IL SOGNO SEGRETO DI UMBERTO SABA
Saba, la “poesia onesta” e il melodramma verdiano
(prima parte)
La sua città natale, il mare, gli affetti, l’infanzia. E poi la natura, l’attualità, le partite di calcio. Questi sono i temi cari a Umberto Saba, tra i maggiori poeti del Novecento, che li tratta con un linguaggio semplice, usando parole comuni.
Saba nasce nel marzo del 1883 a Trieste, all’epoca parte dell’Impero austro-ungarico. La madre (ebrea) è stata lasciata dal marito (cattolico) durante la gravidanza:
“Ma di malinconia fui tosto esperto;
unico figlio che ha lontano il padre”[2].
La donna affida il neonato alle cure di Peppa Sabaz, contadina slovena allegra ed estroversa. La donna ha da poco perduto un figlio ed alleva Umberto con grande amore. Il bambino manifesta di preferire la tenerezza della balia (“madre di gioia”) all’estrema severità della madre (“madre austera”) che, temendo di perderne l’affetto, tre anni dopo lo riprende con sé:
“…Un grido
s’alza di bimbo sulle scale. E piange
anche la donna che va via. Si frange
per sempre un cuore in quel momento”[3].
Prima l’abbandono paterno, poi quello materno, infine la separazione traumatica dalla nutrice sono causa di profonde ferite, che mineranno fortemente la sua salute psichica e di cui tratterà nelle sue poesie, soprattutto in quelle scritte tra il 1929 e il 1931, raccolte sotto il titolo Il piccolo Berto[4]. Lo stesso cognome d’arte Saba – il poeta rifiuta quello paterno – sembra essere un tributo alla balia. Umberto cresce in un ambiente tutto femminile – Peppa, la madre e la zia (“benefica ed amata”) – e conosce il padre solamente in età adulta:
“Mio padre è stato per me «l’assassino»,
fino ai vent’anni che l’ho conosciuto”[5].
In gioventù, Saba interrompe gli studi ed inizia a lavorare: ragazzo di bottega, mozzo e poi, dall’aprile del 1907 al settembre del 1908, militare nell’esercito italiano (pur vivendo in un territorio dell’Impero austro-ungarico, è cittadino italiano). Intanto, è iniziata la sua attività poetica: nel 1903 ha fatto stampare a proprie spese Il mio primo libro di poesia, mentre il 1911 è l’anno della sua prima pubblicazione ufficiale con Poesie e il 1912 quello di Coi miei occhi.
che fu poi della «Voce», io appena o mai
non piacqui. Ero fra lor di un’altra spece”[6].
s’apre a Trieste, in una via secreta.
[…]
Vive in quell’aria tranquilla un poeta”[7].
Nel 1938, la promulgazione delle leggi razziali da parte del regime fascista costringe il poeta a cercare rifugio a Parigi e, in seguito, a vivere nascosto a Firenze con l’aiuto di Eugenio Montale.
“Il Canzoniere è il libro di poesia più facile e più difficile del Novecento […] è la storia di una vita povera di avvenimenti esterni, ricca, a volte fino allo spasimo, di moti e di risonanze interne […]”. E ancora: “[…] E il libro, nato dalla vita, dal ‘romanzo’ della vita era esso stesso, approssimativamente, un piccolo romanzo. Bastava lasciare alle poesie il loro ordine cronologico; non disturbare, con importune trasposizioni, lo spontaneo fluire e trasfigurarsi in poesia della vita […]”. Saba stesso descrive così la propria opera in Storia e cronistoria del Canzoniere[9], inizialmente firmata con uno pseudonimo. Saba, scrivendo di sé in terza persona, offre in quest’opera un quadro completo della propria vita e si fa interprete della propria opera, sia sotto il profilo stilistico, sia sotto quello psicologico.
I TENDENZA/PERSONAGGIO:
“Io non so più dolce cosa
dell’amore in giovanezza,
di due amanti in lieta ebbrezza
Io non so più gran dolore
ch’esser privo di quel bene…”
II TENDENZA/PERSONAGGIO:
“Io non so più dolce cosa
dell’amore; ma più scaltro,
ma di te più ardente, è un altro
che a soffrir nato mi sento.
Non la gioia, ma il tormento
dell’amore è il mio diletto;
me lo tengo chiuso in petto,
la sua immagine in me vario”.
