Giosi Cincotti: passione e curiosità al centro di tutto

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Giosi CincottiMusicista morbosamente curioso, dalle mente elastica, sempre orientato verso nuovi territori sonori e stilistici, Giosi Cincotti racconta la sua storia umana e artistica, le sue esperienze più significative, quelle che lo hanno segnato in modo profondo.

Grazie alla tua estrema poliedricità, spazi con naturalezza dal “Solo” al duo, al trio, sino ad arrivare a formazioni di world music, musica popolare e situazioni teatrali. Qual è la genesi di questa commistione stilistica?

«La passione e la curiosità. Sono le due forze che mi hanno spinto da sempre a sondare, sperimentare situazioni e progetti diversi. Da piccolo mi ricordo che mi intrigavano le nuove strade, i sentieri della montagna, le altre religioni, oltre alla musica classica, il folk e gli autori italiani, ma anche tutto quello che ascoltavo intorno a me a Polla, il piccolo paesino dove sono nato e rimasto fino a 20 anni. Ero catturato dal blues, il gospel, il jazz e attratto dalle sonorità esotiche, mediorientali, indiane. Tutto questo ascolto a 360 gradi, senza preconcetti, ha dato l’imprinting a tutti i miei futuri progetti musicali. Ho iniziato a suonare il pianoforte a 12 anni, facevo parte di un coro polifonico, e con gli amici abbiamo formato la prima band, i Goodboys Silver Eagles Band, in cui ho cominciato a cimentarmi anche con il Fender Rhodes e il synth. Dal 1991 mi sono trasferito a Napoli e ho iniziato a studiare jazz, oltre che suonare con artisti partenopei e di diverse estrazioni musicali: Capone, Daniele Sepe, Pina Cipriani e Franco Nico del Teatro San Carluccio. Dall’inizio del nuovo millennio si sono aperte collaborazioni che spaziano dalla musica pop, al funk, dal reggae, al teatro, concerti e formazioni in duo. Suonavo con chiunque mi ispirasse, e mi ispiravano davvero tanti artisti. Nel campo della world music ho collaborato con musicisti di tutto il mondo: Badarà Seck del Senegal, Marzouk Mejeri e Mbarka Ben Taleb della Tunisia, Rahsmin Batt dall’India, Aziz Sahmowi dal Marocco, Letieres Leite dal Brasile e altri. Tutte queste esperienze mi hanno permesso di catturare suoni, idee e di percorrere sentieri musicalmente inesplorati. Naturalmente queste esperienze si sono depositate nel mio serbatoio personale, dal quale posso attingere materiale per creare altri progetti musicali, teatrali o per sonorizzare immagini. Il punto di svolta della mia crescita è stato nel 2013, quando ho tenuto il mio primo concerto di “Piano Solo” al “PianoCity”: esperienza indimenticabile. Sento tutt’oggi lo stress, la pressione e la gioia del post concerto».

Hai avuto l’opportunità di lavorare in RAI, Mediaset e Sky. In cosa consistono, nello specifico, queste importanti esperienze televisive?

«La TV non mi interessa molto. Ho partecipato a un’edizione del “Premio Tenco”, dove ho accompagnato al pianoforte Gerardo Balestrieri, premiato come giovane talento nel 2001 (RAI1). Ho partecipato a due finali di Musicultura, al Teatro Sferisterio di Macerata, nel 2013, con il vincitore Alessio Arena (grande talento sia come scrittore che come cantautore) e Musicultura 2015 con Flo, arrivata seconda, anche lei grandissima artista. Altre trasmissioni televisive con Daniele Sepe su RAI3, il tour spettacolo “Seven” di Giobbe Covatta ripreso da Sky, che poi è diventato un DVD».

Giosi CincottiIl teatro è parte integrante della tua attività professionale. Quali sono i progetti teatrali più significativi che hai realizzato sino a ora?

«Sì, il teatro ha un posto molto importante nella mia vita. Ho iniziato nel 2000 al Teatro San Carluccio, dove ho lavorato per 10 anni, gestito da Franco Nico e Pina Cipriani. Lì ho fatto tantissime esperienze, sia dal punto di vista umano che professionale. Preparavamo almeno due o tre spettacoli all’anno. Eravamo come una famiglia, si mangiava e si lavorava sul palco, tra strilli, lavoro duro, risate e soddisfazioni. Altra grande esperienza, di altrettanta simbiosi umana e artistica, sono stati i due anni di tour con Giobbe Covatta (nel 2008-2009), nello spettacolo “Seven”. Poi “Io sono M&M (Mia Martina & Marilyn Monroe)” con Cristina Donadio e Lalla Esposito. I tanti recital fatti in duo con Francesca Rondinella, “Tangheria”, “Medithea”, “Cantabili Armonie di una città di mare”. Uno spettacolo a cui tengo molto è “Ria Rosa Il Viaggio” con Antonella Romano, Rino De Masco e Rosario Sparno, anche regista. Un altro spettacolo che al momento è stato poco rappresentato è “Io sono Uno. Luigi Tenco, storia di un acchiappanuvole”, con Carlo Vannini e la regia di Gennaro Cuomo. Scrivere o arrangiare musica per teatro è un’esperienza completamente diversa rispetto al fatto di scrivere o arrangiare musica assoluta. La maggior parte degli spettacoli teatrali per cui lavoro hanno bisogno della mia performance live, che prevede una profonda e diversa interazione con gli attori. Questa esperienza apre canali differenti da quelli sperimentali nei concerti e nelle relazioni con i musicisti. La musica deve essere al servizio di un testo o di una regia».

