Athos Bassissi: il tango argentino come una droga

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Athos BassissiPerdutamente innamorato del tango argentino, in possesso di una tecnica solidissima, Athos Bassissi è un talentuoso fisarmonicista che annovera svariate esperienze di prestigio in differenti contesti musicali. Attraverso questa gradevole chiacchierata, svela i retroscena più significativi della sua vita artistica.

Oltre a dedicarti appassionatamente alla fisarmonica, hai focalizzato l’attenzione sul bandoneon. Quando e come è nato l’interesse per questo fascinoso strumento tipico del tango argentino?

«Il mio amore per questo strumento e per il tango è nato tanti anni fa, quando andavo a lezione in privato dal grande maestro Iller Pattacini. Lui praticava già il tango. Mi diede una copia di un 33 giri intitolato “Milva Tango”, edito “Ricordi”, dove lui era l’arrangiatore. Questo disco mi rimase impresso nella mente. Da quel momento cominciai ad ascoltare questo genere. Poi mi vendette un bandoneon che non usava, perché lo considerava difficile da suonare, e così iniziai a fare pratica e ad appassionarmi anche a livello strumentale. Da allora non l’ho più abbandonato. Ho inciso cinque CD di tango con i grandi classici e le mie composizioni».

A proposito di generi musicali, hai vissuto per tre anni in Francia, precisamente a Parigi, dove hai stretto una proficua collaborazione con l’orchestra “Varietè Française”, ensemble grazie alla quale hai approfondito proprio lo studio del tango, nonché del genere musette. Quali sono stati i fattori scatenanti che ti hanno spinto a vivere questa esperienza?

«Parigi è la capitale europea del tango, e nel periodo che ho trascorso in quella città passavano le più grandi orchestre di tango argentino che tenevano innumerevoli spettacoli, anche tre volte al giorno. Io, quando potevo, ero sempre là. Li ascoltavo anche per tutti i tre concerti talmente ero entusiasta, nonostante suonassero sempre lo stesso repertorio. Tutto ciò mi costava anche in franchi, ma era come una droga, non potevo farne a meno. Vedevo Piazzolla, Osvaldo Piro, Mosalini e tutti i più grandi che si esibivano lì. Ed erano a due passi da me, visto che ero sempre in prima fila. Meraviglioso! Volevo capire di più. E qualcosa credo di averla capita».

Grazie alla tua poliedricità stilistica, ti sei dedicato anche al jazz. Insieme al pianista Stefano Calzolari hai costituito un quintetto con il quale ti sei esibito in Italia e all’estero. Quali sono i concerti più significativi che hai tenuto con questa formazione?

«Con Stefano (Calzolari, ndr) collaboro già da tanti anni, e devo a lui, jazzista puro, il mio avvicinamento al jazz. Noi lavoriamo spesso in duo. Le nostre menti si fondono e diamo vita a un’improvvisazione libera con poche barriere. E questo mi piace molto. Devo dire che tutti i concerti ti lasciano qualcosa, e non saprei quale scegliere. Forse il concerto a Castelfidardo, qualche anno fa, nella rassegna internazionale di fisarmonica. In quella edizione c’era anche Richard Galliano. Trovarsi lì, in mezzo a questi colossi, mi ha fatto molto piacere. A dicembre di quest’anno andremo in Francia e Svizzera per un tour».

Athos BassissiNel corso della tua brillante carriera, hai ottenuto una pletora di premi particolarmente prestigiosi. C’è un riconoscimento al quale sei maggiormente legato dal punto di vista professionale e umano?

«Ne ho vinti tanti. Ma quello che ricordo più volentieri è stato nel 2008, quando a Castelfidardo, al “Teatro Astra”, ho conquistato il Primo Premio come compositore».

Nel 2009 hai intrapreso una nuova collaborazione con il gruppo “Django’s Finger”, ovviamente ispirato all’immenso chitarrista gypsy jazz Django Reinhardt. Quali sono le peculiarità tecniche ed espressive del jazz manouche che più ti affascinano?

