Popolare, classico, contemporaneo. Intervista a Giorgio Dellarole.

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DellaroleGiorgio Dellarole è docente di fisarmonica presso l’Istituto Musicale Pareggiato della Valle d’Aosta. Con la sua attività concertistica ha portato la fisarmonica in sedi prestigiose, tenendo concerti in tutta Italia, in Europa, in Cina, Africa e Stati Uniti e registrando per Rai1 e Radio3 (“La stanza della musica” e “Piazza Verdi”), per la African International Television e per emittenti nazionali polacche e greche.

Ha suonato in prima esecuzione, tra gli altri, brani di Nicola Campogrande e Angelo Gilardino e collabora con musicisti come Fiorella Andriani, Luigi Attademo, Bruno Cavallo, Gabriele Geminiani, Lorenzo Micheli, Alessandro Palmeri, Rocco Parisi, Emanuele Segre ed Alessandro Tampieri.

Negli ultimi anni si è dedicato prevalentemente allo studio del repertorio barocco e classico portando, tra i primi, il suo strumento all’attenzione degli specialisti del genere e diffondendo tra i fisarmonicisti, attraverso seminari e master-class, l’idea di una rigorosa ricerca filologica e stilistica applicata alla musica antica.

Quando hai iniziato a suonare e perché?

Ho iniziato quando avevo 7 anni. Incuriosito dal racconto dei miei genitori, non musicisti, di un’esibizione di un’orchestra di fisarmoniche che li aveva colpiti molto, ho provato ad avvicinarmi alla fisarmonica ed è scoccata la scintilla. La decisione di fare della musica la mia occupazione principale è stata però piuttosto tardiva ed è maturata solo mentre frequentavo gli ultimi anni del Liceo.

Qual è l’immagine più diffusa della fisarmonica nell’immaginario collettivo internazionale?

Mi sembra che, nonostante gli sforzi e gli innegabili progressi del movimento fisarmonicistico, nell’immaginario collettivo prevalga ancora l’idea di uno strumento legato alle feste popolari. Bisogna riconoscere, però, che molte persone di diversa cultura ed estrazione sociale ammettono di essere state toccate profondamente dall’espressività della fisarmonica, e percepiscono un senso di familiarità anche quando la scoprono come strumento “classico”.

La sua immagine e la sua tradizione cambiano di paese in paese?

Certamente, perché variano le consuetudini e sono molto diversi i percorsi che lo strumento ha seguito nel suo sviluppo tumultuoso dell’ultimo trentennio. Per la mia esperienza, comunque, anche nei paesi con un movimento fisarmonicistico di alta qualità (penso alla Germania ad esempio), resta forte l’imprinting popolare dello strumento.

Dalla musica antica al tango, al Klezmer, a programmi solisti e addirittura per quartetto di fisarmoniche. È lo strumento che si adatta a tutto o è più una questione di metodo, di approccio musicale?

Per quanto mi riguarda, per una buona parte della mia carriera musicale (almeno fino al 2005) ho cercato di giocare sulle grandi possibilità di adattamento del mio strumento, sia nella scelta dei programmi, sia nell’esplorazione dei diversi generi musicali e quindi ho sicuramente sfruttato le caratteristiche della fisarmonica, con una grossa apertura verso tutti gli stimoli che ricevevo. Ritenevo che la mia scelta fosse funzionale al momento storico che la fisarmonica attraversava negli anni ’80 e ‘90. In quel periodo lo strumento stava faticosamente cercando di uscire dai ristretti confini del repertorio popolare e poteva, a mio avviso, affermarsi agli occhi del pubblico come strumento eclettico e adattabile a diverse circostanze; pensavo inoltre che praticare i generi musicali più disparati mi avrebbe permesso di acquisire un repertorio di conoscenze prezioso e formativo. Nell’ultimo decennio, invece, ho sentito il bisogno di approfondire alcuni argomenti, concentrando la mia attenzione sullo studio del repertorio antico (più o meno il periodo che va da Frescobaldi a Mozart) e sul consolidamento della mia metodologia didattica.

In quali repertori riesci ad esprimere meglio le potenzialità del tuo strumento?

Sicuramente nel repertorio di qualità concepito espressamente per la fisarmonica sento che lo strumento “funziona” al meglio e realizza completamente le proprie potenzialità. Ciò detto, penso che la dimensione cameristica in generale, che per me corrisponde al lavoro con piccole formazioni dal Duo al Sestetto, si adatti molto bene alla fisarmonica moderna. Credo anche che le caratteristiche della fisarmonica possano valorizzare al meglio le voci e gli strumenti che con essa interagiscono.

In quali repertori ti trovi più a tuo agio?

Sono sempre più a mio agio nell’esecuzione del repertorio antico solistico e cameristico, al quale dedico la maggior parte delle mie energie da una decina d’anni ormai, anche se, a volte, ho la sensazione di dover “piegare” il mio strumento per ottenere una adeguata coerenza stilistica. E’ un genere musicale ancora in buona parte inesplorato dal nostro punto di vista: da un lato abbiamo la necessità di inventare un modo di “pronunciare” che sia credibile e che si adatti alla fisarmonica, dall’altro dobbiamo avere il coraggio di fare delle scelte e rassegnarci al fatto che alcuni brani, magari importanti e interessanti, sulla fisarmonica semplicemente non funzionano.

