La fisarmonica si suona col corpo e l’anima. Intervista a Saro Calandi

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CalandiSaro Calandi si è diplomato in clarinetto al conservatorio G. Verdi di Milano con il M° L. Magistrelli. Studia fisarmonica come autodidatta e ne approfondisce le tecniche partecipando a numerosi stage e corsi di perfezionamento, sia in Italia che all’estero. A una ricca attività concertistica, che lo vede calcare palchi importanti in tutta Europa e collaborare con artisti di fama internazionale, affianca quella di compositore e insegnante, sia di clarinetto che di fisarmonica. Sia come solista che in collaborazione con gruppi e artisti, si confronta con vari generi musicali, dal jazz alla classica, dal folk al rock, ai generi etnici, come tango, flamenco ecc.

La tua carriera concertistica inizia sui palcoscenici della musica da ballo, per poi articolarsi negli universi jazz, rock, etno, classico. La fisarmonica, dunque, è realmente uno strumento versatile o solamente una moda che sta tornando in auge tra i giovani?

I miei primi passi con la fisarmonica li ho mossi a tempo di mazurca. Penso che questo genere di musica, in Italia, sia una tappa per diversi giovani che si accostano a questo strumento. È un mondo di nicchia, misterioso, per chi non sa quante porte può aprire questo strumento. Purtroppo la mancanza di conoscenza fa sì che molte persone storcano il naso di fronte alla parola “Fisarmonica”. Non sono d’accordo quando si parla di moda: penso che questo strumento sia sempre stato di moda. Forse la nuova generazione si sta accorgendo sempre di più del suo potenziale e quindi di un suo possibile utilizzo anche in svariati generi musicali, certamente grazie a molti artisti di fama mondiale, su tutti Richard Galliano e Astor Piazzolla. La fisarmonica per me è una piccola grande orchestra, ricca di sfumature, che mi ha permesso di spaziare tra stili diversi.

La nuova generazione di fisarmonicisti ha saputo contrastare quello scetticismo e quella diffidenza che capeggiava tra tanti musicisti, i quali ritenevano la fisarmonica non all’altezza e comunque uno strumento di serie B. La tua propensione e le origini nella musica da ballo hanno in qualche modo ostacolato la tua consacrazione artistica?

La musica da ballo per me è stata un’eccellente palestra, un punto di partenza per la mia carriera di musicista. Ripeto il concetto: la fisarmonica ha bisogno di più conoscenza, di uscire cioè da un certo isolamento intellettuale. Dire “musica da ballo”, per esempio, è a volte inteso come un modo per sminuire questo strumento, ghettizzandolo in un mondo a sé, con tutte le contraddizioni e le distorsioni prodotte da questa marginalità. Avete mai sentito parlare del campione del mondo di violino? O di trombone? Ebbene, per la fisarmonica c’è, e non è un bene: definire campionati del mondo un concorso musicale, è un po’ ridicolo. Questo significa sminuire lo strumento. Giusto o sbagliato che sia, la fisarmonica si trova a doversi confrontare con un passato glorioso ma imperfetto: è vissuto come uno strumento dal quale può uscire solo un certo tipo di musica e non altri. Quando invece può esprimere molti generi.

Hai un modello? Ti ispiri a qualche artista in particolare?

Da piccolo ricordo di essere andato a trovare a casa il maestro Gigi Stocchi, in arte Gigi Stok, e di aver provato una grande emozione nell’esecuzione dei suoi brani, nell’essere ascoltato da lui. Per me Stok era un idolo, un punto di arrivo musicale. Mi sono rimasti impressi un suo gesto e una sua frase: dopo solo poche battute di una sua composizione, mi tirò via la mano dalla tastiera e mi disse: “Per prima cosa bisogna suonare con il cuore…”. Comunque, non mi sono mai ispirato a un musicista solo ma a molti: ascolto musica di ogni genere ricercando sonorità diverse senza focalizzarmi solo nel mondo fisarmonicistico, prediligendo la musica etno-popolare. Adoro ascoltare cantanti, penso che noi strumentisti abbiamo molto da imparare dalla loro tecnica.

Dal tuo percorso didattico emerge una forte propensione allo studio “fai da te”, salvo poi frequentare i corsi di perfezionamento con delle istituzioni come Frédéric Deschamps e Vladymir Zubytsky. Cosa pensi degli attuali programmi d’insegnamento e che tipo di soluzioni adotti con i tuoi allievi?