III TENDENZA/PERSONAGGIO:
“Io non so più dolce cosa
di pensarmi. Il puro amore
a cui ardo, dal mio cuore
nasce, e tutto a lui ritorna”[13].
Saba «canta» gli aspetti più minuti della vita quotidiana, usandoli, però, per compiere una profonda e, spesso, impietosa, autoanalisi. E lo fa utilizzando parole semplici e di evidente oggettività. Nel saggio “Quello che resta da fare ai poeti”[14], scritto nel 1912, è molto severo nei confronti di quegli autori della propria generazione, attenti prevalentemente alla perfezione formale del testo. A quei poeti, simili a “figliuoli i cui genitori furono malamente prodighi di averi e di salute”, Saba rivolge l’invito ad “una vita di riparazione e di penitenza”, a un “ritorno alle origini” e all’impegno in “un’opera forse più di selezione e di rifacimento che di novissima creazione. Tale doveva essere una “poesia onesta”:
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica difficile del mondo”[15].
Per Saba, dunque, il “nuovo è occultato in seno all’antico, l’inaudito è il tesoro sepolto nel trito”[16]. Saba riconobbe queste caratteristiche “nel sermo melodrammaticus” […] nel quale, e nel quale soltanto, rimano «fiore» e «amore»[17].
(fine prima parte…)
NOTE
[1] Edoardo Sanguineti, “Saba e il melodramma”, in E. Sanguineti, La missione del critico, Genova, Marietti, 1987, p. 154.
[2] Umberto Saba, Autobiografia, “2” in Il canzoniere, Torino, Einaudi, p. 244.
[3] U. Saba, “Tre poesie alla mia balia, 3”, da Il piccolo Berto, in Il canzoniere, 1961, op. cit., p. 389.
[4] U. Saba, Il piccolo Berto, in Il canzoniere, op. cit., pp. 385-406.
[5] U. Saba, Autobiografia, “3” in Il canzoniere, op. cit., p. 245.
[6] U. Saba, Autobiografia, “10” in Il canzoniere, op. cit., p. 252.
[7] U. Saba, Autobiografia, “15” in Il canzoniere, op. cit., p. 257.
[8] Carlo Muscetta, “Introduzione”, in U. Saba., Antologia del «Canzoniere», Torino, Einaudi, 1963, p. xi.
[9] U, Saba, “Storia e cronistoria del Canzoniere”, in U. Saba, Prose, Milano, Mondadori, 1964, pp. 399-657.
[10] Giacomo Debenedetti, Poesia italiana del Novecento. Quaderni inediti, Milano, Garzanti, 1974, p. 130.
[11] Ibidem, pp. 130-131.
[12] G. Debenedetti, op. cit.
[13] U. Saba, “Sesta fuga”, da Preludio e fughe, in Il canzoniere, op. cit., pp. 360-361.
[14] U. Saba, “Quello che resta da fare ai poeti”, in U. Saba, Prose, op. cit., pp. 751-759.
[15] U. Saba, “Amai”, da Mediterranee, in Il canzoniere, op. cit., p 516.
[16] E. Sanguineti, op. cit., p. 151.
[17] Idem.
PER APPROFONDIRE
BIBLIOGRAFIA
BARONI, Mario et al., Storia della musica, Torino, Einaudi, 2002.
GARLATO, Rita, Repertorio metrico verdiano, Venezia, Marsilio, 1998.
GIRARDI, Maria (a cura di), Lungo il Novecento. La musica a Trieste e le interconnessioni tra le arti, Venezia, Marsilio, 2003.
LAVAGETTO, Mario, La gallina di Saba, Torino, Einaudi, 1974.
LEVI, Carlo (a cura di), Milano, Mondadori, 1976.
MELLACE, Raffaele, Con moltissima passione. Ritratto di Giuseppe Verdi, Roma, Carocci, 2013.
MINIUSSI, Sergio e PORTINARI, Folco (a cura di), L’Adolescenza del «Canzoniere» e undici lettere, Torino, Fògola, 1975.
PASOLINI, Pier Paolo, “Saba: per i suoi settant’anni”, in Passione e ideologia, Milano, Garzanti, 1960.
PORTINARI, Folco, Le parabole del reale, Torino, Einaudi, 1976.
SABA, Umberto, Lettere sulla psicoanalisi, Milano, SE, 1991.
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