Nasci prettamente come pianista, ma hai dedicato particolare attenzione anche alla fisarmonica. Quando e perché ti sei innamorato di questo fascinoso strumento?

«Nasco musicista, amo la musica. Poi si scelgono gli strumenti con cui crearla e materializzarla. Per primo è arrivato il piano, le tastiere. La fisarmonica, se devo essere sincero, la snobbavo un po’, la consideravo troppo popolare, cafona, perché mi riportava ai matrimoni, alle feste di piazza con valzer, mazurke e tarantelle. Ma dopo aver ascoltato Astor Piazzolla e Richard Galliano sono rimasto fulminato: ho visto il bandoneon e la fisarmonica usati in maniera diversa da quella che conoscevo. Questo strumento, nel tango, nel jazz e nel forró brasiliano mi fa accapponare la pelle. Dopo le esperienze giovanili nei gruppi folkloristici, ho ripreso a suonare la fisarmonica nel 2001 nello spettacolo teatrale “Chesta è la Terra Mia” di Pina Cipriani. Dopo ho continuato a studiarla da autodidatta e la uso frequentemente sia in spettacoli che nelle registrazioni. Non mi sento assolutamente un fisarmonicista, perché a questo strumento meraviglioso bisognerebbe dedicare ore di studio per ottenere tutte le sfumature di timbro. So solo che quando la suono entro in uno stato di vibrazione superiore. Sarà amore? Credo di sì, visto che ci abbracciamo appassionatamente».

La composizione è un’arte alla quale sei profondamente legato. In che modo prendono forma i tuoi brani originali?

«Non c’è una modalità standard. L’ispirazione può arrivarmi guardando un panorama, una bella donna, dopo aver fatto un viaggio, dopo aver conosciuto nuovi luoghi e nuova gente. Spesso si parte da una cellula melodica, che poi va sviluppata, armonizzata, arrangiata a volte, lasciando sedimentare le idee e prendendosi un tempo (spesso parecchio), oppure può succedere che si compone di getto. Quando si sente uno stato di appagamento, dopo le limature e i tanti fogli stracciati, allora la composizione è terminata. Comunque, forse, bisognerebbe allenarsi quotidianamente».

Giosi CincottiSwaroopa 1998, Neapolis In Fabula, Un giro del mondo in 80 minuti, Nel regno dei sogni, Soul vibes trio, T’Angheria, Medithea’, Meet & Reel, sono solo alcuni dei tuoi progetti artistici. Qual è il leitmotiv di questi progetti?

«Direi che il leitmotiv potrebbe essere la mescolanza di stili e di sonorità. La mia voglia e la volontà di ricerca e di sperimentare arrangiamenti nuovi, far naturalmente fondere e mescolare nei progetti tutta la musica che ho ascoltato».

Nel corso della tua carriera hai composto svariate musiche per film e documentari. Che genere di brani hai scritto?

«Ho composto musiche per film e documentari, e spero che diventi sempre di più il punto centrale della mia attività professionale. Ho avuto la fortuna di arrangiare due brani, I Am Fool To Want You e Luna Rossa, cantate da Mbarka Ben Taleb nel film Gigolò Per Caso di John Turturro. Il primo è una ballad jazz, ma tradotta in arabo, il secondo un brano classico napoletano trasformato in sonorità gitane e flamenche. Ho scritto musiche di carattere divertente e spensierato per due documentari di Alberto De Rosa: uno su Romano V, uno scultore di tronchi e alberi trovati per strada, e Ferragosto Italiano. Il genere scrittura dipende naturalmente dalle scene, dal mood del documentario, quindi si deve essere pronti per scrivere con sonorità sognanti e mistiche, passando per il jazz, il funk e naturalmente la classica. Ed ecco che viene sempre in aiuto il bagaglio di sonorità world».

Insieme alla cantante Daniela Fiorentino hai partecipato al prestigioso premio “Leo Ferrè” di San Benedetto del Tronto. Come hai vissuto questa esperienza?

«Il premio “Leo Ferrè” è stata un’esperienza meravigliosa. Ho conosciuto in quell’occasione Daniela ed è stato il primo live insieme a lei con la fisarmonica. Abbiamo preparato e tenuto un gran bel concerto. Sono stati due giorni di divertimento e risate anche con la manager Laura Trimarchi. Poi abbiamo continuato la collaborazione. Ho suonato con lei nel concerto su Edith Piaf, e nel 2017 abbiamo realizzato un progetto sulla canzone italiana, “Infinitaly”, che ci ha portato fino a Hong Kong».

Hai in animo nuovi progetti per l’immediato futuro?

«Sì, sto registrando e ultimando il secondo volume del mio progetto storico “Neapolis In Fabula”, che dovrebbe uscire in autunno/inverno 2018. E sto tirando fuori dal cassetto “Un giro del mondo in 80 minuti”. Ne vorrei fare un CD e un live con vari musicisti polistrumentisti. In più sto preparando la registrazione del mio “Piano Solo” intitolato “Nel Regno Dei Sogni”. Spero verranno alla luce nel 2019».