La sorprendente sonorità della fisarmonica

Intervista a Simona Simonini

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Simona SimoniniOltre, naturalmente, ai numerosi titoli di studio (non solamente musicali) conseguiti e agli altrettanto numerosi e prestigiosi corsi di perfezionamento frequentati, Simona Simonini ha diviso la propria vita professionale e artistica tra l’insegnamento della filosofia e della storia, la carriera come Preside, l’attività di compositrice (anche di testi per cantanti e per voci recitanti) e di pittrice, quella di giurata e di presidente di giuria in diversi concorsi, quella di direttrice artistica, la pubblicazione di saggi di musicologia e di filosofia della musica.

E, allora, evocando il titolo di una commedia americana di qualche anno fa, le chiedo: Ma come fa a far tutto?

Tutta la mia attività è legata a una profonda curiosità artistica e intellettuale che ho sempre avuto e che mi spinge ad avventurarmi spesso in ambiti culturali nuovi da scoprire, sia dal punto di vista delle possibilità del pensiero umano che da quello delle tecniche strumentali del suono e delle arti visive. Ogni attività mi consente di sperimentare soluzioni e percorsi nuovi, mi motiva nel cercare figure musicali, artistiche e di pensiero che superino qualsiasi forma di omologazione. Tutto quello che faccio è teso a cercare una mia identità, a crearmi una memoria empatica anche con il pensiero del mio tempo, senza perdere la mia indipendenza intellettuale nei confronti delle mode. Tutto sommato, nel panorama molto diversificato della mia attività si evidenziano pluralità di tendenze sia nelle tecniche utilizzate per creare che negli stili e nei ruoli assunti nel sociale. Quando c’è profonda motivazione e interesse, il tempo si dilata e lo spazio entro il quale ci si impegna appare sempre senza confine.

Insieme, immagino, a quello di compositrice, tra tutti questi poliedrici interessi e «mestieri» ce n’è un altro in cui si identifica maggiormente?

Sì, è l’attività svolta attraverso il pensiero filosofico. La filosofia nasce con l’intento di indagare i fondamenti della realtà per definirne le strutture permanenti e il metodo è il ragionamento, la spiegazione critica e razionale. Come ha detto anche Aristotele, il filosofo è colui che è mosso dallo stupore e dalla meraviglia di fronte al mondo, senza cercare un’utilità pratica per la propria attività. La filosofia, questo amore per il sapere, educa alla libertà perché mette in discussione tutte le certezze precostituite e conduce gli uomini verso il desiderio di trovare ciò che è bene per loro stessi. Nella mia attività filosofica, oltre all’insegnamento nel liceo scientifico e classico della mia città di Reggio Emilia, ho prodotto diversi saggi e ora sto lavorando a un libro su Ernst Bloch. Il libro conterrà anche un capitolo su Ernst Bloch e la musica. La filosofia, dunque, incontra anche la musica perché, come ha giustamente sottolineato Salvatore Sciarrino, la musica deve anche essere “un’emozionante presa di coscienza della realtà e di sé”, non una banale sequenza imitativa del già detto. Un filosofo, come un vero artista, è sempre impegnato nella ricerca e la sua attività deve svolgersi al di sopra di ogni pregiudizio verso una finalità che a volte appare utopica, ma che è essenziale nello sviluppare una dimensione esistenziale ricca e produttiva. Questa convinzione mi ha indotto a non avvertire mai un contrasto tra la mia attività artistica e il mio pensiero razionale. Un riconoscimento importante per la mia attività filosofica mi è stato conferito come menzione particolare dall’Accademia nazionale dei Lincei nel 1987. Fondamentale, poi, per la mia formazione filosofica è stata anche la prima laurea conseguita presso l’Università di Bologna e la seconda laurea presso il Dams nella collaborazione, per la filosofia della musica, con il professore Luigi Rognoni.

Vista la sua preparazione in campo filosofico, oltreché musicologico, come definirebbe la sua poetica di autrice?

