Tutto il calore del suono popolare

Intervista a Maurizio Zannato, voce dei Marmaja

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MarmajaPer questo mese abbiamo intervistato una band che mi prendo la libertà di definire “meravigliosamente romantica”, nell’accezione più ampia del termine. La musica dei Marmaja è come un viaggio, a cui prendono parte anche i fan, che hanno un legame con la band continuamente alimentato dai live e dai social. Il loro è un viaggio che dura da trent’anni e che li ha portati dal Veneto ai Balcani, dal Sud America ai Caraibi per poi tornare di nuovo a casa: una casa fatta di persone, storie e ricordi più che di mura e mattoni. Ringrazio Maurizio Zannato, voce dei Marmaja, per avermi raccontato questo viaggio.

Per iniziare, da dove nasce l’idea di mettere su una band folk in quel del Polesine?

Siamo nati come tutte le rock band di paese, senza un’idea precisa di dove andare, ma con la determinazione di scriverci le canzoni. L’ascolto di album come Creuza de ma’ di Fabrizio De André o If I should fall from grace with God dei Pogues ci ha indubbiamente accompagnato in questo intento.

Potremmo forse dire che i Marmaja nascono ufficialmente nel 1993, ma rinascono e si rinnovano più volte nel corso della loro storia. Cosa distingue i Marmaja di oggi da quelli di trent’anni fa? Ci sono dei princìpi o dei valori che vi accompagnano fin dall’inizio?

Sicuramente in questi trent’anni non siamo mai “andati a letto presto”. Forse è maturato il disincanto rispetto al panorama musicale ed è cambiato certamente l’approccio alla scrittura: se da giovani ci sembrava di avere un mondo da raccontare e da cambiare per sommi capi, oggi ci piace raccontare le storie che stanno dentro questo mondo che sembra non voler cambiare.

A proposito di cambiamenti, se doveste suddividere la vostra storia musicale in fasi evolutive, quali sarebbero?

Esiste una drastica divisione tra prima e dopo giugno 2004. La scomparsa del nostro amato chitarrista Elia Mantovani coincise con l’uscita del nostro terzo album Marmaja. Difficile parlare di fasi evolutive, meglio parlare di luoghi che con la musica abbiamo voluto visitare. Siamo partiti con il primo disco In tel vento sonà, quasi un’antologia dei primi sei anni di vita del gruppo, piantando sane radici nella tradizione musicale del nostro territorio per poi issare le vele verso est. Dall’ispirazione balcanica de Il metro dell’età ci siamo diretti verso il Sud America di Marmaja: un album che voleva interrogarsi sul futuro, ma il futuro non fu gentile con noi. Elia non avrebbe mai voluto che i Marmaja si fermassero. Gli ultimi giorni, dal letto d’ospedale, si rammaricò perché non eravamo andati a suonare al concerto fissato per Como. Cercammo un luogo dove poterci perdere e Puntamaistra (la punta estrema del nostro Delta del Po) fu il luogo ideale per ritrovare Elia. Da allora, ogni nuovo disco segna una ripartenza. Con Come le pagine dei libri letti ci siamo spinti verso i paradisi caraibici. Infine, siamo ritornati a casa realizzando che una casa non l’avevamo più e siamo, così, rimasti per strada, col nostro mobilio da sfrattati, le nostre radici ancora intatte e valigie cariche di ricordi dei viaggi trascorsi. Abbiamo abbandonato batteria e chitarre elettriche per concentrarci maggiormente sull’essenza delle canzoni.

Nei vostri album e durante i vostri concerti avete incontrato altri nomi illustri della scena musicale italiana come Luigi Grechi De Gregori, Cristiano De André, Claudio Lolli, i Gang e i Mercanti di Liquore. Cosa vi portate dietro da questi incontri e queste collaborazioni?

La canzone d’autore rimane la bussola che ci ha guidato lungo questo viaggio. Nelle valigie ci trovi le persone che hai citato e tantissimi altri, noti e meno noti. Tanti gli insegnamenti che abbiamo assimilato, tanti gli aneddoti che potremmo raccontare per ognuno di loro e tanta la gratificazione che abbiamo ricevuto per il nostro lavoro. Ci è sempre piaciuto dialogare con altri artisti, ci piace giocare con loro e stabilire un contatto che vada al di là della semplice collaborazione.

Il vostro ultimo album Notengocasa (2020) nasce, se non sbaglio, dalla volontà tirare di nuovo fuori delle canzoni pronte per essere ascoltate, ma che avevate lasciato in disparte. Questo segna in qualche modo un ulteriore punto di svolta nella storia della vostra band? Raccontaci un po’ questo album.

