La carica emotiva come elemento imprescindibile

Nella concezione artistica e soprattutto didattica del fisarmonicista Massimiliano Pitocco, l’aspetto emozionale è di vitale importanza

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In possesso di un’eccellente padronanza strumentale, sapiente ed elegante nella gestione della dinamica e particolarmente sensibile dal punto di vista interpretativo, Massimiliano Pitocco è un fisarmonicista e bandoneonista di grande valore, nonché brillante specialista del bayan. Concertista stimato a tutte le latitudini e didatta molto apprezzato in Italia e all’estero, il musicista si sofferma sui momenti più importanti vissuti durante la sua lunga e prestigiosa carriera.

Suoni fisarmonica, bandoneon e organo. Soprattutto dal punto di vista tecnico e timbrico, quali sono le principali analogie e quali le sostanziali differenze fra questi tre strumenti?

Le analogie fra fisarmonica e organo sono molte. Per questo motivo, spesso tengo masterclass di entrambi gli strumenti appunto per illustrarne la similitudine tra i vari registri reali e di mutazione. Ma anche e soprattutto per l’interpretazione di molti autori comuni sia per organo che per fisarmonica, Bach in primis. Suonare il repertorio barocco con il bandoneon è un compito molto arduo. E pur essendo di origine ecclesiastica come l’organo, lo ritengo ancora uno strumento di tradizione e ben lontano dalla fisarmonica e proprio dall’organo.

Oltre a essere un eccellente concertista riconosciuto sulla scena internazionale, sei anche un docente di chiara fama in particolar modo nell’ambito della fisarmonica classica. Quali sono i punti cardine del tuo metodo didattico?

Per me è molto importante trasmettere la carica emotiva allo studente. Sono sempre presente con loro, anche al di fuori della lezione. Sicuramente è fondamentale avere una classe formata da allievi che poi abbiano la possibilità di stare insieme, di vivere il conservatorio assieme e condividere questo impegno e questo percorso tutti uniti. Il mio compito è quello di costruire queste relazioni tra loro. Non nascondo che il conservatorio dove sono docente, il “Santa Cecilia” di Roma, ha migliaia di studenti provenienti da tutto il mondo ed è pieno di attività didattiche e concerti: questo è motivo di facili e importanti relazioni tra gli stessi allievi e dunque utile a migliorare la propria formazione musicale. Didatticamente, ogni studente deve essere trattato in modo diverso uno dall’altro. Non è possibile utilizzare lo stesso metodo per tutti. Idem per il repertorio, con tecnica, musicalità o altro.

Massimiliano PitoccoSoffermandosi sulla fisarmonica bayan, Castelfidardo è il paese che ti ha consacrato come concertista specialista di questo strumento grazie al Premio Internazionale “Città di Castelfidardo” vinto nel 1986 e nel 1988. Quali sono i ricordi più preziosi legati a questo evento di assoluto prestigio?

I ricordi sono tanti e anche le emozioni. Quella del 1988 è stata una grande vittoria per me, in quanto la categoria era composta da tanti candidati, ma soprattutto perché il presidente di giuria era il grandissimo Yuri Kazakov, maestro dello straordinario Friedrich Lips e di tutta la grande scuola russa a seguire. Ma tra i giurati c’era anche il mitico Felice Fugazza che mi fece i complimenti personalmente. Un momento, quello, che ricordo con tanto affetto. Una grande giuria e una grande vittoria.

Nel corso della tua ricca e prolifica carriera hai anche avuto il merito di essere stato il primo bandoneonista a far conoscere il repertorio dell’immenso Astor Piazzolla nelle più importanti sale da concerto. Potresti raccontare qualche aneddoto a tal proposito?