Non è semplice definire la mia poetica in poche parole perché essa s’identifica con un’attività che riguarda uno studio continuo e aperto alla sperimentazione con vari generi musicali. Complessivamente posso dire che sono attratta dagli elementi fantastici, onirici e metafisici che creano immagini figurative insolite e che producono coloriti di notevole forza drammatica e a volte allucinatoria, come nei miei dipinti che si ispirano spesso alle mie opere musicali. I suoni tendono a fare emergere un mondo interiore attraverso un notevole intervento gestuale richiesto agli interpreti. Tutto questo riguarda anche la forma che spesso si frantuma in modo molto deciso per seguire passaggi incalzanti e rapidi, creando tensione fra gesti acustici che si trasformano in uno spazio dove il centro è assente. I suoni accompagnano forme che, nel loro mistero profondo, scrutano l’essenzialità dell’essere umano con relazioni instabili fra il testo e la musica, soprattutto nelle opere di più vasto respiro o nei pezzi con voce e strumento. Sintetizzando, il mio percorso compositivo s’identifica spesso con un operare a strati su materiali anche eterogenei che io stessa creo, come elementi preparatori diversificati, spesso in modo virtuosistico e con innovazioni tecnico-esecutive che richiedono agli interpreti una preparazione di alto livello.

Qual è la sua fonte principale di ispirazione? Ho colto, per esempio, molti riferimenti a testi letterari…

Ho composto diversi lavori per teatro musicale utilizzando miei testi poetici e miei libretti oltre che installazioni video. La poesia e il teatro sono per me spesso fonti d’ispirazione. Con la poesia, infatti, ho un rapporto privilegiato in quanto io stessa scrivo poesie. M’interessa anche questa forma espressiva perché la poesia è un linguaggio fortemente simbolico ed evocativo, in grado di collaborare con le altre forme artistiche in molti modi essendo la sua articolazione interna fortemente allusiva capace di mettere in relazione fra loro diverse sfere dell’immaginario. Così pure il teatro musicale, dove la parola recitata diventa anche azione di memoria (come per esempio nel monologo-melologo di Niobide ferita), è per me una forma d’arte importante. Nel mio teatro musicale il “racconto” viene spesso spezzato e rimontato con una continua interferenza fra testo e musica che forza la narrazione dove un centro è assente. Il procedimento teatrale non è mai lineare perché il testo ha una propria vita e un proprio linguaggio che suggerisce al compositore sonorità diverse e profonde suggestioni spingendolo, a volte, a scelte anche aleatorie del materiale da utilizzare. L’azione scenografica si svolge spesso in un rapporto complesso con la musica e il testo utilizzando strumenti digitali che facilitano la polivalenza funzionale delle altre forme artistiche, sia con il colore che con le proiezioni figurative che intensificano il dato percettivo e sonoro e sollecitano lo spettatore a mediazioni interpretative anche molto complesse[*]. In un’opera multimediale come Blu Ipazia, il suono legato alla parola (essendo il testo in parte scritto in greco antico e in parte in italiano e in forma lirica) diventa immagine virtuale con percorsi emotivi e spirituali trascendenti l’esperienza sensibile e percettiva immediata. Questo accade anche in altre mie opere per teatro musicale e balletto, come nella recente mia composizione per teatro musicale Niobide ferita, dedicata agli ultimi anni della scultrice Camille Claudel. In una sorta di melologo la voce della protagonista s’introduce in un percorso compositivo di diverse dimensioni che riguardano il coro e l’ensemble, con azioni scenografiche multiple rafforzanti la comunicazione. La voce della protagonista è coinvolta in diverse sfere dell’immaginario poetico attraverso sonorità anche incerte e, a volte, con “gestualità vocali” richiedenti ai suoni di svelare il senso di mistero che è racchiuso nella parola. Analogamente allo svolgersi di questi molteplici piani narrativi procede la musica che fa proprie le esperienze del presente e del passato, anche popolari, come nei balletti inseriti fra i vai quadri. Altre opere sono legate anche ad altre forme artistiche non esclusivamente letterarie, come, ad esempio, la composizione per installazioni con le sculture di Giovanna Barozzi dal titolo Come distesa perforando il tempo su mio libretto. Tutta l’opera trova le proprie radici estetiche e filosofiche nella concezione del tempo e della relativa scrittura di Deleuze e Merleau-Ponty: è un tempo che si svolge tra passato e futuro in un continuo scambio che annulla il presente evocando anche linguisticamente contaminazioni vocali e visive intorno alle sculture presenti nell’installazione. Il tempo introdotto sfugge al divenire cronologico, raggiunge la dimensione del mito e apre le porte alla costruzione di una nuova dimensione creativa che pone l’accento sul divenire e mutare di un’immagine-tempo. I legami fra le immagini delle sculture di Gio BA (questo è il suo acronimo) si prestano a questa operazione e, da lineari, diventano circolari, formano circuiti che si dilatano con l’inclusione di strati sempre più profondi di realtà virtuale e immaginativa anche dell’evento acustico.

