Legato o attaccato?

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Chopin - Notturno“Questo non è legato, è attaccato!”: la famosa frase di Michele Marvulli durante la quarta edizione dei “Campus AFAM” di Santa Severina, in provincia di Crotone. Questo è il dramma tecnico che affligge ogni buon pianista che si accinge a scoprire i difetti di uno strumento che per quanto completo non permette usi e “consumi” che altri strumenti danno.

I pianisti russi, ancora oggi, si ostinano a non capire che il pianoforte non ha le arcate come i violini, e per quanto l’utilizzo del tocco e l’espressività del fraseggio sia lodevole e scorra naturale nelle vene della musica sovietica, il vero “legato” non diverrà mai pieno sul pianoforte. Sarebbe rimasto male di fronte a queste affermazioni il caro Ludwig van Beethoven, che era un amante incondizionato del legato. Beethoven, che aveva studiato pianoforte con il Neefe (sconcosciuto ai posteri e non grande virtuoso della tastiera) e composizione con Salieri (che per altro lo “istruiva” gratuitamente), conosceva bene il “Clavicembalo ben temperato” di J. S. Bach e aveva studiato quasi a memoria l’opera omnia di Omero, perciò aveva sviluppato una dedizione alla musica e alla letteratura fuori dal comune.

Maestro di prima vista, di improvvisazione, di contrappunto e di elaborazione sul basso numerato, possedeva inoltre un innato virtuosismo tecnico dettato dalla conformazione della sua mano, che era larga, tozza, potente e con i polpastrelli quadrati. Grazie a ciò, Beethoven impressionò i primi viennesi che ascoltarono il suo straordinario legato, che mai prima era stato sentito sul pianoforte. Ma Beethoven non poteva sapere che centinaia di anni più tardi, i posteri avrebbero creduto ingenuamente, alle soglie di un millenio in cui l’uomo si prepara a colonizzare la luna, di poter legare i suoni al pianoforte nel senso più “intimo” della parola.

Tutti innamorati e dediti allo studio del legato, tutti con un innato senso di colpevolizzazione nei confronti di quei poveri allievi che non riescono a “legare” la frase, tutti con il palmo di una mano aperto in attesa della discesa dell’altra mano in un poco timido tentativo di mostrare “ad exemplum” come l’ultima falange deve “scavare” il tasto. E una valanga di grandi didatti del pianoforte che gridano agli allievi “Feel the Key” mostrando al mondo che, mentre l’essere umano si prepara a gestire l’energia nucleare e a sfruttare quella solare, i pianisti non hanno ancora capito che il pianoforte è uno strumento a corde percosse e non “lisciate”.

In buona sostanza, sul pianoforte il vero legato non esiste, perchè è possibile solo un mediocre “attaccato”, come Marvulli “docet”. Quello che consola, è che per fortuna il pianoforte riesce a dare tanto e forse troppo anche senza possedere il senso di quel legato che ogni buon pianista russo sogna inutilmente. Intanto, l’apertura mentale che fa spazio ad una nuova didattica del pianoforte, risiede nella buona volontà di quei pianisti che senza pregiudizio alcuno affrontano il proprio strumento con amore e non con insistenza.