Fisarmonica come forma di espressione. Intervista a Davide Vendramin

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Davide VendraminDavide Vendramin ha studiato al Conservatorio di Milano, all’Università degli Studi di Torino e all’ Hochschule der Künste di Berna (Svizzera). Come solista ha suonato con l’Orchestra Sinfonica “Giuseppe Verdi” di Milano e con l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma eseguendo, in prima nazionale, lavori per fisarmonica e orchestra di Salvatore Sciarrino (Storie di altre storie) e Sofia Gubajdulina (Sotto il segno dello scorpione).

Ha collaborato con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di Torino, con l’Orchestra del Teatro “La Fenice” di Venezia, con l’Orchestra Sinfonica “I Pomeriggi Musicali” di Milano, con l’Orchestra Filarmonica “Arturo Toscanini” di Parma, l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, la Berner Symphonie Orchestre, la Mahler Chamber Orchestra e celebri direttori quali, Claudio Abbado, Riccardo Chailly, Daniele Gatti, Wayne Marshall, Ingo Metzmacher.

Con l’Orchestra Sinfonica “Giuseppe Verdi” di Milano diretta da Giuseppe Grazioli ha partecipato all’incisione dell’integrale delle opere per orchestra di Nino Rota per DECCA.

Insegna fisarmonica al Conservatorio di Vicenza.

Cominciamo dall’inizio. Qual è stato il suo percorso? Si è trattato di un apprendimento lineare, guidato dalla passione, oppure è stato accidentato, con ripensamenti e riconsiderazioni?

Ho cominciato per noia, o meglio, per sfuggire alla noia. La scuola era finita e mi aspettavano tre mesi di vacanza, dolce far niente, o quasi. Avevo 8 anni e abbracciai la fisarmonica di mio zio per trascorrere qualche ora in modo diverso. Non l’ho più lasciata.

Fortunatamente ho avuto la possibilità di studiare quasi subito con lo strumento a bassi sciolti, i primi saggi, tanti concorsi, il diploma al Conservatorio di Pesaro e un Master biennale sulla musica contemporanea alla Hochschule der Künste di Berna. Si, ci sono stati e ci sono tutt’ora momenti in cui mi chiedo se avessi potuto suonare un altro strumento, rari i momenti in cui mi chiedo se avessi potuto fare un lavoro lontano dalla musica, ma in fondo è nato tutto per caso e va bene così, sono una persona felice e realizzata.

Può parlarci della sua esperienza come didatta?

Attualmente insegno al Conservatorio di Vicenza, sin dal mio arrivo mi sono accorto che la fisarmonica destava tra i colleghi grande interesse e curiosità. Ho colto l’occasione per fare in modo che i miei studenti potessero fare il maggior numero di esperienze possibili e realizzare progetti che fuori dal conservatorio possono concretizzare solo i fisarmonicisti più preparati e fortunati. Posso citare ad esempio, l’esecuzione delle Sieben Worte per bajan, violoncello e archi di Sofia Gubajdulina, il concerto per fisarmonica e orchestra Pohádky di Václav Trojan, il Double Concerto di Astor Piazzolla per chitarra, bandoneon e orchestra, Opale, per fisarmonica e orchestra di Richard Galliano, oltre a composizioni dedicate ai miei studenti ed eseguite da loro nell’ultima edizione della Biennale Musica di Venezia.

Cosa significa suonare oggi la fisarmonica in uno scenario musicale differenziato e competitivo?

Innanzitutto non tradire la propria natura per il facile guadagno. Il rischio di soddisfare le leggi del mercato porta inevitabilmente i musicisti ad affrontare diversi generi in modo superficiale, spesso ai limiti del dilettantismo. Negli anni della formazione suggerisco ai miei studenti di confrontarsi con più generi e stili diversi in modo che alla fine del percorso ognuno possa prendere “la sua strada”.