Quali compositori, remoti o del Novecento, ci sono nel suo “DNA”?

Tutti e nessuno. La situazione complessiva del Novecento è piuttosto lontana ormai dalla nostra epoca. Il cambiamento ha investito ogni ambito artistico, filosofico, politico e della cultura in generale. Internet ha rivoluzionato il mondo della musica e oggi le fusioni e le contaminazioni fra generi diversi sono frequenti, come pure la diffusione delle proprie produzioni da parte del compositore stesso. Comunque, se devo rispondere a questa domanda che si riferisce, almeno per me, al passato, posso dire che i primi compositori ai quali ho prestato attenzione sono stati: Goffredo Petrassi soprattutto per la musica sacra e la musica vocale e corale e la sua concezione della forma; Bruno Maderna per le sue atmosfere liriche e l’attenzione alla dimensione melodica; Luciano Berio per i modi di trattare la voce e per le realizzazioni teatrali e orchestrali. Si tratta comunque di riferimenti ormai lontani Fra i compositori non italiani, interessanti ancora oggi, mi coinvolge particolarmente George Crumb.

Nel suo percorso di formazione ha incontrato tanti docenti autorevoli. Tra loro quale definirebbe un vero e proprio “Maestro” e perché?

Con i maestri ho cercato di mantenere più un rapporto personale e di amicizia che professionale in quanto fa parte del mio carattere il volere assicurarmi una certa libertà creativa. Ho avuto, è vero, il privilegio di discutere e confrontarmi con loro su temi non solo musicali, ma anche politici, filosofici, e culturali in genere, ma non ho mai sentito l’esigenza intima di voler essere come loro e questo non tanto per presunzione. In realtà ho voluto sempre garantirmi una certa autonomia di linguaggio in quell’attenzione e quel piacere dell’espressione e dell’apertura al diverso e al nuovo che appartiene alla profondità del mio animo Ho pertanto coltivato un certo rifiuto dell’accademismo che cercava spesso di legare il fare musica a certe tecniche degli anni Cinquanta/Sessanta giustificate da una pseudo ricerca di “sperimentalismo”, come pure non ho avuto troppa simpatia per la dodecafonia, il serialismo, il neoromanticismo, ecc… che mi apparivano piuttosto come formule di rigidità mentale. Il rapporto con i maestri è stato quindi soprattutto limitato alla conoscenza delle tecniche compositive che potevo applicare al mio stile e quindi non saprei rispondere con autenticità a questa domanda.

Nel 1972, frequentò come uditrice i corsi di direzione d’orchestra di Sergiu Celibidache al Teatro Comunaledi Bologna. Conosciamo tutti la sua grandezza di direttore e alcune delle sue peculiarità caratteriali. Ma com’era il Celibidache docente?

Sergiu Celibidache è stato un docente eccellente e anche molto severo. Ricordo che esigeva sempre una preparazione tecnica impeccabile prima di accompagnare l’attività direttoriale e cercava con autorevolezza l’esattezza e la perfezione del gesto. Anche dagli uditori al master esigeva la pratica tecnica, con esercizi da lui stesso seguiti. Voleva la perfezione nelle esecuzioni ed era un docente molto dinamico e culturalmente preparato. Lasciando da parte il carattere e andando alla sostanza del suo insegnamento, non si ritornava mai a casa senza avere veramente approfondito la conoscenza delle partiture da dirigere e la tecnica con la quale dirigerle. Era un uomo affascinante nei suggerimenti che dava e non si poteva non ammirarlo. Ritengo sia stata una fortuna per me l’averlo incontrato e avergli potuto parlare anche di problematiche filosofiche di vasto respiro in quanto la sua cultura spaziava in infiniti riferimenti e non poneva limiti alla sua creatività.