Abbiamo vissuto per più di vent’anni in una splendida e isolata casa colonica lungo un fiume: ne abbiamo abitato tutti gli anfratti, dalla piccionaia al granaio, dalla cucina al salotto. Tutte le nostre canzoni sono nate e registrate lì, comprese una decina ancora in fase di registrazione. Nel 2017, abbiamo dovuto lasciarla e siamo rimasti per strada con questi brani ancora nell’aria, trovando ospitalità occasionali qua e là per continuare a suonare. Inoltre, è cambiata un po’ la formazione: è ritornato il polistrumentista Mirco Drago, uno dei fondatori del gruppo, e abbiamo arruolato i nostri figli Jacopo e Ivan (rispettivamente al basso e alla chitarra acustica) che ben si son prestati a giocare con noi. Siamo ripartiti con un suono privo di amplificazione, ripensando e registrando da capo quelle canzoni per pubblicarle progressivamente sui social in una sorta di blog. Ne abbiamo in seguito curato meglio gli arrangiamenti coinvolgendo Sabrina Scarpati e Mari Mazzullo ai cori e il chitarrista Riccardo Marchetto, che spesso ha collaborato nei nostri dischi, per poi concretizzarle su cd. Da segnalare, infine, la copertina del disco con il prezioso contributo di Luka, street artist mantovano che da allora cura la parte grafica di ogni nostro lavoro. Notengocasa racconta questa storia.

Una domanda diventata ormai di rito nelle mie interviste, essendo questa una rivista incentrata sulla fisarmonica come strumento estremamente versatile ed essendo uno strumento, questo, fortemente presente nel genere folk: che ruolo ha la fisarmonica nella vostra band?

Il suono della fisarmonica ci accompagna fin dagli esordi. All’inizio usavamo le tastiere e ricordiamo sempre con un sorriso il palese disappunto dell’allora tastierista quando gli chiedemmo di usare anche la fisarmonica; dopo poco le vendette e di tastiere non ne volle più sapere. Nei nostri brani lo strumento non ha un utilizzo virtuosistico, ma ha il calore del suono popolare, della festa, del filò che ben si adatta alle storie che raccontiamo.

Una domanda invece più intima che vorrei farvi è: c’è una canzone a cui non rinuncereste mai nei vostri live?

Con sette album alle spalle sono tante le canzoni a cui non vorremmo rinunciare. Nei concerti cerchiamo di dare loro un po’ di rotazione, ma Stella cadente e Nel libro dei persi ci premuriamo non manchino mai in scaletta. La prima è forse quella più conosciuta e spesso il pubblico ama cantarla assieme a noi, la seconda è quella che invece lascia un segno più profondo, è l’anima nera del nostro repertorio. Carlo Massarini in persona ci confidò di averne apprezzato il calibro dopo aver assistito a un nostro set.

Dando un’occhiata alle vostre pagine social salta subito all’occhio il bellissimo legame diretto che avete con i vostri fan. Come lo definireste?

Siamo consci di non appartenere alla generazione social, ma ci piace usarli come mezzo di intrattenimento e di reciproco affetto per gli amici che ci seguono.

Sempre a proposito di social, ho letto sulla vostra pagina Facebook dell’idea di un video-documentario per completare questo anno di celebrazione dei vostri trent’anni di carriera: per quando ci dovremmo aspettare l’uscita di questo progetto? E l’uscita del nuovo album dedicato al bombo come “lavoratore prezioso del mondo delle api”?

Più andiamo avanti con gli anni e più sono i progetti a cui ci dedichiamo, senza necessariamente prefiggerci tappe con date certe. Quella del video è la proposta di un amico videomaker che ha iniziato a seguirci durante le prove. Bombo sarà invece un cd di 6 canzoni nuove che stiamo registrando da un po’ di tempo e che ci auguriamo di riuscire a pubblicare con il nuovo anno.

Lascia un messaggio per i nostri lettori…

Potremmo dedicarvi quello che abbiamo scritto sulla nostra maglietta, è un detto argentino cui siamo molto affezionati e che ci accompagna da vent’anni: “Nessuno potrà toglierci ciò che abbiamo ballato”.

 

(Foto Paolo Degan)

 

DISCOGRAFIA

In tel vento sonà (La Baraonda, 1999)

Il metro dell’età (Latlantide, 2002)

Marmaja (Storie di Note, 2004)

Puntamaistra (Autoprodotto, 2007)

Come le pagine dei libri letti (Latlantide, 2013)

Cuore rossoblu (Momenti di gloria), (Latlantide, 2015)

Notengocasa (Stella Nera, 2020)

 

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