Artisticamente parlando mi sento uno spirito libero. Da piccolo giocavo con i suoni di un pianoforte ricercando piccole melodie. Oggi ci sono moltissime scuole di alto livello, la cosa che noto e che mi fa pensare è che ogni anno escono dai conservatori molti studenti, magari bravi tecnicamente ma con un difetto a mio avviso importante: la mancanza di originalità. Non voglio generalizzare, ma capita spesso di ascoltare un bravissimo pianista e poi sentire, a stampo, altri 100 pianisti simili. Una frase che dico ai miei allievi è: la fisarmonica si suona con il corpo. È uno strumento molto fisico: deve essere un tutt’uno con il nostro corpo e, volendo, anche con l’anima. Con gli allievi cerco di valorizzare il fatto di far musica sin dall’inizio, anche mentre si affrontano le prime difficoltà tecniche senza soffocarli troppo. Ogni allievo è diverso: ha le sue qualità e particolarità. Penso che un insegnante debba essere in grado di capire che tipo di allievo ha davanti e di conseguenza incoraggiarlo, senza ingessarlo. Un altro problema legato alla competizione è che la fisarmonica deve sempre fare più note di altri strumenti per dimostrare il suo valore, che per me, peraltro, è indiscutibile.

Come riesci a conciliare il timbro della fisarmonica con i sinth, i virtual e i groove tipici dei generi sonori contemporanei?

Io prediligo la fisarmonica tradizionale acustica, anche se ogni tanto uso delle fisarmoniche digitali come la Roland, cosa che mi diverte molto. Onestamente, però, penso che la fisa digitale sia solo un diversivo e non un rimpiazzo della fisarmonica tradizionale. Questo, a mio parere, non potrà mai accadere: sono due strumenti diversi, che danno emozioni diverse. A me piace molto miscelare le sonorità elettroniche con quelle acustiche. Non disdegno nessun tipo di strumento, sia esso elettronico o acustico, e nessun tipo di fonte sonora. L’importante è saper usare con gusto tutto ciò che può produrre musica. Escludere dei suoni sarebbe come tirar via dei colori nella tavolozza di un pittore.

Hai scelto di suonare uno strumento prodotto dall’azienda Mengascini, una delle più note fabbriche artigianali di Castelfidardo. Si tratta di una scelta legata alla versatilità dello strumento e quindi alla possibilità di utilizzarlo nei vari contesti che ti vedono protagonista o cos’altro? Parlaci delle caratteristiche e dei pregi della tua fisarmonica.

Un articolo del Corriere della Sera dello scorso anno parlava di me e dell’accordatore Mengascini. Il dialogo tra me e lui veniva descritto quasi come fosse un duello: la mia pignoleria, quando metto a punto uno strumento, è quasi maniacale. La fisarmonica è uno strumento molto complesso, fatto in maniera artigianale, ed ogni artista fa delle richieste molto personalizzate alle case costruttrici, sia dal punto di vista estetico sia dal punto di vista tecnico. A differenza del pianoforte, si ha la tendenza a scegliere il tipo di accordatura, la corsa del tasto, l’alzata dell’ancia. La mia scelta è stata molto meticolosa: sono arrivato a Mengascini dopo aver provato e riprovato strumenti anche di altre aziende costruttrici. Ricercavo un suono particolare, molto raffinato, che mi permettesse di suonare diversi generi musicali. La mia fisarmonica mi appaga, ha molta elasticità di suono, un timbro molto pieno. La ricerca del suono deve rispecchiare i momenti di vita.

Cosa pretendi da uno strumento di un elevato standard qualitativo come il tuo?

Sicuramente deve rispecchiare il mio modo di suonare in base allo stato d’animo, il mio carattere, il mio modo di essere. In poche parole: mi deve accompagnare.

Hai dedicato tutto te stesso alla musica e in particolare alla fisarmonica, ma il titolo che esibisci, tra l’altro maturato presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, è un diploma in clarinetto. Cos’è la tua, un’infatuazione, un’alternativa al mantice, o qualcosa di complementare?

La musica mi ha aiutato nei momenti più difficili e delicati della vita. Sin dai primi mesi di studio della fisarmonica ho capito che avrei fatto il musicista. All’epoca non era riconosciuto il titolo e non c’era la possibilità di studiare fisarmonica a Milano.

Per chiudere, la più classica delle domande: i progetti del polistrumentista Saro Calandi.

Fino ad oggi, aderendo alle varie realtà musicali, mi sono arricchito con artisti come Van De Sfroos, Antonio Canale. Dal 2013 ho fondato gli “Oras Project”, dal nome di una mia composizione, trovando una mia identità musicale. Il futuro non so che cosa mi riserverà. Di sicuro, so che sarà un futuro a tempo di musica e di fisarmonica.