Scorrendo il suo catalogo, ho notato una grande varietà di organici (dal solo all’orchestra) e di strumenti per i quali ha composto. Iniziamo dagli organici: ce ne sono di meno consueti, come, per esempio, sax tenore e violoncello per il brano Lovely Brahms for two o chitarra e violoncello per Fiabesco crepuscolare. Al di là di eventuali, specifiche committenze, che cosa le è piaciuto esplorare di questi organici, quali sonorità?

Lovely Brahms mi fu commissionato, con l’organico indicato, dalla Fondazione Adkins Chiti per un ensemble che operava in Brasile e fa parte di un lavoro dal titolo Parfum’s Expo su mio libretto: è dedicato a mia madre che, con i suoi profumi, mi ha accompagnato per tutta la vita. Esso comprende circa venticinque pezzi per quartetto di sax e percussioni. Tutta l’opera percorre la storia delle Maisons produttrici di profumi dal secolo XIX all’inizio del 2000. Il profumo corrispondente per questa mia breve composizione è appunto Lovely di Sarah Jessica Parker. Si tratta , quindi, di una sorta di trascrizione ridotta di un lavoro precedente. Il tema della composizione è una variazione del lied di Brahms Sonntag op. 47 n.3 con ritmiche e percorsi armonici di tipo jazzistico. Per questo ho voluto accostare uno strumento come il sax tenore (che generalmente è utilizzato in formazioni jazzistiche) con uno strumento classico come il violoncello. Anche per Fiabesco Crepuscolare l’organico era chiesto dalla direzione del Festival Osmose in Belgio. In questa breve composizione ci sono ritmi più complessi con un’articolazione interna dove i suoni si liberano per mostrare sonorità più profonde, attraverso timbricità diverse (chitarra e violoncello) e insolite. La chitarra utilizza suoni dissonanti con andamenti molto ritmici e frammentati, mentre il violoncello accenna incisi melodici presto interrotti creando una partitura dove l’uso classico degli strumenti viene quasi invertito. Come Joyce farebbe con l’energia liberata dalle parole, in quest’ultima composizione ho voluto far sì che la musica potesse schiudere abissi di significati per raggiungere una dimensione fiabesca.

E dei singoli strumenti? Mi sembra che non ne manchi alcuno nel suo curriculum, compresa la celesta. Anche in questi casi, oltre ai più noti e consueti come il pianoforte, gli archi, il flauto o il clarinetto ce ne sono di meno comuni per il repertorio da solo, come il contrabbasso (Il sorriso della chimera) e la tuba in sib (Melodia in De-Costruzione). Quali potenziali espressivi l’hanno colpita di questi strumenti in solo?

Ho sempre subito il fascino di strumenti che mi permettessero di alternare momenti lirici a cupe sonorità creando dei chiaroscuri dal volto notturno. La metafora dell’ oscurità sollecita l’attività del pensiero oltre la fisicità del suono. In queste sfumature del suono ci sono ambiguità timbriche e sonore che sia il contrabbasso che la tuba consentono procedendo con un alto grado d’instabilità (soprattutto in Melodia in De-costruzione) e con improvvisi straripamenti ritmici e armonici su uno sfondo di ombre. Gabriele Ragghianti portò Il sorriso della chimera, (ispirata alla lettura della Chimera, dai Canti Orfici di Dino Campana, nell’interpretazione di Carmelo Bene), alla Convention americana dei contrabbassisti tenuta all’Indiana University, Bloomington, il 4 giugno 2019. Un’altra mia composizione per contrabbasso e violoncello, Arabescati d’ombra in contrabbasso, è stata eseguita a dicembre del 2023 da Giorgio Magistroni, contrabbassista dell’orchestra del Teatro alla Scala di Milano. Anche in questa composizione gli elementi musicali legati alla ritmica e al timbro diventano costellazioni di figure che s’intrecciano in modo drammaturgico sul tema della luce e dell’ombra. Violoncello e contrabbasso si alternano e si fondano in questo gioco sonoro portato al limite delle loro possibilità. Il gioco timbrico e figurativo si sviluppa in arabeschi sospesi che tendono al sublime evocando un mondo di sogno in uno spazio indefinito.

