Fernando Mangifesta: il contatto umano dietro alla musica

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Fernando MangifestaFernando Mangifesta è un talentuoso fisarmonicista e bandoneonista che ama affrontare repertori estremamente variegati. Predilige suonare in “solo” e in altre formazioni, mettendo in luce le sue qualità artistiche in modo differente. Attraverso questa intervista descrive la sua attività professionale che lo vede impegnato su diversi fronti.

Dopo aver conseguito con il massimo dei voti e la lode il Diploma Accademico di Primo e Secondo Livello in fisarmonica, al conservatorio “A. Casella” (L’Aquila), hai iniziato una proficua attività concertistica da solista e con il “Duo Solotarev” insieme a Lorenzo Scolletta, partecipando a svariati concorsi e ottenendo sempre eccellenti risultati. Quali sono le peculiarità stilistiche predominanti di questo duo?

«Questa è una formazione cameristica molto interessante. Unire due fisarmoniche permette di utilizzare in maniera amplificata le potenzialità di questo strumento, come per esempio la versatilità sonora e timbrica. Dopo poco tempo, insieme a Lorenzo Scolletta, abbiamo ampliato questa duo trasformandolo in un trio di fisarmoniche, insieme ad Alberto Vernarelli. Ecco, questo è un ensemble dalle potenzialità strabilianti. Ancora più del duo, qui le risorse della fisarmonica sono elevate all’ennesima potenza. Molteplicità dei timbri e varietà dei suoni consentono di affrontare un repertorio unico, innovativo ed autentico, che può spaziare da quello originale per accordion alle trascrizioni di opere monumentali. Infatti, con il Trio Solotarev, proponiamo un programma stilisticamente vario che parte dalle trascrizioni di brani del repertorio barocco sino ai pilastri di quello fisarmonicistico russo, scandinavo e dell’Europa occidentale, passando per musiche da film e brani nati dalla collaborazione con i compositori. Riuscire a presentare un repertorio così vasto e diversificato in maniera assai esaustiva rende il trio di fisarmoniche una formazione eclettica e singolare. A mio parere è l’ensemble con fisarmonica dalle più grandi potenzialità nel quale questo strumento riesce ad esprimersi meglio».

Anche da solista hai mietuto una miriade di successi, facendo incetta di premi e riconoscimenti. Suonare in “solo” valorizza maggiormente le tue qualità artistiche oppure ritieni di esprimerti meglio quando ti esibisci in trio o in altre formazioni cameristiche?

«È difficile rispondere. Credo che a seconda della situazione le mie caratteristiche artistiche vengano fuori in modo diverso. Quando si suona da solisti i riflettori sono rivolti esclusivamente sul singolo, pertanto tutto viene fuori in modo più diretto. Mentre in formazioni cameristiche non si è più da soli, ma tutti contribuiscono al risultato finale. Dunque, le proprietà musicali di ognuno si fondono per contribuire alla qualità del gruppo. Penso che sia proprio questo lo scopo del suonare con altri:  mettere insieme diverse personalità, artistiche e umane, che attraverso valori come rispetto, collaborazione e passione lavorano insieme per la musica. Mi piace moltissimo suonare da solista e amo affrontare il pubblico in “solo”, ma condividere il palco con gli altri mi regala emozioni uniche e irripetibili, specialmente per il contatto umano che c’è dietro».

Fernando MangifestaParte dei tuoi studi sono stati effettuati presso la “Royal Danish Academy of Music” di Copenaghen, in Danimarca. Sotto l’aspetto della didattica, cosa cambia rispetto all’Italia?

«Sono stato sei mesi presso la “Royal Danish Academy of Music” di Copenaghen grazie al progetto Erasmus. La formazione musicale è molto simile all’Italia. Il percorso accademico in conservatorio è composto da triennio e biennio, che sono chiamati rispettivamente “bachelor” e “master”. Una sostanziale differenza è data dalla presenza di un biennio avanzato “postgraduate” , ovvero post laurea, chiamato “soloist”. Questi due anni sono indirizzati a quei musicisti che hanno già terminato il percorso accademico, e ha l’obiettivo di inserire l’allievo nel mondo del concertismo. Durante l’intero biennio lo studente lavora solo ed esclusivamente sul repertorio. Alla fine del “soloist” c’è  il “debut-concert”, dove il musicista deve sostenere un concerto davanti a una commissione di colleghi e critici. Un aspetto molto interessante è che l’allievo, già dal triennio e nel corso dell’intero percorso di studi, viene abituato alla performance. Infatti, con cadenza quasi settimanale, si organizzano concerti nei quali gli studenti sono tenuti a suonare. Questa è una palestra molto utile per l’aspirante musicista che si trova ad affrontare molto spesso l’impatto con il pubblico. A tal riguardo, un aspetto di estremo interesse sta nel fatto che durante il percorso didattico l’alunno ha l’occasione di poter lavorare anche su come gestire le emozioni in vista del live. In conservatorio ho partecipato a diversi incontri con un mental-coach che teneva delle lezioni sul modo di affrontare diverse situazioni particolarmente impegnative, come concerti o concorsi prestigiosi. Credo che ciò sia molto importante, dato che per molti musicisti, anche fra i più affermati, gestire l’emotività in vista di un’esibizione  può essere spesso un ostacolo difficile da superare».

