Quando Sofija Gubajdulina incontrò la fisarmonica (8^ parte)

Varcare la soglia del sacro

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Nel precedente capitolo di questo lungo articolo dedicato a Sofija Gubajdulina eravamo arrivati al momento della composizione (1979) di In Croce per violoncello e organo e, soprattutto, a quello della trascrizione (1992) per il bayan di Elsbeth Moser delle parti originariamente affidate all’organo. In Croce è un’opera in un solo movimento. All’inizio, il bayan suona in registro acuto, mentre il violoncello in registro grave. Nel corso della composizione i due strumenti si accostano e si intersecano. Il simbolismo della Croce, che è, dunque, immediatamente percettibile, era comparso già in Sette parole [1],ma qui le particolari sonorità espresse dal violoncello – energiche, dense, ruvide, con molto vibrato (spesso su una corda sola) – contribuiscono in modo particolare a renderlo esplicito. È come se “lo strumento volesse cantare, anzi gridare, ma non potesse perché la sua voce è quasi soffocata […] C’è nell’opera un momento culminante in cui il violoncello esegue una serie di tremoli, una cadenza di tipo improvvisativo nel registro acuto al culmine della quale esplodono nell’organo [poi nella fisarmonica, n.d.r] accordi bitonali. Quello è il momento in cui finalmente si può gridare”, ha scritto Enzo Restagno.

Dodici anni dopo aver composto il brano, Sofija Gubajdulina ha «confessato» di non ricordare quali siano state le origini spirituali di In Croce: “L’inizio del processo creativo è sempre un fatto un po’ misterioso; si possono ricordare circostanze esteriori, ma i moventi più intimi restano avviluppati nel profondo della coscienza”. L’idea di fondo, però, era quella di dar voce a un’opposizione tra luce e ombra, in cui il suono dell’organo/bayan si manifestava con sembianze incorporee mentre traspariva tutta la sostanza umana del violoncello: l’antinomia fra i due opposti universi dava vita alla simbologia della Croce.

Con la parola “simbologia”, riferita alla musica di Sofija Gubajdulina, riapriamo un capitolo di entità e profondità straordinarie. Nel corso di questo excursus l’abbiamo già incontrata in ogni sua opera presa in considerazione. La nostra compositrice la definisce come “la massima concentrazione di significati, la rappresentazione di tante idee che esistono anche fuori della nostra coscienza e il momento in cui questa apparizione si produce nel mondo: questo è il momento di fuoco della sua esistenza, perché le molteplici radici che si trovano al di là della coscienza umana si manifestano anche attraverso un solo gesto”.

In In Croce la fisarmonica (nella trascrizione del 1992), per dirla con le parole di Patrizia Angeloni (sebbene riferite ad altro contesto) “si esprime […] nella sua natura di moderno organo portativo” con i cluster mobili che controbattono alle improvvisazioni del violoncello. “Certamente il rapporto tra violoncello e fisarmonica ricorda quello tra organo e violoncello” – sostiene Gubajdulina – “e la ragione della complementarità dei due strumenti si trova nella loro stessa natura”. E, ribadendo in forma diversa un concetto già espresso in altre occasioni, aggiunge: “nel violoncello le corde possono essere usate in maniera molto espressiva. La fisarmonica invece produce un genere di espressività che fa pensare al respiro e al sospiro. È come se due differenti tipi di sensibilità dell’essere umano venissero sollecitati e quei due strumenti ne sono la metafora”.

L’anno della “svolta” è il 1978, quello, cioè, in cui la musica di Sofja Gubajdulina, per sua stessa ammissione, si ammanta di un significato simbolico. Tutto ha inizio con Introitus per pianoforte, ma a noi, «fanatici » della fisarmonica, piace ricordare come il 1978 sia anche l’anno di De Profundis, la sua prima composizione per il nostro strumento. È, dunque, a partire da quell’anno che Gubajdulina inizia a interpretare simbolicamente tutto ciò che contribuisce alla realizzazione delle sue architetture sonore. Un periodo che coincide, tra l’altro, con quella che è stata unanimemente definita – dalla musicologia e dalla stessa Gubajdulina – come la fase dello “sviluppo ulteriore della [sua] maturità”.

In Croce fu commissionato da Vladimir Toncha, già committente di Sette parole [2]. Una delle linee creative scelte da Gubajdulina, oltre a quella simbolica e a quella organistica, è proprio – e necessariamente – connessa all’arte interpretativa del grande violoncellista, che era stato anche il primo esecutore dei suoi Dieci Studi (Preludi) per violoncello solo (1974). Un’altra linea creativa è quella della declinazione drammaturgica delle possibilità espressive degli strumenti.

Alle radici di In Croce c’è Suoni del bosco (1978) per flauto e pianoforte. La breve partitura per il flauto contiene in nuce il futuro tema principale di In croce. Anche i trilli melodici eseguiti all’organo (e, repetita iuvant, alla fisarmonica) hanno quell’origine, sebbene richiamino scenari differenti. E se in Suoni del bosco i due strumenti si esprimono euritmicamente, in In croce organo (o fisarmonica) e violoncello sono inizialmente in antitesi per registro, armonia, articolazione e tessitura per poi scambiarsi, progressivamente, le rispettive proprietà, «recitando» (per restare nella metafora della drammaturgia) un avvicinamento: il tema della fisarmonica si abbassa di registro, mentre quello del violoncello sale, via via sempre più acuto, transitando dal mondo terreno alla sfera celeste.

 

[1] Cfr. https://www.strumentiemusica.com/fisarmonica/quando-sofija-gubajdulina-incontro-la-fisarmonica-4-parte/
[2] Idem.

 

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