Almeno a giudicare dal numero dei brani che ha composto per questo strumento, da solo e in ensemble, dedurrei che abbia un debole per il flauto, in tutte le sue declinazioni: dal flauto basso all’ottavino, passando per quello contralto in sol e quello in do…

Il flauto è uno strumento fantastico che, fin dall’antichità, produce all’ascolto una sorta di rinascita interiore in armonia con l’universo. È uno strumento il cui suono sfugge alla coscienza abituale per riportarci verso un’invisibile interiorità attraverso una sorta di “autoincontro”, come direbbe il filosofo Ernst Bloch, alla ricerca di “musiche utopiche”. Oggi con questo strumento tutto è possibile per esplorare i limiti delle sonorità: si espande sempre più il suo spettro espressivo e i segni esecutivi dell’agogica si moltiplicano a dismisura dando al compositore possibilità anche per nuove combinazioni strumentali.

C’è un vivace interesse, da parte sua, nei confronti del femminile: dalla partecipazione (e qualificazione) al “Concorso Femfestival” alla codirezione del Festival “Female Artists in The World”, passando per la partecipazione alla Mostra Internazionale “Pianeta Donna” e all’evento “Femmes du monde” di Bruxelles. C’è ancora bisogno di fare chiarezza sull’importanza della presenza femminile nel mondo e nella storia della musica?

La causa delle donne compositrici va perseguita con costanza e determinazione anche oggi, pur essendo ormai lontano il tempo nel quale si sosteneva che le donne non hanno una mente per poter fare le compositrici. Le cose stanno sicuramente cambiando e molte donne oggi sentono di poter scegliere una strada personale nella loro attività musicale, dalla scrittura alla produzione sia in campo nazionale che internazionale. Tuttavia in Italia occorre dare più spazio nelle programmazioni importanti dei teatri e non relegare le musiche delle compositrici in qualche concerto marginale improvvisato da piccole associazioni, come spesso si fa per mettersi a posto con la coscienza. A guardare i cartelloni di festival e rassegne, i posti importanti e quelli direttoriali sono ancora destinati all’uomo e non solo nei settori musicali e artistici. Occorre in ogni caso mantenere un atteggiamento di collaborazione con le istituzioni perché è fondamentale il dialogo costruttivo se si vuole cambiare la situazione. Un obiettivo potrebbe essere quello di favorire una politica a favore della ricerca di repertorio, insistendo con gli esecutori sulla necessità di lavorare su nuove partiture scritte dalle donne non escludendo però l’alta qualità di scrittura delle composizioni scelte. L’attività di compositrice è certamente più agevolata all’estero dove è più facile trovare i nomi di compositrici all’interno dei cartelloni di teatri anche importanti. In Italia le compositrici sono spesso ignorate nelle rassegne dei teatri più prestigiosi e, quando sono eseguite, si tratta sempre di una sola esecuzione sporadica senza seguito. È una situazione vergognosa perché dimostra come in Italia tutta l’organizzazione musicale sia ancora legata a pregiudizi, nonostante le belle parole e i buoni propositi. Per la diffusione della conoscenza delle compositrici avevo fondato pure un’associazione “Sipario donne compositrici” con la quale avevo lavorato anche con la brava organista Claudia Termini, ora purtroppo scomparsa.

Sempre a proposito di donne, lei ha scritto due brani dedicati ad altrettante, straordinarie letterate del Novecento: Tintinnano le ombre (A Ingeborg Bachmann) per voce di soprano e pianoforte e Dal profondo a te grido (fra le mura di Gerico antica), omaggio ad Alda Merini per orchestra: vorrei sapere che cosa l’affascina di queste due donne e il perché di organici così diversi per l’una e per l’altra. C’è un nesso tra la scelta degli strumenti e la scrittura – o la poetica – di Merini e Bachmann?