«Questo genere mi affascina molto e soprattutto mi è più affine, perché si avvicina molto al musette francese. Lavorando con questi bravissimi chitarristi, che hanno una tecnica spaventosa e che improvvisano, ho capito che anche quello stilema mi avrebbe portato qualcosa da mettere nel sacco dell’esperienza. Brani bellissimi e velocità sostenute caratterizzano questo genere musicale. Ho imparato un linguaggio nuovo che prima non conoscevo, improvvisando in modo diverso, armonizzando in modo più semplice rispetto al jazz tradizionale. Ma il tutto funziona bene e arriva anche all’ascoltatore meno esperto. Un’esperienza che ti fa cambiare musicalmente e non solo».

Hai lavorato, per tre anni consecutivi, con il cantante Roberto Polisano, con il quale hai condiviso il palco negli Stati Uniti. Che tipo di repertorio hai proposto insieme a lui?

«In questo caso abbiamo portato la nostra musica italiana: da Murolo a Modugno, da Del Monaco a Villa, sino a Vasco Rossi. Roberto (Polisano, ndr) è un bravissimo cantante apprezzato anche negli USA, e non abbiamo fatto fatica a far successo in quelle piazze. Ho conosciuto tanti italiani che si sono prodigati per noi e in tre anni consecutivi sono diventati grandi amici. Non escludo un altro tour a breve».

Collabori con il tenore colombiano Hector Hernandez e l’associazione Italia-Latinoamerica per divulgare la cultura latinoamericana attraverso spettacoli di musiche provenienti dal Sudamerica. In cosa consiste, nel dettaglio, questo interessante progetto?

«Questo progetto, come dice sempre il caro Hector (Hernandez, ndr), è nato per far conoscere la musica latinoamericana in Italia. Hernandez è un eccezionale tenore colombiano che vive a Padova da tanti anni, e con lui è nata una collaborazione casuale, che poi si è trasformata in una grande amicizia. Insieme teniamo concerti in teatri prestigiosi per tutta l’Italia. Presentiamo vari spettacoli, a volte con un’orchestra di quindici elementi, in altre occasioni con formazioni ridotte a sei componenti. “Besame Mucho”, “Damisela Incantadora”, “Aranjez”, Celito Lindo”, “Quizas, Quizas” sono alcuni brani che proponiamo anche riarrangiati in chiave latin jazz. La mia mansione è quella di direttore musicale. Con lui stiamo preparando concerti per questa estate».

Hai realizzato due dischi intitolati “Sous le ciel de Paris” e “Monsieur Aznavour”, al fianco del fisarmonicista transalpino Bernard Marly. Quali sono i tratti distintivi di queste due creazioni discografiche?

«In questo due dischi ci confrontiamo (musicalmente) con brani storici francesi. Devo dire che anche con Bernard (Marly, ndr), la collaborazione è diventata molto proficua. Ci vediamo quasi una volta ogni due mesi e discutiamo di nuovi progetti da intraprendere insieme. Ormai siamo fratelli. Lui è molto attivo ed esuberante, io, invece, più calmo e concreto. Il tutto crea una buona miscela, tanto che il mito della canzone francese Charles Aznavour ci scrisse una lettera di elogio e ringraziamento per il nostro lavoro “Monsieur Aznavour”: queste sono belle soddisfazioni».

Athos Bassissi“Varietè” e “La storia della Fisarmonica” sono due tuoi importanti progetti che presenti nei migliori teatri italiani. Qual è il filo conduttore di questi due spettacoli?

«Questo spettacolo rappresenta il percorso della fisarmonica dal periodo antecedente alla seconda guerra mondiale sino ad oggi. Ci tengo a far conoscere al pubblico la storia rivisitata in chiave musicale e recitata di questo strumento, che si è evoluto negli anni e che oggi è molto diffuso anche nella musica moderna. Cerchiamo di riproporre le composizioni dei grandi fisarmonicisti che sono appartenuti alle varie epoche, da Kramer, Beltrami, Viseur, Murena, Ferrari, Venturi, Stok, Galliano e tanti altri ancora, conservando lo stile e gli arrangiamenti originali. Mi fa piacere che in teatro si affacci anche un pubblico giovane che apprezza molto».

Prima hai accennato alla possibilità di alcune date per l’immediato futuro. Ma il tuo calendario è ricco di appuntamenti concertistici già fissati per l’estate?

«Sarò a Reggiolo, Ozzano Emilia e Civitavecchia in concerto con Santino Rocchetti, nonché a Chiasso e a Olbia».