Le mille sfumature del respiro della fisarmonica

Intervista a Francesca Gambelli

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Francesca GambelliCon Francesca Gambelli è scattata un’immediata simpatia fin dalla prima mail e dalle prime telefonate. È vero che un giornalista dovrebbe confrontarsi col proprio interlocutore solamente sul piano professionale, creativo. Ma quando alle indubbie professionalità e creatività di un’artista si unisce la sua capacità di comunicare con “semplicità” (senza semplificare) e con empatia, allora il lavoro si fa più facile e piacevole. Come sempre, per il curriculum completo dei compositori e delle compositrici rimando ai loro siti web. Per quello di Francesca Gambelli potete cliccare QUI.

Iniziamo dalla gioventù, Francesca. Non la tua, ma quella dei ragazzi per i quali hai scritto dei lavori nell’ambito della rassegna di teatro musicale a loro dedicata, “Domeniche da favola” del Teatro Everest di Firenze. Di che cosa si tratta, come si scrive musica “per ragazzi” e come è stato accolto il progetto da questo pubblico così particolare?

La rassegna “Domeniche da favola” ebbe inizio dalla collaborazione del Conservatorio di Musica Luigi Cherubini di Firenze con l’Associazione Culturale “Il paracadute di Icaro” con l’obiettivo di costruire, ideare e realizzare diverse iniziative per avvicinare i bambini e i ragazzi alle arti, al teatro e alla musica. Gli spettacoli erano liberi adattamenti di alcune tra le Fiabe italiane di Italo Calvino, con musiche originali appositamente composte ed eseguite dal vivo. Ho avuto l’occasione di comporre le musiche di scena per due spettacoli, nel 2009 e nel 2012. Credo che scrivere musica destinata a un pubblico molto giovane non debba necessariamente implicare una sorta di semplificazione dei mezzi compositivi per il timore di risultare incomprensibili, perché, in fondo, quello musicale, seppure dotato di una sua retorica, è un linguaggio evocativo. In questo caso si trattava di musica applicata per cui in realtà l’aspetto essenziale era quello di aderire alla drammaturgia del testo, cercando di creare legami e connessioni con l’azione scenica. Il progetto ebbe un buon riscontro, il format prevedeva matinée per le scuole e spettacoli domenicali che ebbero un nutrito pubblico e diverse repliche.

Ora, veniamo alla tua di gioventù, piuttosto recente, se mi permetti un riferimento alla tua età… Quando e perché decidesti di diventare una compositrice? Ci furono un disco o un concerto, che potremmo definire dantescamente “galeotti? O una persona? Un familiare, un insegnante, che funsero da mentori?

Ho dei ricordi lontani ma abbastanza precisi sull’effetto che la musica (di qualsiasi genere) aveva su di me. Ricordo che ciò che più mi incantava ed emozionava era la simultaneità dei suoni, quindi l’armonia, e il canto a più voci, le polifonie, anche quelle semplici che ci facevano cantare a scuola. Proprio a scuola i maestri si accorsero che avevo un buon orecchio e così iniziai con lo studio del pianoforte. Diversi anni più tardi, mi trovai ad accompagnare il coro del mio paese: furono i coristi le prime cavie delle mie rudimentali composizioni a due voci… Solo diverso tempo dopo, cominciai seriamente con lo studio della composizione, al Conservatorio di Firenze, prima con il M° Franco Cioci, poi a lungo con il M° Barbara Rettagliati e infine con il M° Paolo Furlani.

Ho letto nel tuo curriculum, che, “interessata alle arti plastiche e grafiche”, dal 2015 sei responsabile delle attività di studio, progettazione e realizzazione grafica presso il Conservatorio di Firenze e che, dal 2023, fai parte del gruppo di ricerca dello stesso Conservatorio per il progetto “Studio musicale e DSA. Metodi e strategie”, in qualità di compositrice, grafica ed esperta di software di scrittura musicale. Innanzitutto, di che cosa si tratta esattamente?