Tintinnano le ombre è ispirata al romanzo Malina di Ingeborg Bachmann, scrittrice importante della letteratura tedesca, ed è dedicata a tutte le donne che hanno subito violenza nel corpo e nella psiche. C’era dunque l’esigenza di fare emergere questo grido di denuncia di una deflagrazione totale attraverso una vocalità che si evidenziasse in una continua estraneazione da se stessa, attraverso un linguaggio in profonda tensione con l’indicibile, l’ombra e la tenebra. Pertanto ho forzato il segno musicale, con continue interruzioni del percorso compositivo oltre il limite naturale, verso confini visionari che denunciano questa disintegrazione provocata dalla violenza. Anche la battuta ha perso la propria spazialità per dissolversi in un percorso temporale affidato spesso alla libertà degli interpreti. “Qui non c’é più nessuno” è la chiusa di Malina. L’utilizzazione di varie tecniche nelle parti vocali mi è servita per questo percorso in dialogo con il pianoforte che si frantuma senza ricomporsi e si dissolve nell’interruzione finale della parola “sfinita”. Si tratta dunque di un lavoro molto complesso anche dal punto di vista compositivo che ho cercato di semplificare il più possibile con un organico ridotto, utilizzando solo un pianoforte e la voce di soprano e ricollegandomi, quanto ai mezzi sonori, alla tradizione dell’accompagnamento pianistico della voce, anche se della tradizione non resta più nulla. Dal profondo a te grido (tra le mura di Gerico antica), omaggio ad Alda Merini, è invece una composizione per orchestra. Questa composizione s’ispira alla poesia di Alda Merini dalla raccolta La terra santa, scritta in occasione dell’internamento in manicomio che qui viene assimilato in modo metaforico alla “Terra Santa” di fonte biblica. L’ospedale psichiatrico diventa metafora del viaggio, compiuto dagli Ebrei, per raggiungere la Terra Promessa, ma questo viaggio avviene in senso inverso e il Paradiso del mondo esterno diventa il vero Inferno dal quale la poetessa guarda stupita Le mura di Gerico antica. Nella partitura si utilizzano procedimenti compositivi liberi, costruiti su immagini che condensano significati profondi dei versi scelti, collocati all’inizio di pannelli musicali quasi come libere associazioni di percorsi spirituali indicati dai versi della poetessa. Quanto scritto in partitura, inoltre, può essere vocalizzato dallo stesso direttore d’orchestra quasi che il direttore possa proporsi, anche se non necessariamente, come l’animatore di questa forma di messa in scena. Ho utilizzato l’organico per orchestra perché volevo fare emergere l’esigenza di una riorganizzazione della forma musicale in grado di fornire allo stesso tempo una sorta di incontrollata espressione emotiva di notevole intensità con la necessità di una forma “aperta” per pannelli sonori dal forte temperamento drammatico. La molteplicità degli strumenti di un’orchestra mi consentiva di raggiungere più facilmente questi obiettivi.

E veniamo a un’altra “Signora”, la fisarmonica. Il suo primo incontro da compositrice con il nostro strumento risale al 2002-2003, quando scrisse Danze di una vagabonda (Azione scenica-musicale per il romanzo ‘La treccia del latte’ di Teresa Amendolagine) per 5 sassofoni, corno in fa , tromba in do, trombone, percussioni, fisarmonica, violoncello, contrabbasso, voce recitante femminile e un attore. Qualcuno la fece avvicinare allo strumento? E perché scelse di inserirlo in questo organico piuttosto “nutrito”?

Il personaggio femminile delle danze è una vagabonda che ha scelto di vivere da barbona e io avevo pensato di farle suonare un organetto. Si tratta di melodie semplici e popolari che richiamano l’uso degli organetti o i balli sulle piazze e nelle aie, ma sono inserite in partitura anche altre danze, in musiche blues e forme jazzistiche varie, una danza habanera e un madrigale con accompagnamento di ritmi dell’America latina. Come Gelsomina, nel film La strada [di Federico Fellini, n.d.r.], doveva imparare a suonare la tromba, qui la vagabonda Virginia si cimentava con l’organetto I motivi di questa scelta strumentale dell’organetto sono stati, quindi, di tipo drammaturgico come pure la scelta di molteplici strumenti in quanto l’azione aveva bisogno di raccogliere sensazioni e impressioni molto diverse in uno spazio che dialogava anche con immagini video. Questa composizione, però, non è più in circolazione in quanto era legata alla pubblicazione di un romanzo scritto da altra persona e c’erano diritti d’autore da considerare.

Prima di allora che cosa aveva ascoltato per fisarmonica da concerto?

