Fabrizio De Rossi Re: la fisarmonica protagonista del nostro tempo

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Fabrizio De Rossi ReTradizionalmente Fabrizio De Rossi Re compone opere teatrali, sinfoniche, corali e musiche da camera. Il suo ultimo lavoro questa volta, il brano appositamente scritto per il PIF dal titolo “White shadows” (che proponiamo nell’esecuzione del cinese Junhao Mao), si discosta notevolmente per genere dal suo filone più naturale, avvicinandosi però alla fisarmonica con estrema delicatezza.

Il brano colpisce per la raffinatezza, il trasporto e l’intensità. Ascoltandone l’esecuzione, ad occhi chiusi, sei quasi preso per mano e suggestivamente traghettato nel mondo bianco ed immaginifico del regista californiano W.S. Van DyKe.

De Rossi Re non ha voluto deludere le attese. Infondo aveva già anticipato che fra lui e la fisarmonica esisteva da sempre una attrazione ed un rispetto unico. Ne è uscita così una composizione in cui lo strumento ad ancia appare respirare, dominare, a tratti rassegnarsi al suo destino. Un rapporto di naturale simbiosi fra artista e film. Brano sicuramente impegnato ma non per questo meno suadente e suggestivo.

Diplomato al Conservatorio Santa Cecilia di Roma, attualmente docente a quello di Fermo, ha studiato fra gli altri con Mauro Bortolotti, Raffaello Tega, Salvatore Sciarrino. Come pianista jazz partecipa spesso a sessioni con altri solisti, spaziando, come tiene a sottolineare, tra il patrimonio della musica classica ed il jazz.

È da sempre un convinto assertore della duttilità della fisarmonica.

Maestro, qual è il filo conduttore che la unisce a questo strumento?

“La dignità che la fisarmonica si è conquistata nel tempo. Io appartengo infatti ad una generazione che riconosce a questo strumento un suo ruolo. Non le nascondo che mi ha sempre attratto anche perché mio padre ha iniziato lo studio della musica proprio sulla fisarmonica, passando solo in un secondo tempo al jazz. Credo di non essere contraddetto quando affermo che per quasi tutti gli italiani la fisarmonica è stata sicuramente un trampolino di lancio per entrare nel mondo della musica. Anche per una doppia valenza che gli appartiene: da una parte sicuramente strumento di grande cultura popolare ed allo stesso tempo, soprattutto negli ultimi trenta anni, ha saputo aprirsi ad una tradizione legata alla musica scritta, sia trascrizioni che partiture originali”.

Anche per lei, dunque, la fisarmonica ha fatto parte della sua adolescenza?

“La fisarmonica mi riporta direttamente a mio padre il quale era un grande cultore della musica di Gorni Kramer. Per me inizialmente la fisarmonica era quella. Successivamente mi sono reso conto che era diventata sempre più completa perché con lei si può fare veramente di tutto. Ancora oggi in Italia, soprattutto fra i non addetti ai lavori, c’è chi crede che sia relegata unicamente alla cultura popolare. In realtà è uno strumento che può avvicinarsi a tutto. Dalla musica leggera, al pop, alla musica classica, alle trascrizioni di grandi autori (da Frescobaldi a Bach) fino alla musica contemporanea. Genere, quest’ultimo, che le ha dato un contributo importante con la composizione di brani significativi. Oggi la fisarmonica è insomma una protagonista del nostro tempo”.

Che suggestioni carpisce dalla fisarmonica?

“La fisarmonica mi ha sempre appassionato per l’infinità di colori che riesce a darti ed anche per quel suono denso che dà grande malinconia. Un timbro struggente che ti rapisce. Un aspetto non sfuggito ad Astor Piazzolla che ne ha saputo cogliere e valorizzare le varie sfumature. In me la passione per questo strumento nasce in questo modo. Nel tempo ho avuto anche modo di utilizzarla in più occasioni. Ho scritto concerti per fisa ed orchestra, fisa e voce. L’ho insomma utilizzata per varie situazioni perché è uno strumento duttile”.

Fabrizio De Rossi Re e Ivano BattistonQual è l’importanza della fisarmonica per i giovani?

“È uno strumento completo ed agile allo stesso tempo. Quindi questa doppia funzione è sicuramente molto stimolante e di attrattiva per un giovane. La fisarmonica può essere un grande trampolino perché è in grado di offrire una infinità di colori, ma ha anche una valenza propedeutica – didattica non indifferente. I primi vagiti della fantasia musicale nascono sicuramente dalla fisarmonica. Poi magari avranno percorsi anche diversi. Ma quasi tutti, almeno in Italia, in partenza hanno legami stretti con questo strumento o diretti od indiretti (un nonno o qualche familiare).

Presidente di giuria al PIF. Esperienza positiva?

“Assolutamente sì. Sono rimasto impressionato dalla qualità generale del concorso. Hai di fronte il panorama mondiale dello strumento con le varie scuole a confrontarsi. Il PIF, non voglio esagerare, è un bene nazionale che andrebbe tutelato come può essere il Colosseo o la Cappella Sistina. Mi piacerebbe vivere in un Paese dove le istituzioni fossero un po’ più pronte a sostenere questo tipo di realtà.  Questa manifestazione è una punta di diamante non solo per la fisarmonica in sé, con la sua storia ed i suoi costruttori, ma dà voce ad una babele di strumentisti. Io ho fatto parte di concorsi che si definivano internazionali solo perché avevano 3 o 4 concorrenti stranieri. Qui no. Trovi veramente le realtà di tutto il mondo a confronto.

Lei è docente al Conservatorio di Fermo dove c’è una cattedra di fisarmonica. Le sembra abbia raggiunto in generale la “parità di genere” con gli altri strumenti?

“Molti Conservatori, fino a pochi anni fa, l’hanno penalizzata considerandola troppo legata alla cultura popolare e per questo quasi uno strumento di serie B. E’ stato per fortuna un errore del passato. Oggi c’è una mentalità molto più aperta a 360 gradi. Per esempio a Fermo, come diceva, abbiamo, oltre alla cattedra di jazz, fino a pochi anni fa impensabile, anche quella di fisarmonica. Posso dirle che ha saputo conquistarsi una sua dignità. Fatta di eccellenti musicisti e compositori che sanno valorizzarla”.