Oltre alla fisarmonica ti sei interessato parecchio al bandoneon grazie a Dario Flammini, Gianni Iorio, Fabio Furia e Juan José Mosalini. Analizzando i due strumenti dal lato prettamente tecnico ed espressivo, qual è la differenza principale fra essi?

«Con Dario Flammini ho iniziato lo studio del bandoneon: è lui che mi ha trasmesso questa grande passione. A lui devo tanto. Con Gianni Iorio ho frequentato il biennio di “Interpretazione e prassi stilistica del tango” presso il conservatorio “L. D’Annunzio” di Pescara. È stata un’esperienza bellissima, che mi ha dato molto. In seguito ho avuto la fortuna di conoscere Juan José Mosalini, che oltre a essere uno dei bandoneonisti più blasonati e uno fra i personaggi cardine della storia del tango, rappresenta (didatticamente parlando) la migliore scuola di bandoneon in Europa, e non solo. Fabio Furia ne è un diretto testimone, con cui ho avuto il piacere di perfezionarmi in una masterclass. Analizzando i due strumenti, credo che una delle due più grandi differenze sia a livello tecnico-costruttivo. Infatti, nel bandoneon, possiamo notare la completa assenza di registri. Pertanto, a differenza della fisarmonica, vi è un unico timbro di suono, uguale anche tra i due manuali. A livello espressivo ritengo che il bandoneon abbia una potenzialità molto più forte. Tuttavia penso che questo sia uno strumento troppo spesso accostato alla fisarmonica, a volte anche nella prassi esecutiva, e reputo ciò non corretto perché sono molto diversi fra loro. Il bandoneon ha sviluppato tecniche esecutive parecchio avanzate e specifiche che richiedono all’esecutore un approccio completamente diverso dalla fisarmonica, sia dal punto di vista tecnico che espressivo. Ha ancora molto da dire, e posso assicurare che ha le carte in regola per affermarsi negli ambienti musicali colti, non solo nel tango dove è già uno strumento principe».

Fernando MangifestaA proposito di strumenti, che tipo di fisarmonica e bandoneon utilizzi soprattutto dal vivo?

«Per quanto riguarda la fisarmonica suono un bayan “Jupiter” di Mosca con voci su piastra firmate dal noto vociaio Chernov. Per ciò che concerne il bandoneon suono due strumenti bisonori della “AA”. Entrambi sono antichi: uno costruito nel 1929 e l’altro nel 1938».

Dal 2017 sei docente di fisarmonica a Palermo, presso le scuole a indirizzo musicale. Che genere di rapporto instauri con i tuoi allievi per inculcare loro le nozioni, le tue conoscenze e la tua visione della musica?

«Stare a contatto con i ragazzi è sempre qualcosa di fantastico. È un’esperienza che mi sta insegnando tanto. Alcune cose si iniziano a comprendere solo quando si è dall’altra parte e si vivono certe situazioni in prima persona. Credo che avere la possibilità di studiare uno strumento musicale a scuola sia qualcosa di straordinario per i giovani. Molto spesso, però, lo strumento viene offerto come una disciplina tediosa e obbligatoria, rischiando di ottenere il risultato opposto rispetto a quello desiderato, ovvero far allontanare i ragazzi dalla musica. Svolgere lezioni individuali induce loro ad avere un rapporto umano più diretto di quanto si possa avere normalmente con gli insegnanti delle altre materie. L’obiettivo che mi pongo è quello di lavorare sodo con i miei allievi, farli appassionare il più possibile e farli vivere la musica, fornendoli uno strumento importante per esprimere le proprie emozioni. Per loro, fare questa esperienza e testare in prima persona cosa significa avvicinarsi alla musica e a uno strumento, vuol dire divertimento ma anche disciplina, rigore e sacrificio, e condividerla con i propri coetanei credo che lasci un segno indelebile nel loro bagaglio culturale e umano».

Stai progettando un’uscita discografica per l’immediato futuro?

«Sì, ma non in un futuro così immediato. Sto lavorando da diverso tempo a un progetto discografico da solista, con la fisarmonica, che tra poco sarà pronto. Inoltre, metterò in cantiere anche un progetto con il bandoneon».