Del repertorio della musica colta contemporanea conoscevo non molto; avevo ascoltato, invece, molte composizioni di Astor Piazzolla e varie trascrizioni di musica popolare, ma poi, e non ricordo esattamente in quali anni, avevo approfondito il repertorio con l’ascolto della Sequenza XIII (Chanson) per fisarmonica di Luciano Berio, il De profundis di Sofia Gubajdulina , Capricho di Luis de Pablo (che avevo conosciuto personalmente all’Accademia Chigiana di Siena), alcune composizioni del compositore finlandese Jukka Tiensuu e tutte le possibilità della fisarmonica, sia quelle polifoniche, sia quelle ritmiche e timbriche, hanno cominciato a sedurmi profondamente.

Diversi anni dopo, nel 2016, 2017 e 2018, la ritroviamo come organizzatrice del Concorso internazionale di musica contemporanea per fisarmonica “Bruno Serri”. Evidentemente, gli effetti seduttivi della precedente esperienza con lo strumento non erano cessati…

Il concorso Bruno Serri, svoltosi a Serramazzoni in provincia di Modena, appartiene sia come idea complessiva che come organizzazione alla persona di Sabrina Gasparini. Io ho solo curato una call di fisarmonica per compositori ed ero presidente di giuria. In quell’occasione ho conosciuto il Maestro Ivano Battiston e, sentendolo suonare in concerto, ho apprezzato ancora di più quali possibilità timbriche, legate all’uso dei registri, fossero disponibili su questo strumento, quasi come sull’organo con tutte le relative capacità espressive. Era interessante anche la notevole potenza del suono con le sfumature che possono spaziare dal pianissimo al molto forte con incredibili agilità tecniche. Riflettendo soprattutto sul modo di suonare e interpretare del Maestro Ivano Battiston, ho così meglio compreso quanto la fisarmonica potesse essere uno strumento ancora oggi da scoprire in tutte le sue potenzialità.

Ancora nel 2017, Suggestioni romantiche per fisarmonica da concerto e pianoforte e, l’anno successivo, Improvviso capriccioso per fisarmonica da concerto. Nel 2020, è nella giuria del prestigiosissimo PIF di Castelfidardo e nel 2022 (ma di più recente pubblicazione presso le nostre edizioni Ars Spoletium), partecipa con Traguardo di luce al progetto 30X30 di Ivano Battiston per i trent’anni dell’istituzione della cattedra di fisarmonica presso il Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze. Come si è evoluto il suo rapporto con la fisarmonica lungo questi vent’anni? Noto, prima di tutto, il graduale passaggio da un grande ensemble al duo con pianoforte e alla fisarmonica sola…

In realtà non mi sono ancora impegnata in un concerto con grande ensemble e fisarmonica da concerto per la musica contemporanea che sintetizzi la mia evoluzione compositiva in merito a questo strumento. Della Danza di una vagabonda ho già parlato e precisato in che senso ho usato un organetto. L’uso della fisarmonica da concerto nelle composizioni indicate è molto diverso: in Suggestioni romantiche, eseguita al Festival Più Piano “Oltre il confine” nel 2017, uso ancora la fisarmonica per evidenziare linee melodiche, mentre nelle due composizioni per fisarmonica sola , Improvviso Capriccioso e Traguardo di luce, dedicate al Maestro Ivano Battiston, ho cercato di esplorare nuove possibilità ritmiche, timbriche e armoniche della fisarmonica sfruttando anche le competenze esecutive del Maestro. La mia evoluzione riguarda pertanto un avvicinamento sempre più evidente ai linguaggi della musica contemporanea e alle sue tecniche per le quali occorre una grande padronanza da parte dell’interprete.

Quali prerogative della fisarmonica l’hanno colpita di più? La varietà timbrica, il potenziale espressivo del mantice…

La fisarmonica è uno strumento moderno che può trasmettere sensazioni ed emozioni incredibili, la sua sonorità è sorprendente. Quando ho ascoltato le opere di nuovi compositori contemporanei ho notato quanto di più lo strumento possa fare. Gli armonici della fisarmonica mi hanno entusiasmato e certe forti sequenze di battimenti mi hanno dato l’impressione di atmosfere dove gli intervalli possono produrre quasi una musica microtonale. Mi piacerebbe, per il futuro, scrivere un pezzo per fisarmonica e un altro strumento, eventualmente scelto fra gli archi, per cercare di ottenere dimensioni sonore dove il suono dell’uno si mescola con il suono dell’altro, in una continua fusione quasi inverosimile. Vedremo. Il mio desiderio è che sempre più i fisarmonicisti si sforzino di essere musicisti interessati alla musica contemporanea e dalla mentalità aperta, oltre che di essere degli esecutori preparati dal punto di vista tecnico-esecutivo.