In generale, inoltre, avendone praticata moltissima, eseguo con piacere la musica da camera con piccoli ensemble, mentre ho collaborato piuttosto raramente con orchestre più numerose e, nei pochi casi in cui è successo, ho avuto qualche difficoltà ad adattarmi, anche se non nascondo la mia curiosità verso questo tipo di esperienza. Come solista, infine, ho eseguito molto e sempre con grande soddisfazione il repertorio italiano di Pozzoli, Fugazza, Fancelli e dei compositori loro contemporanei: penso che sia musica di grande valore e mi spiace che spesso venga dimenticata o sottovalutata.

Puoi parlarci della tua esperienza nella didattica?

Insegno fisarmonica, a vari livelli, da quasi trent’anni ormai e soprattutto dal momento del mio primo incarico come docente in Conservatorio (a Messina nel 2002-2003), ho sentito un grande bisogno di aggiornarmi e di sviluppare il più possibile una metodologia didattica efficace e coerente. Per fare questo ho lavorato in due direzioni: da una parte ho cercato di cogliere gli elementi fondamentali, fisiologici e interpretativi, della didattica tastieristica, seguendo corsi di didattica pianistica o, semplicemente, osservando il lavoro dei colleghi pianisti, organisti e cembalisti; dall’altra, ho sviluppato un’efficace rete di contatti con i colleghi insegnanti di fisarmonica, invitando ogni anno un diverso docente a tenere lezioni all’Istituto Musicale Pareggiato di Aosta, dove insegno, instaurando così collaborazioni proficue e scambi di esperienze umane e professionali che hanno arricchito moltissimo me e i miei allievi.

In passato, grazie ad una pluriennale collaborazione con la Gioventù Musicale d’Italia, ho avuto la preziosa occasione di sviluppare alcuni progetti con Carlo Delfrati e di approfondire il lavoro sulla didattica infantile e pre-adolescenziale; negli ultimi anni, invece, mi sono concentrato sempre di più sul lavoro con diplomandi e diplomati su argomenti molto specifici, spesso legati all’interpretazione del repertorio Barocco e Classico.

Ci sono differenze sostanziali tra le scuole italiane e quelle extra-europee?

Come dicevo in precedenza, ci sono differenze tra le diverse scuole fisarmonicistiche a livello internazionale e anche a livello nazionale, come ho avuto modo di verificare grazie ai seminari e alle master-class che tengo sempre più frequentemente in Italia e all’estero. Recentemente ho conosciuto a fondo la realtà belga, visto che dal 2012 collaboro, come docente ospite, con una delle due classi di fisarmonica del Conservatoire Royal di Mons e ho visto che, a fronte di una grande volontà di confrontarsi e di crescere dei docenti del Conservatorio, esiste un sistema formativo di base, a carico delle Accademie, che è ancora troppo legato alla musica leggera e ad un’immagine della fisarmonica piuttosto datata.

In generale, penso che la qualità della didattica fisarmonicistica in Italia sia mediamente buona, anche se la nostra esterofilia ci porta spesso ad esaltare l’esperienza straniera e a denigrare ciò che ci è più vicino. Le recenti, ennesime, puntate della decennale e, mi sia concesso il termine, demenziale polemica contro le fisarmoniche a tastiera, ritenute “inferiori” e indegne dei Conservatori, confermano che l’ignoranza e, in definitiva, l’autolesionismo di alcuni fisarmonicisti italiani mantengono livelli preoccupanti. Non mi risulta che all’estero succedano cose simili e mi pare che, più o meno ovunque, pur con differenti modalità, si stia procedendo piuttosto compatti nel processo di emancipazione della fisarmonica dall’ambito popolare in cui è nata e dove ha mosso i primi passi.

Qual è il progetto a cui stai lavorando in questo periodo?

Si è finalmente concretizzato un importante progetto discografico in collaborazione con Alessandro Tampieri, uno dei più grandi violinisti barocchi contemporanei, nel quale utilizzo per la prima volta il mio nuovo strumento Bugari accordato con il La a 415hz e con lo schema Vallotti. Il lavoro è iniziato nella primavera del 2011 e il 27 novembre scorso abbiamo con gioia assistito all’uscita, in Giappone, di un CD pubblicato dalla Nichion, alla quale seguirà presto una versione europea dello stesso disco curata dall’etichetta belga “Pasacaille”. Il programma comprende brani tratti dal meraviglioso repertorio seicentesco italiano (Castello, Frescobaldi, Cima e altri), una Sonata di Corelli dall’Opera V e una Sonata di Bach per violino e cembalo obbligato.

Spero di avere la possibilità, in futuro, di incidere anche gli altri programmi nati dalle collaborazioni sul repertorio antico che ho avviato negli ultimi anni (con violoncello barocco, flauto traversiere, clarinetti antichi e con un contro-tenore).

Per il resto mi sto concedendo alcune digressioni nella musica leggera con un lavoro in quartetto (voce, fisarmonica, pianoforte e contrabbasso) sulla canzone italiana del periodo tra le due guerre mondiali e con un programma dedicato a Édith Piaf in collaborazione con un nutrito ensemble strumentale e con due cantanti.

Mi piace anche fare un cenno a “Morning in Iowa”, opera di Castelnuovo Tedesco recentemente ritrovata da Lorenzo Micheli, chitarrista a tutti noto, nella quale la fisarmonica ha un ruolo di spicco nell’ambito di un quintetto strumentale che accompagna un narratore (nel nostro caso l’ex Dire Straits David Knopfler), eseguita in prima mondiale nel 2008 e pubblicata dalla Soundset Recordings nel 2013.