… dalla nostra Storia – ottobre 1974 – “Paganini e la chitarra”
da STRUMENTI E MUSICA – anno ventisettesimo – numero ottobre 1974
PAGANINI E LA CHITARRA
di Giuseppe Gazzelloni
Niccolò Paganini, il grande mago del violino, il formidabile concertista-improvvisatore del Romanticismo, fu anche suonatore di chitarra, riuscendo a raggiungere con questo strumento un grado di straordinario virtuosismo.
Sante Bargellini, suo eminente biografo, ricorda che a Nizza, nella seconda metà della sua vita, Paganini suonò più la chitarra che il violino. Egli morì con la sua Gaudagnini sul comodino da letto, e il pittore che dipinse questa scena per mandare la sua tela ad una esposizione paganiniana a Genova, fu ben informato per rappresentarlo così.
Come spesso faceva con il violino, Paganini accordava la sua chitarra nei modi più strani e vari, ricavandone effetti sorprendenti: accordi, pizzicati, strisciati, armonici naturali ed ottavati. E tuttavia non volle mai suonare la chitarra in pubblico.
Una sola volta, a Firenze, sotto gli Uffizi, prese la chitarra dalle mani di un mendicante e cominciò a suonare così armoniosamente che il pubblico, subito formatosi, lo seguì per sapere chi fosse. E un vecchio che ebbe una volta la fortuna di udirlo, nel riconoscerlo esclamava con le mani giunte e gli occhi volti al cielo: “Non ci sono parole! Non ci sono parole!”.
Leon Escudier scrive: “E’ assai difficile farsi un’idea dell’agilità straordinaria delle dita di Paganini allorché percorrevano la tastiera dell’amata chitarra. Le improvvisazioni che uscivano da quelle sei corde erano quasi magiche. Tutte le fantasie poetiche del suo violino erano state prima provate sulla chitarra”.
L’amore di Paganini per la chitarra trovò modo di manifestarsi quando apparve nella sua vita la prima figura femminile. Un suggestivo alone di mistero e d’ignoto lo ravvolge: il musicista non ha mai confidato il nome di eli a nessuno, e tale riservatezza schiva fa pensare a un sentimento profondo per una creatura nobile e degna.
Solo una volta narrò al Fètis, vagamente, qualcosa intorno a questa sua avventura, senza precisare né l’identità della donna né il luogo dei loro amori. Dopo aver parlato del primo soggiorno di Paganini in Toscana, il Fètis scrive infatti: “Benché ancor nell’aprile di sua gioventù, Paganini altro non conosceva che i trionfi della sua abilità, allorché, per una di quelle peripezie che sono frequenti, anzichenò, nella carriera dei grandi artisti, il violino cessò d’improvviso di offrirgli il medesimo allettamento. Una signora d’alto lignaggio aveva concepito per lui un amore violento ch’ei divideva, ed ambedue si erano ritratti in un podere da lei posseduto in Toscana. Questa signora suonava la chitarra: ella ne ispirò il gusto al suo innamorato, ed egli vi applicò tutte le facoltà del suo genio, come aveva fatto in precedenza col violino. Non andò guari che vi scoprì nuovi mezzi d’esecuzione di cui fé ricca l’abilità dell’amica sua, e, per quasi tre anni, si diede a tutt’uomo allo studio di questo strumento ed a quello dell’agricoltura di cui la bella possessione della sua dama gli offriva occasione. Fu allora che egli scrisse dodici sonate per chitarra e violino, che formano le sue opere seconda e terza. L’amore finisce con l’andare del tempo: Paganini se ne avvide un bel giorno e ritornato alle sue prime inclinazioni, ripigliò il violino, determinato di ricominciare i suoi viaggi a Genova in sul finire del 1804, si dedicò per alcuni mesi al comporre”.
Da quanto scrive il Fétis, dunque, l’avventura con la dama di alto lignaggio si dovrebbe collocare dall’inizio del 1802 alla fine del 1804. Sono i tre anni della vita di Paganini intorno a cui, si è detto, ancora permane un certo mistero; ma certamente sono gli anni durante i quali egli visse spensieratamente, allietato dal suo amore per la dama e dalla sua grande passione per la chitarra.