Uno dei punti di forza di un Conservatorio penso sia proprio questo. Soprattutto con i nuovi percorsi di studio gli studenti possono frequentare lezioni di musica antica, classica, jazz e contemporanea e poi decidere cosa fare con il proprio strumento che per me rimane un mezzo per esprimersi, niente di più.

Ha inciso per case discografiche importanti, come la Decca, e ha suonato con orchestre e direttori di fama internazionale. Che ruolo assume l’attività di concertista nella sua vita, nella quale si dedica anche alla didattica del suo strumento?

Ho avuto la fortuna di collaborare con grandi orchestre e grandi musicisti, da tutti ho imparato qualcosa e ciò che ho imparato lo condivido poi con i miei studenti. Penso sia doveroso che questo accada, è indispensabile per un docente che in classe insegna ai suoi studenti cosa fare sul palco solcare frequentemente quel palco: proporre sempre nuovi lavori e frequentare validi musicisti non può che migliorarci.

Ha suonato molto anche all’estero. Ci sono differenze importanti tra il nostro paese e gli altri che lei conosce nello spazio dedicato alle musiche per fisarmoniche?

Per l’esperienza che ho fatto io non ci sono grandi differenze. Quando si propongono dei compositori che hanno scritto prevalentemente per fisarmonica, e non sono i “Big” della composizione, non bisogna aspettarsi che un grande Festival o una importante associazione musicale li accolga “a braccia aperte”. Un po’ di diffidenza c’è in Italia e all’estero. La crisi economica che ci colpisce influenza inevitabilmente i teatri e le stagioni musicali che devono fare i conti con il botteghino, quindi devono avere in cartellone nomi conosciuti al grande pubblico. Ciò non toglie che tra i nomi noti non ci sia spazio anche per qualche compositore meno noto.

Quali sono i progetti a cui sta lavorando in questo momento?

Quella che mi sta più a cuore ora è la collaborazione con l’Orchestra “Toscanini” di Parma, per una serie di concerti che hanno in programma le trascrizioni di grandi lavori sinfonici di Gustav Mahler (Sinfonia N°4, Das Lied von der Erde, Kindertotenlieder ecc.), rielaborati per ensemble da Schoenberg e dai suoi allievi. È un progetto che mi soddisfa molto perché riempie, in parte, la grande lacuna che ha il repertorio per fisarmonica: la mancanza di lavori dedicati al nostro strumento dai grandi compositori, le cui opere sono però presenti frequentemente nelle stagioni concertistiche. Dicevo, questa lacuna è stata colmata solo parzialmente, perché la fisarmonica viene usata in queste versioni “tascabili” dei grandi lavori mahleriani al posto dell’armonium ed ha sì un ruolo fondamentale per legare il suono dei fiati a quello degli archi, ma non ha una parte principale.

Se solo Čajkovskij avesse scritto il suo meraviglioso concerto in Re Maggiore per fisarmonica invece che per violino, oggi il nostro strumento non avrebbe i problemi di visibilità che conosciamo!

Purtroppo i compositori contemporanei che invece si sono interessati al nostro strumento non sono così popolari tra gli abbonati dei teatri e questo in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo fa la differenza, in Italia e all’estero.

La crisi che viviamo non è solo economica, purtroppo è anche e soprattutto culturale!

Può regalarci un suo breve ricordo del maestro Abbado?

Ho avuto il piacere di lavorare con Abbado dieci anni fa quando suonai con i solisti della Mahler Chamber Orchestra al Festival di Lucerna.

Come è facile immaginare è stata un’esperienza unica e nonostante fosse già malato, trasmetteva molta energia, aveva un gesto essenziale e uno sguardo che ti faceva capire subito che cosa chiedeva ai suoi musicisti. Io suonavo vicino a lui a non più di un metro e alla fine dell’esecuzione, ancora sul palco tra gli applausi, ha stretto la mano a tutti ringraziandoci: un grande gesto di umiltà dal quale tutti dovremmo imparare.