’anni ci definiamo “coltivatori di sogni” (se ci fate caso in ogni album compare sempre questa frase, declinata magari in modo diverso, è il nostro motto) e crediamo che il denominatore comune della nostra comunità sia proprio questo: la capacità di coltivare sogni e combattere per farli crescere rigogliosi e forti. Una delle cose più belle che mi sia capitata dalla nostra ripartenza è stata proprio vedere vecchi “fan” (che brutta parola!), che magari all’epoca erano ragazzini, diventare adulti, ma sempre capaci di coltivare i sogni. Ho incrociato realtà di volontariato, agricoltura sociale, cooperazione internazionale portate avanti da loro così come ho avuto la fortuna di conoscere nuove realtà che lottano ogni giorno per rendere questo posto un po’ migliore. Quindi, dovunque siate e a qualunque età, continuate non solo a sognare, ma a coltivare sempre il vostro sogno come contadini con il sudore, la passione e l’amore. Noi lo facciamo da quasi trent’anni e vi posso garantire che ne vale la pena.

 

(Foto di Matteo Buzzi)

 

DISCOGRAFIA

Gente Distratta (Gridalo Forte Records, 1998)

Live! (Autoprodotto, 1999)

Non è cambiato niente (Gridalo Forte Records, 2000)

Sogni da Coltivare (Gridalo Forte Records, 2002)

Dimenticate (Autoprodotto, 2010)

Senza Paura (Autoprodotto, 2021)

Coltivatori di Sogni Live (Autoprodotto, 2022)

 

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