Quando Sofija Gubajdulina incontrò la fisarmonica (7^ parte)

Varcare la soglia del sacro

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Nel 1979, Sofija Gubajdulina compone In croce per violoncello e organo. Nel 1992, le parti affidate all’organo vengono trascritte per il bayan di Elsbeth Moser. Tra la prima e la seconda versione trascorrono tredici anni. Tredici anni, che, nella storia della Russia, equivalgono a un’intera era: se il 1979 è segnato dai prodromi dell’invasione sovietica dell’Afghanistan – che avverrà alla fine di quello stesso anno -, nel 1992, l’Unione Sovietica non esiste più, si è dissolta. Se nel 1979 il leader dell’URSS è Leonid Brežnev, intransigente oppositore di qualunque ipotesi di democratizzazione del Paese, nel 1992, al potere c’è Boris Eltsin, le cui parole d’ordine sono liberalizzare e privatizzare, seguendo le direttive neoliberiste del cosiddetto “Washington Consensus”. Nel mezzo, cronologicamente e per intenti, la perestrojka e la glasnost di Michail Gorbačëv. Negli anni che precedono quest’epoca, Terentiev, al vertice dell’Unione dei compositori, invita Sofija Gubajdulina a partecipare con In croce a un Festival moscovita dedicato alla musica contemporanea, purché cambi il titolo del brano. Lei rifiuta.

Mentre l’URSS si appresta a invadere l’Afghanistan e Gubajdulina compone In croce, la futura destinataria della trascrizione per fisarmonica di quel brano, Elsbeth Moser, riceve il premio Bernhard Sprengel della città di Hannover. Non è il primo riconoscimento internazionale che ottiene, né sarà l’ultimo. Concertista e didatta svizzera, Moser si aggiudica il 1° premio a Evian (1969) e ad Annemasse (1972), nonché la Croce Federale al Merito dal Presidente della Repubblica Federale di Germania, Roman Herzog, per i suoi servizi nell’affermazione della fisarmonica come strumento da concerto. I suoi studi (fisarmonica e pianoforte) erano iniziati al Conservatorio di Berna (sua città natale) e alla Musikhochschule di Trossingen, in Germania. Nel 1983, inizia la sua carriera di docente con una cattedra alla Hochschule für Musik und Theater di Hanover. Nel 1998, le viene assegnata una cattedra onoraria presso il Conservatorio di Musica di Tianjing, in Cina. Al Conservatorio di Musica di Shanghai e all’Università di Pola (Croazia) è visiting professor.

La notorietà internazionale di Elsbeth Moser è legata a doppio filo al nome di Sofja Gubajdulina. Invitata da Gidon Kremer al Kammermusikfest di Lockenhaus, in Austria, interpreta, infatti (prima esecuzione in Occidente), Sette parole. Al suo fianco ci sono il violoncellista lituano David Geringas e la Deutsche Kammerphilharmonie Bremen diretta da Mario Venzago. Successivamente, eseguirà il brano con lo stesso Vladimir Toncha. Alla sua registrazione su ECM (2017) di opere di Sofja Gubajdulina con Boris Pergamenschikow (violoncello), Christopher Poppen (violino) e la Münchener Kammerorchester è stato attribuito il premio “Star of the Month with Reference Value” dalla rivista Fonoforum. Per il suo quintetto That, Gubajdulina compone anche dei lavori su commissione e a lei dedica Silenzio (1991). Le due donne costruiscono, nel tempo, una solida amicizia. Sul sito di Elsbeth Moser, una delle prime frasi che è possibile leggere è proprio di Gubajdulina. La compositrice scrive di lei: “Il suo fine intuito apre una ricchezza di sfumature e una varietà di significati anche laddove questi rimangono nascosti agli altri”.

Silenzio è una composizione in cinque movimenti per bayan, violino e violoncello, eseguita in prima assoluta a Hanover nel 1991, con la violinista Kathrin Rabus e il violoncellista Christoph Marks. Moser la inciderà, poi, con l’ensemble Camerata Transsylvanica diretta da György Selmeczi con la stessa Rabus e con Maria Kliegel al violoncello (Naxos, 1995).

La maggior parte dell’opera, ha spiegato Gubajdulina, va suonata in pianissimo. Per lei il silenzio è la base da cui nasce qualcosa, come, per esempio, la scelta risoluta della via dell’interiorità. “L’esplorazione dell’interiore e dell’intimo attraverso la psicanalisi”, sostiene la compositrice, “è una dimostrazione flagrante di questa tendenza. Per poter penetrare nell’interiorità è però necessario dissolvere quella coltre di materia che ricopre le trame spirituali; ecco perché la musica del nostro tempo ha così spesso intrapreso processi di smaterializzazione, di smantellamento della forma, adottando spesso un atteggiamento di rinuncia che sfiora talvolta la soglia del silenzio”. Un silenzio, per l’appunto, così intensamente affine alla sua musica perché pervaso da intime sonorità.

Il tema del silenzio non appare qui per la prima volta. È del 1974 Rumore e silenzio per percussione, clavicembalo e celesta. Un titolo che evoca, secondo Enzo Restagno, una di quelle caratteristiche dello stile di Gubajdulina che l’avvicinano “decisamente a modi di pensiero occidentale […]. Una tendenza alla dicotomia, alle coppie in contrasto e alle antinomie che distinguono le sue opere […], un dualismo tipico della coscienza occidentale, mentre il pensiero orientale tende al monismo”. I titoli di molte altre opere di Gubajdulina sono eloquenti in proposito: Vivente-non vivente, Chiaro e scuro, Giardino di gioia e di tristezza, Pari e dispari, Pro et contra. E In croce: anche questa una “opposizione binaria” (così la definisce la stessa Gubajdulina), “che ricorre quasi in ogni sua opera ed è la sola chiave per accedere e capire il suo pensiero artistico” (Enzo Restagno). E di In Croce torneremo a occuparci nella prossima parte di questo lungo excursus su Sofja Gubajdulina e la fisarmonica.

 

https://www.youtube.com/watch?v=qkKEhh_5gOQ

https://www.youtube.com/watch?v=xZDvft3St40

https://www.youtube.com/watch?v=RJVz6HC33dw

https://www.youtube.com/watch?v=80LegdEZZb4