Sì, sono stato il primo bandoneonista italiano. È stata una bella avventura. Fu un mio caro amico direttore d’orchestra a farmi conoscere il bandoneon e a “costringermi” a suonare per la prima volta, insieme a John Patitucci nel 1994 a Pescara, un suo brano proprio per bandoneon. Fu un evento di grande impatto mediatico, tanto che la settimana successiva fui invitato a suonare l’opera Maria de Buenos Aires di Astor Piazzolla con “I Solisti Aquilani”. Poi, in realtà, con il mio amico direttore d’orchestra, Angelo Valori, non abbiamo più fatto nulla insieme, ma iniziò una carriera prestigiosa ricca di concerti, specialmente tour importanti con Milva e tanti altri artisti famosi. Ma anche centinaia di altri concerti con il gruppo storico Four for Tango, solista in orchestra e molto altro ancora. Sono stati anni in cui purtroppo sono stato costretto ad abbandonare un po’ l’attività di fisarmonicista, soffrendone abbastanza, ma ho avuto la forza di rimettermi in piedi. Infatti, oggi eseguo concerti con entrambi gli strumenti spaziando dal classico al tango, ma mai mischiando le cose. Lo strumento che ho dovuto abbandonare è stato l’organo.

Grazie al tuo talento cristallino, oltre agli eccezionali artisti da te già citati, hai stretto collaborazioni molto significative al fianco di musicisti straordinari e grandi attori come Luis Bacalov, Ennio Morricone, Gidon Kremer, Nicola Piovani, Vinicio Capossela, David Riondino, Michele Placido, Enzo Decaro, Alessandro Haber e non solo. Quanto queste esperienze hanno arricchito il tuo background artistico e il tuo bagaglio umano?

Tutte le collaborazioni mi hanno trasmesso molto, perché con alcuni ci si interfacciava attraverso il pop, quindi suonando sigle. Con altri, invece, si ricercava la perfezione del suono. Sicuramente il concerto con la Kremerata Baltica di Gidon Kremer è stata un’esperienza indimenticabile. Venivo da un tour in Germania con Milva e mi ritrovai con lui al teatro “Ander Wien”. Appena fece un assolo con il suo Stradivari rimasi colpito e compresi l’importanza e lo spessore dei grandi musicisti. Oggi quel suono lo ritrovo nel violino di Anna Tifu, con la quale collaboro nel suo fantastico quartetto. Con Bacalov, purtroppo credo di aver condiviso il suo ultimo concerto a Gubbio insieme a Michele Placido, perché da lì a un mese ci lasciò. Grande perdita!

Sempre grazie alle tue notevoli qualità artistiche, nel 2018 vieni riconosciuto a Montecitorio fra le “Cento Eccellenze Italiane”, con una “Menzione d’Onore”, per essere stato un vero alfiere e caposcuola del bayan e del bandoneon nel mondo della cultura. Nell’immediato, innanzitutto sul piano emotivo, come hai vissuto questo importantissimo riconoscimento?

Questo è un altro ricordo che mi tocca molto, perché fui chiamato dal presidente di giuria di questo importante premio che era Beppe Vessicchio. Lo ricordo con grande affetto, perché era una persona di grande semplicità, cordialità, profonda sensibilità e grande musicista. Abbiamo anche fatto dei concerti insieme, ma purtroppo pure lui ci ha lasciato prematuramente a novembre di quest’anno, a 69 anni.

Oltre ovviamente ai teatri italiani più prestigiosi, hai calcato alcuni fra quelli più importanti all’estero, in Paesi come Germania, Olanda, Belgio, Portogallo, Serbia, Svezia, Austria, Francia, Lussemburgo, Ungheria, Svizzera, Messico, Australia, Giappone, Brasile. In quale di queste nazioni hai trovato un pubblico musicalmente più sensibile e competente?

Ho sempre trovato un pubblico competente e meraviglioso. Forse all’estero sono molto più sensibili all’arte rispetto all’Italia. Sembra strano per noi italiani, che abbiamo conquistato il mondo con la nostra cultura. Ma è così.

Ponendo l’accento sulla fisarmonica bayan e sul bandoneon, quali modelli utilizzi nei tuoi concerti?

Per quanto riguarda la fisarmonica ho una prestigiosa Mythos numero 19 della Pigini, strumento che non cambierei per nulla al mondo. Poi ho un bandoneon cromatico moderno costruito nel 2019 e uno diatonico del 1926 sempre dell’azienda Alfred Arnold.

La tua agenda artistica invernale è già fitta di impegni?

Sì, per fortuna. E speriamo continui così, perché suonare è la cosa più bella del mondo per un musicista.

 

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