Parlando degli studi di Paganini sulla chitarra, il Contestabile afferma che “al termine delle sue prime artistiche esecuzioni, il grande violinista tornò nuovamente alla patria, ove piacendogli di riposarsi delle fatiche di concertista, non suonava che in private riunioni, occupandosi a preferenza della composizione, e dello studio della chitarra, strumento nel quale per la sua conformazione delle sue dita riuscì a meraviglia, e per il quale compose suonate, variazioni, concerti, che per la più parte rimasero senza pubblicazione.
Ed or qui mi si porge il destro considerare, come questo talento straordinario, questa mente di tanta possanza non la vedi restringersi ad un solo ramo dell’arte, a che erasi dedicata, ma in diversi, se non tutti, la scorgi palesar sommo merito. Dimodoché se Rossini si mostrò compositore, suonatore, cantante, Paganini fu valente in egual modo nel suono della chitarra, del violino e della viola, ed appalesossi un compositore di tanta verità, grazia, che taluni intesero così Rossini parlare: – E’ stata veramente una fortuna, che Paganini non siesi di proposito brigato nella composizione lirica. Ei saria divenuto un rivale abbastanza pericoloso -. Ma ritornando ai suoi studi sulla chitarra, non posso far a meno di notare che egli ne ingrandì l’esecuzione, imprimendovi il medesimo genere che nel violino. E dipoi aver composto i su accennati quartetti, più fiate in privati, ed amichevoli trattenimenti udissi seguire a vicenda le parti di violino, e della chitarra, tenendo questa sospesa al collo, ed il violino posando sopra le proprie ginocchia allorché suonava la chitarra. Un simile cangiamento faceasi da lui con rapidità, e valor sommo, valore cui egli non pensò giammai di far carico, quantunque non gliene mancasse ragione.
Col procedere degl’anni però la chitarra non gli fu uno strumento gradito ed allora ne facea uso soltanto per la composizione, o per rassicurarsi della condotta dei pensieri, o per produrre qualche armonia, di cui nel violino non potea conoscer l’effetto. Ma all’epoca, in che cominciò a diventar chitarrista, non solo piaceagli di dedicarsi a siffatto studio, ma anche a quello dell’agricoltura, trascorrendo così la sua vita in fra simili occupazioni che allora eran per lui il più gradito sollazzo. Ben presto però ridestossi l’antica passione, che rimasta qualche tempo sopita, forse ricomparir volea più efficace, e possente”
Nella notizia autobiografica Paganini dice che “restituitomi in patria” (dopo il giro in Toscana e nell’Italia settentrionale) “mi dedicai all’agricoltura e per qualche anno presi giusto a pizzicare la chitarra”.
Come abbiamo visto, questo periodo di tempo è occupato dall’amore di Paganini per una gran dama, dilettante di chitarra.
Finora non è stato possibile sapere chi sia stata quella gran dama. Arnoldo Bonaventura suppone che di nome si chiamasse Dida “giacché alla signora Dida son dedicate varie delle composizioni inedite per chitarra scritte da Paganini”, facenti parte della collezione di cimeli paganiniani messa all’asta a Firenze nel gennaio 1910 e comprata dal comm. Leo S. Olschki, il quale diede per l’appunto ai Bonaventura l’incarico di catalogare i manoscritti musicali della collezione. Infatti, di questi manoscritti, parecchi composti per chitarra sono dedicati alla signora Dida con parole curiose e sospette; così, ad esempio su un “Minuetto per chitarra (sic) dedicato alla signora Dida” è scritto: “Il sospirar non giova. L’ittelizia (sic) mi lascia Erede di una debolezza (sic). Tale che il Dottor Botte mi proibisce il suonare per qualche giorno, son io contento? Pazienza, i giorni passano, la Forza acquisterò e li farò vedere quanto io sono veramente suo obbedientissimo servitore ed Implacabilissimo amico Niccolò Paganini”. Un altro minuetto porta scritto di pugno dall’autore: “Minuetto che va chiamando Dida, per chitarra (sic) Francese dedicato alla signora Dida da Niccolò Paganini”. Ma in una di tali dediche il Dottor Borda, che era stato erroneamente letto Dottor Botte, colloca tali composizioni nel periodo trascorso a Pavia nel 1822, e la supposizione di Bonaventura (che aveva fatto fortuna ed era stato adottato da tutti, compresi il Mompellio del 1936 e il Pulver nel 1938, sebbene l’errore fosse stato rettificato dal Codignola nel 1935) cade definitivamente.