Il Conservatorio di Firenze tiene in molto conto l’inclusione degli studenti con disabilità e DSA tanto che da anni investe sulla ricerca delle modalità più idonee affinché questi studenti possano proficuamente seguire un percorso musicale professionale. Il progetto sopracitato scaturisce da una precedente ricerca (la prima in Italia a essere stata condotta con un approccio sistematico quantitativo e qualitativo) i cui esiti mostravano come molti soggetti con DSA adottassero procedimenti simili nel metodo di studio della musica per arginare il problema della decifrazione della notazione. A partire da questo, il progetto “Studio della musica e DSA” intende sperimentare una nuova strategia di apprendimento, un unicum nel panorama della ricerca sui DSA in ambito musicale che, in estrema sintesi, consiste in un lavoro di scomposizione della partitura nei suoi diversi elementi per facilitarne la lettura e quindi l’esecuzione. Il gruppo di ricerca è composto da Alessandra Petrangelo – responsabile del progetto, docente e Prodirettore vicario del Cherubini, Presidente del Coordinamento Nazionale dei Delegati per le disabilità e i DSA dei Conservatori, Roberto Neri – ingegnere informatico, docente e Prodirettore del Cherubini, Enrico Ghidoni – medico neurologo (Centro di neuroscienze Anemos Reggio Emilia, Associazione Italiana Dislessia) e Andrea Zingoni, docente e ricercatore in Ingegneria Informatica e Intelligenza Artificiale presso l’Università degli Studi della Tuscia. Il mio contributo riguarda l’elaborazione grafica degli spartiti.

L’interesse per le arti plastiche e grafiche ha influenzato, in qualche misura, la tua ricerca musicale?

Assolutamente sì. Credo che la composizione sia anche un fatto grafico; del resto la notazione musicale è una rappresentazione del suono, e più il segno grafico è curato, preciso e calligrafico, più questa rappresentazione diventa uno specchio dell’effetto sonoro. Strutturalmente parlando, al netto del materiale musicale che si sceglie e dello stile, credo che una partitura spazialmente equilibrata e chiara sul pentagramma, lo sia anche nella sua restituzione sonora e nei suoi significati. La padronanza del segno, secondo me, permette al pensiero compositivo di potersi esprimere, perché – per usare una similitudine – siamo in grado di pensare solo ciò che sappiamo anche dire, e sappiamo pensare tanto meglio quanto meglio sappiamo parlare. In sintesi quello che ricerco, anche attraverso le scelte grafiche, è la chiarezza.

Un altro passaggio del tuo curriculum che m’interessa approfondire, oltre, naturalmente, a tutti i tuoi lavori musicali, è la partecipazione al femFestival di Firenze, che, se non sbaglio, è un concorso per compositrici: il mondo della musica colta è ancora così discriminatorio nei confronti delle donne, tanto da dover ricorrere a concorsi separati?

Per principio logico direi che le competizioni in cui a entrare in gioco sono le abilità artistiche e intellettive della persona, non dovrebbero certamente essere divise per genere. Tuttavia esiste un gender gap da colmare, quindi concorsi riservati e concerti con programmi totalmente al femminile, dedicati alle donne compositrici, da un lato ricordano la quota rosa, l’obbligo legale di essere presenti, ma dall’altro sono occasioni preziose per conoscere grandi artiste del passato e per ascoltare la voce delle compositrici contemporanee. Con questo spirito ho partecipato al femFestival insieme a centinaia di altre compositrici da tutto il mondo e il mio brano per mezzosoprano e orchestra è stato eseguito al concerto finale.

Hai dedicato brani a John Cage (Just for fun per marimba, 2012) e a Luigi Dallapiccola (Piccola sarabanda istriana per chitarra, 2021 e un altro) . Cosa c’è di questi due grandi Maestri nella tua musica?

