Premio Tenco 2019 – il resoconto del nostro inviato all’Ariston

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Premio Tenco 2019Sanremo ha sempre vissuto la musica dividendosi in due fazioni contrapposte: i sostenitori della canzone leggera e disimpegnata schierati col carrozzone festivaliero, gli amanti della canzone d’autore e di protesta col Premio Tenco.
Ma, nella società liquida e contraddittoria degli ultimi anni, i confini tra i due mondi si sono assottigliati rendendo possibile l’esibizione dello stesso artista in contesti storicamente lontani tra loro.
Basti citare le vittorie di Vecchioni e Stadio al Festival di Sanremo o il Premio della Critica ottenuto da Daniele Silvestri nell’ultima edizione.
Alle critiche ed i dubbi sollevati, da più parti, per la presunta “svolta festivaliera” la Direzione Artistica del Tenco ha risposto con un chiaro segnale ecumenico intitolando la 43° edizione “Dove vola colomba bianca”, un omaggio alla storia della canzone italiana tout court, senza distinzioni di genere.
Una scelta che può essere frutto di valutazioni artistiche, commerciali o di mera sopravvivenza all’interno di una scena che, seppur non sprovvista di giovani talenti, fatica a tenere il passo rispetto alle gloriose stagioni passate.
Superate le polemiche suscitate dalla presa di distanza della famiglia Tenco per alcune scelte artistiche ed organizzative non ci resta che addentrarci nel dettaglio delle tre serate.
I simboli sono importanti nelle manifestazioni e l’iniziale “Lontano, lontano”, oltre ad essere un gioiellino musicale, rappresenta il legame con tutti gli interpreti che vi si sono accostati, con rispetto ed amore per il ricordo di Tenco.
Non si può che definire indecorosa la versione in cui il giovane Achille Lauro, accompagnato da Morgan al pianoforte, ha torturato le orecchie di un pubblico, diviso tra sbigottimento ed imbarazzo, con evidenti stonature.
Dopo questo inizio la rassegna non poteva che migliorare e lo stesso Lauro (sempre più personaggio mediatico che figura artistica rilevante, a mio modesto parere) si è esibito con maggiore sicurezza in un repertorio a lui più consono.
Enzo Gragnaniello, Targa Tenco come “Miglior disco dialettale”, ha presentato “Lo chiamavano vient’ ‘e terra” confermandosi figura importante nella fusione tra poetica popolare e suggestioni musicali vicine al blues. Un esempio di cantautore che, nonostante una carriera non sempre sotto la luce dei riflettori, mantiene una sua chiara connotazione artistica.
Il compagno Alessio Lega, raro esempio di cantore anarchico dei nostri tempi, ha dimostrato quanto una rassegna come il Tenco odierno possa tenere insieme mondi apparentemente inconciliabili.
Premiato per il lavoro sulle canzoni di Bulat Okudzava, presentato in anteprima su questo palco l’anno scorso, Lega ne ha eseguito “Il musicista”, insieme al violinista Michele Gazich, proseguendo la sua esibizione con omaggi ad altri artisti fondamentali per la canzone d’autore quali Ivan Della Mea e Gianni Siviero.
Altro momento piacevole da ricordare è stato il miniset di Daniele Silvestri che ha cantato “Argento vivo”, insieme al rapper romano Rancore e Manuel Agnelli, per finire intimamente con alcuni suoi classici al pianoforte.
Il santone Vinicio Capossela, Targa Tenco come miglior disco per “Ballate per uomini e bestie” ha confermato il suo valore tra poesia (Il povero Cristo) ed ironia (Il testamento del porco) anche se non considero questo disco tra i suoi più riusciti.
Fulminacci, premiato per il disco d’esordio, è parso a suo agio su un palco complicato come quello dell’Ariston con una esibizione solitaria per voce e chitarra acustica.
L’impressione è quella di un ragazzo di talento ma ancora alla ricerca di uno stile originale che lo distingua dagli altri cantautori della scena contemporanea.
La prima parte della serata di venerdì era completamente dedicata alla celebrazione di Pino Donaggio, Premio alla carriera per una vita consacrata a canzoni e colonne sonore.
Moltissimi interpreti si sono alternati sul palco (Nina Zilli, Levante, Petra Magoni in un toccante duo con la giovane figlia Frida, il quartetto d’archi Gnu quartet) riproponendo canzoni più o meno note del settantottenne compositore di Burano che, visibilmente felice e commosso, ha chiuso intonando il ritornello di “Io che non vivo” tornando a cantare dopo decenni dedicati solamente alla composizione.
L’eterno Ron e gli Stadio hanno riportato il grande Lucio Dalla sul palco dell’Ariston tra omaggi musicali e ricordi di vita vissuta proponendo set professionali senza, però, la scintilla che li trasformi in eventi da ricordare.
C’era molta attesa nel ritrovare Eric Burdon, storico leader degli Animals, accompagnato dal gruppo italiano “Custodie cautelari”.
Un arzillo settantottenne che, seppur appesantito nel fisico, si trasforma salendo sul palco con un carisma ed una voce ancora in grado di regalare brividi.
I tempi ristretti, dettati sia dalla ricca programmazione di ogni serata che dalla scarsità di prove col gruppo spalla, hanno ridotto la sua esibizione a soli tre brani tra cui l’immancabile “House of the rising sun” ed un omaggio a Nina Simone con “Don’t let me be misunderstood”.
Tra i momenti da ricordare della serata finale citiamo il ritorno di Roberto Brivio che ha riproposto, accompagnato da una fisarmonica, il repertorio dei Gufi, storico gruppo della canzone milanese che, soprattutto negli anni 60, hanno segnato la scena con un mix di ironia macabra ed impegno politico.
Un altro “ragazzo ottantenne” che ha dimostrato di avere ancora energia da dispensare ad un pubblico che abbracciava diverse generazioni.
Mimmo Locasciulli, una ventina di dischi a proprio nome e notevoli collaborazioni nazionali ed internazionali , è sempre stato un personaggio schivo che non ha ottenuto il riconoscimento che meriterebbe.
Oggi il settantenne cantautore abruzzese presenta un gruppo con influenze jazz dimostrando di saper coniugare la ricerca autoriale con l’apporto degli arrangiamenti della sezione fiati.
Gianna Nannini, Premio Tenco alla carriera, era presente, insieme all’inossidabile presentatore Antonio Silva, nell’edizione del lontano 1976.
La carriera l’ha portata ad unire il rock alla canzone, scegliendo a volte il grande pubblico degli stadi, altre volte una musica più intima e personale fino a riapprodare, da vincitrice, al palco che l’aveva lanciata più di 40 anni fa.
E questo testimonia, al di là di alcune deviazioni e scelte sbagliate, una continuità tra la storia di questa rassegna e quella degli artisti che l’hanno frequentata.
Certamente si deve aprire al rap ed alle nuove tendenze e la presenza di Rancore quest’anno, come quella di Willie Peyote nell’edizione 2018, ha ottenuto un buon riscontro perché il discrimine, al di là dei vari generi, è sempre la qualità.
E la produzione del cd “Io credevo”, omaggio alle canzoni di Gianni Siviero, è un po’ il filo rosso che unisce il Tenco storico a quello odierno.
Così come Peppe Voltarelli ed Alessandro D’Alessandro hanno unito canzoni ed emozioni diverse, tra il palco principale e gli eventi collaterali della Pigna, facendo vivere di musica e condivisione umana anche quartieri spesso dimenticati durante gli appuntamenti della nostra città.