Nella cospicua raccolta di opere inedite di Paganini si trovano una ventina di composizioni per chitarra sola, oltre ad altri pezzi vari per violino e chitarra, per strumenti ad arco e chitarra. Sul frontespizio della prima Gran sonata per chitarra si legge: “Grand (sic) Sonata a Chitarra (sic) sola composta da Niccolò Paganini; e la sonata si divide in tre movimenti: Allegro risoluto; Romence (sic) piuttosto largo amorosamente; Andantino variato, scherzando (alcuni storici ritengono che la denominazione di questi tre tempi potrebbe richiamare le tre fasi dell’avventura sentimentale del giovane Paganini).
Un altro autografo, un foglio volante, forse un foglio d’appunti, reca un breve Waltz (sic) e dopo il Waltz la seguente indicazione di mano dell’autore: “Motivi delle sei sonatine per Chi.a (Chitarra) fra.e (Francese) di Niccolò Paganini. Sinceramente lo dico con tutta sincerità”. E dopo alcune righe di musica si legge ancora: “Senza adulazione”. Su un foglio volante troviamo invece un Minuettino detto il Matto. Più oltre, fra i duetti per violino e chitarra, troviamo un Duetto amoroso così diviso: “Principio, Preghiere, Acconsentito, Timidezza, Contentezza, Lite, Pace, Segnali d’amore, Notizia della partenza, Distacco”. E la partenza fu forse così precipitosa che il pezzo rimase incompiuto.
Niente di più probabile che fosse sempre dedicato all’amica toscana: la dama aveva una predilezione per la chitarra, probabilmente ella eseguiva i pezzi (su un altro foglio troviamo, non si sa se per lei, questa indicazione: “Si raccomanda il valore alle note, e alle pause…”) e Paganini, abbiamo visto, si dedicò a questo strumento appunto per compiacerla, abbandonando per un po’ il violino. A questo stato d’animo bene si adatterebbe il titolo di un’altra composizione: “Sonata quinta: Cantabile (Andante appassionato, con flessibilità)” ove la chitarra è in armonioso duetto col violino, inevitabile con temperamento delle due predilezioni della dama e di Niccolò.
L’amore della “signora d’alto lignaggio” per la chitarra (al principio dell’Ottocento la chitarra godeva in tutta l’Europa di un grandissimo favore) servì a rendere familiare a Paganini uno strumento che doveva riuscirgli utilissimo, a lato del violino. Infatti la chitarra servì a Paganini per allargare ancor più l’estensione della mano sinistra; e la sua accordatura, con intervalli diversi da quelli del violino, senza dubbio lo aiutò ad acquistare una notevole agilità, accrescendo, quindi, al massimo le sue già sviluppate capacità tecniche.
Quanto alle sue composizioni per chitarra, poi, alla loro entità e al loro valore, cominciamo col dire che una sola parte della vasta produzione paganiniana risulta finora pubblicata; e questa sola parte basta per dare un’idea delle straordinarie intuizioni e realizzazioni tecniche dal Paganini offerte in pezzi di varie dimensioni, tutti però solidamente costruiti e coloriti di varie ed originali figurazioni; d’altra parte le musiche paganiniane per chitarra testimoniano come la costruzione formale e l’invenzione melodica siano frutto della fantasia romantica, vivace, spigliata e creatrice del genialissimo violinista.
Per questo Paganini è personalità singolarissima in quanto la sua arte di esecutore si immedesima con lo spirito della sua creazione e dalla quale non può scindersi perché egli è, ad un tempo, l’interprete ed il creatore di se stesso.
Per dare un quadro della vasta produzione paganiniana di musiche per chitarra è necessario elencare tutte quelle composizioni nelle quali la chitarra è presente sia come strumento solista, sia come strumento facente parte della musica d’insieme.
Per il seguente elenco è stato necessario valersi del catalogo del Bonaventura, di quello del museo Heyer (volume quarto, pubblicato nel 1916 a cura di Georg Kinsky, conservatore del museo) e dell’elenco delle opere con note a cura di Federico Mompellio, oltre che delle notizie trovate nelle lettere di Paganini, negli scritti su di lui e della conoscenza delle composizioni stesse. In questo elenco sono inoltre comprese quelle opere delle quali si ha notizia ma di cui non si conosce il manoscritto. Poiché di molte composizioni non è noto l’anno di origine, non è stato possibile ordinare cronologicamente, anche se la data è indicata in quelle che erano in qualsiasi modo databili.
Giuseppe Gazzelloni
(continua)