Just for fun è ispirato all’estetica di John Cage ed è un brano piuttosto lontano nel tempo: se dovessi scriverlo oggi sarebbe probabilmente molto diverso. Piccola sarabanda istriana invece mi fu commissionato per il volume Homage to Luigi Dallapiccola e prende spunto da un tema della Tartiniana prima. In entrambi i brani ho cercato di rendere omaggio a due compositori certamente interessanti e portatori di novità, il cui percorso, come quello di tutti i grandi maestri, è per me fonte di ispirazione, ricerca e studio nell’approccio alla composizione.

Per There’s a certain Slant of light per voce e pianoforte (2020) hai scelto dei versi di Emily Dickinson: “V’è un angolo di luce/Nei meriggi invernali/Che opprime come musica/D’austere cattedrali”. In Flebili raggi di luce per voce e flauto (2022), versi di Paolo Zampini, un contemporaneo (tra l’altro, è lui al flauto), torna la luce al centro delle riflessioni tue e dei poeti da cui hai preso in prestito le parole… Che cosa rappresenta la luce nella tua poetica?

Direi la ricerca di chiarezza e trasparenza. Nei testi che hai citato la luce aveva certamente altri significati (pesante e pervasiva per Emily Dickinson, fragile ed effimera per Paolo Zampini) ma se devo riferirmi alla mia poetica, direi che per me è importante “fare luce”, innanzi tutto, su quello che voglio dire, in quel momento, attraverso la musica. Il passo successivo è cercare di rendere chiaro, di “portare in luce”, il pensiero compositivo anche a chi ascolta, e di farlo nel modo più sincero possibile.

Per i brani cantati hai attinto, tra gli altri, anche da Ovidio, Giovanni Corona, Liliana Valentini, Goethe, Dante, navigando nello spazio e nel tempo. Autori in cui ti riconosci o versi particolarmente musicali?

Entrambe le cose. Il brano su testo di Dante e quelli sulle poesie di Giovanni Corona mi erano stati commissionati, per cui non ho scelto io, ma la ricerca dell’interazione con il testo è sempre stata la priorità. Negli altri casi a colpirmi è stata sicuramente la musicalità del testo e soprattutto il suo significato, cioè il modo in cui toccava le mie corde, in cui risuonava in me. In ogni caso è sempre un lavoro molto delicato avvicinarsi all’opera creativa di qualcun altro e caricarla di “nuova materia”, perciò sono particolarmente grata a Liliana Valentini, poetessa senese di rara sensibilità, e a Paolo Zampini, che hai citato poc’anzi, per avermi affidato i loro versi.

Mi hai scritto che i brani citati precedentemente, assieme a In this short Life per mezzosoprano e orchestra (2021), a Eadem per fisarmonica (2024) e a eccezione di Just for fun sono quelli che ti rappresentano di più. Perché? Su Eadem per fisarmonica, poi, ci soffermeremo in modo particolare…

Perché sono i brani più recenti: credo e spero che il mio modo di scrivere cambi e si evolva nel tempo, perché la scrittura è anche artigianato e può affinarsi con la pratica e l’esperienza.

Eccoci arrivati alla fisarmonica. Azzardo un’ipotesi: al GAMO di Firenze hai avuto un primo approccio con lo strumento grazie a Francesco Gesualdi, che di quella manifestazione è il direttore artistico? Correggimi, naturalmente…

No, in verità. Il brano che scrissi per GAMO Giovani nel 2012 era per marimba sola. Ho conosciuto Francesco Gesualdi in tempi più recenti, grazie alla pianista Ilaria Baldaccini.

E l’incontro con Ivano Battiston, per Eadem, in quali circostanze è avvenuto? E come ti ha convinto a scrivere per uno strumento così singolare? Ricordo che questo brano rappresenta il tuo contributo al suo progetto, 30X30, per i trent’anni dell’istituzione della cattedra di fisarmonica presso il Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze, edito dalla nostra ArsSpoletium.