Il rapporto tra compositore ed esecutore ha sempre rivestito una certa importanza. Crede che nel caso della fisarmonica questo sia particolarmente vero?

Il contatto tra fisarmonicisti e compositori è estremamente importante per una maggiore conoscenza dello strumento e di conseguenza per la creazione di un nuovo repertorio per fisarmonica che non sia più solo trascrizione da altri strumenti. Preferisco l’ascolto del repertorio originale perché ritengo che questo contribuisca a dare una maggiore credibilità alla fisarmonica come strumento importante anche per la musica contemporanea e riesca a coinvolgere ancora di più i compositori . Come compositrice mi piace introdurre innovazioni nelle mie opere ed essendo la fisarmonica uno strumento che mi affascina per le sue caratteristiche e gli effetti sonori straordinari, cerco d’informarmi sempre più direttamente dagli esecutori su quali siano le possibilità e le novità dello strumento. Una volta scritto il pezzo è essenziale anche la presenza dell’interprete non solo per l’esecuzione, ma anche per un giudizio sul percorso compositivo stesso che si è utilizzato.

Ritiene che la fisarmonica sia uno strumento particolarmente adatto a esprimere la contemporaneità nella musica colta? E, se sì, perché?

Per troppo tempo la fisarmonica è rimasta relegata a una connotazione negativa, identificata con la musica popolare. Per valorizzare la fisarmonica classica occorrono esecutori intelligenti e professionalmente molto preparati in modo che l’immagine della fisarmonica da concerto sia credibile come quella di tutti gli altri strumenti e riesca a raggiungere un livello artistico elevato. Forse il problema è anche pedagogico, soprattutto in Italia, dove tanti insegnanti ignorano il repertorio contemporaneo per la fisarmonica e non sono disponibili ad arricchire la conoscenza verso orizzonti nuovi e anche più complessi. Oggi occorre fare ascoltare nuova musica, lavorare insieme con altri strumentisti e compositori e utilizzare tutte le occasioni per promuovere la fisarmonica presso il pubblico e nei teatri importanti.

Nuovi progetti per e con la fisarmonica, di cui mi ha accennato poco fa, sono imminenti?

Come dicevo, mi piacerebbe usare un’orchestra o un ensemble con la fisarmonica come strumento principale, ma occorre considerare anche le possibilità che venga poi eseguita la composizione. Per un compositore non è facile trovare un’orchestra che si lasci coinvolgere in un progetto di vasto respiro. Forse potrebbe essere più facile riuscire muovendosi in ambiti internazionali dove la curiosità culturale è orientata maggiormente verso la sperimentazione.

Ed extra mantice a che cosa sta lavorando, ora?

Da gennaio del 2024 a oggi ho terminato alcuni lavori che verranno eseguiti entro l’anno: Svanì Narciso per 3 flauti (fl. In do, fl. contralto e fl, basso) che sarà eseguito dal Trio Auris ( con Ana Černic,,Doris Kodelja,, Tamara Tretjak) a Nova Gorica, Sala del Monastero francescano Kostanjevica il 6 giugno 2024; Io valgo più del fiore di datura (omaggio alla poeta Patrizia Cavalli) per flauto in do e chitarra, commissionato dal DUO Massimino – Ramonda; Chiffon velato, per flauto in do, fagotto e arpa per il Trio Arioso (con Antonio Vivian al flauto, Francesco Fontolan al fagotto, Francesca Tirale all’arpa). Sto lavorando per terminare Vita ancora è il tuo dono, Signore, per clarinetto in sib, violino e violoncello con percussioni e voce recitante sul Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi e Mattino Visionario per oboe e voce di mezzo soprano, che invierò al Festival Osmose di Bruxelles. Nei prossimi mesi spero anche di procedere con la mia scrittura del libro sul filosofo Ernst Bloch e di divertirmi ancora con la realizzazione di qualche mio dipinto.

[*] Cfr Renzo Cresti, I linguaggi delle arti e della musica. L’estetica della bellezza, Viareggio, Edizioni IL MOLO, 2007, pp.223-227.