Ho conosciuto Ivano Battiston diversi anni fa al Conservatorio Cherubini, dove ho studiato e dove ora lavoro. Una mattina di marzo dello scorso anno, Ivano mi chiamò al telefono, mi parlò del progetto 30×30 e mi propose di scrivere un brevissimo brano per fisarmonica sola. Non ci fu bisogno di convincermi, per me è stato un onore essere inclusa. Tra l’altro Ivano è stato subito molto disponibile al confronto e a chiarire eventuali dubbi, e questo mi ha rassicurato rispetto al fatto di poter venire a conoscenza in modo più diretto dello strumento.

Qual è la “stessa cosa” del titolo in latino, Eadem?

Venivo da un periodo un po’ frustrante e avevo spesso in mente una frase che mi ricordavo dalle versioni del liceo e che si adattava perfettamente al mio stato d’animo: “Quousque eadem?” (“Fino a quando le medesime cose?”). Mi sembrava perfetta per questo brano, che non ha grandi slanci e rimane piuttosto ripiegato, “raccolto” su se stesso.

Nell’album, la fisarmonicista è Anna Bodnar, concertista ucraina, allieva di Ivano Battiston. Durante la scrittura, ti sei confrontata anche con lei?

Mi sono incontrata con Ivano Battiston dopo la prima stesura del brano; non credo che in quella fase fossero già state fatte assegnazioni brano-interprete. È stato un momento necessario per verificare l’eseguibilità del brano, le difficoltà e l’efficacia di certi passaggi. Ivano è un musicista eccezionale, compositore oltreché concertista e potermi confrontare con lui è stato prezioso. Mi è piaciuta moltissimo, poi, l’esecuzione di Anna Bodnar, interprete di grande sensibilità ed esperienza, che ha saputo cogliere perfettamente lo spirito del brano.

Che cosa ti ha impensierito di primo acchito, nell’affrontare la fisarmonica? E che cosa ti ha entusiasmato nel corso del lavoro e alla fine?

Il fatto di non aver mai scritto per questo strumento e quindi di partire quasi da zero anche nella conoscenza del repertorio, e di avere poco tempo per approfondire. E poi intuire le immense possibilità dello strumento, ma sapere di non poterle sfruttare tutte con la giusta competenza. In un certo senso quello che mi impensieriva mi ha anche entusiasmato: la ricchezza delle possibilità espressive e le prerogative uniche della fisarmonica, come l’articolazione del mantice che determina il risultato espressivo dell’esecuzione. “Mantice nostalgico, amaramente umano, che tanto ha dell’animale triste” scriveva Gabriel Garcia Marquez e in effetti il fascino di questo respiro dalle mille sfumature ha fatto subito presa su di me.

Ritieni che la fisarmonica si presti particolarmente a una scrittura contemporanea finalizzata a essa o che sia più indicata per le trascrizioni? Per esempio, dalla musica barocca…

Sicuramente la fisarmonica si presta benissimo alla scrittura contemporanea avendo, tra le altre cose, un aspetto di teatralità molto marcato che la musica contemporanea spesso sfrutta, impiegando gli strumenti in modo non tradizionale, per ricavarne sonorità particolari: direi che la fisarmonica in questo senso offre, di nuovo, infinite possibilità. Riguardo alle trascrizioni di musica di altri periodi storici, compreso il barocco, per verificare l’eccellenza del risultato basta ascoltare le splendide esecuzioni di Bach, Vivaldi, Telemann ma anche di Bartok o Hindemith, che ci hanno regalato, tra gli altri, David Bellugi e Ivano Battiston.

Ti piacerebbe tornare a comporre per la fisarmonica? E, se sì, preferiresti cimentarti di nuovo con un brano per lo strumento solo o per un ensemble di fisarmoniche? Oppure, per fisarmonica e altri strumenti, che, magari, potresti ritenere particolarmente adatti a esaltarne determinate sonorità…

Mi piacerebbe moltissimo. Forse vorrei concentrarmi di nuovo sullo strumento solo, in modo da approfondirne le caratteristiche. Sono consapevole di aver sfiorato solo la superficie dell’universo-fisarmonica, e un brano nuovo sarebbe un’ottima occasione per proseguirne la conoscenza.