Il gioco del coraggio: il patriarcato nella musica tra predestinazione classista e potere cattolico

Intervista a Elena Sartori

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Elena Sartori“Il periodo della vita in cui le donne/devono lottare per la loro libertà…/non finisce mai”.

Clarissa Pinkola Estès

Da qualche giorno in rete si vedono le foto di una giovanissima donna iraniana che si aggira in mutande e reggiseno per le strade di Teheran. Lei va così, a volto scoperto, passeggiando dentro uno dei regimi oppressivi più cruenti nel mondo. Non sappiamo cosa ne sarà di lei. Non sappiamo se sia già avvenuta la punizione che tutti ci aspettiamo per via di quella giustizia mortuaria istituita nel Paese in cui vive, respira e si ribella. Ma questo è il gioco del coraggio. È il gioco delle donne quando arrivano al culmine della loro domanda di libertà: diventano immagine fulgida per tutti gli altri e vanno senza protezione davanti alla terribilità degli eventi. Più guardo quella foto e più sento che tante biografie di artiste oggi hanno quelle intime e potenti fattezze: la forma della nudità senza difesa, del femminile in rivolta che si mostra e danza e canta pubblicamente pagando tutto il prezzo che una vita oggi deve pagare per risplendere.

Raggiungo telefonicamente Elena Sartori. La sua voce è forte e limpida come sempre. L’avevo già sentita parlare al Teatro del Lido di Ostia in occasione della presentazione di Le Direttrici d’Orchestra [1] Avevo già ascoltato la sua triste disapprovazione e l’amareggiarsi disilluso circa gli eventi che hanno osteggiato la sua fulgida carriera, in uno stile di testimonianza di chi ha già denunciato più volte il sistema, di chi è stata sempre disposta a farlo ancora e ancora una volta. Ma si denuncia finché qualcosa nella parola non diventa un innesco per un ribaltamento, per rimettere in sesto le cose così come sono ma come in realtà non dovrebbero essere, per generare una possibilità d’esistenza autentica per chi verrà dopo di noi.

Elena Sartori è pianista, clavicembalista e Direttrice d’orchestra. La sua è la testimonianza accesa e lucida di un’artista che decide di portare in manifestazione la forma di repressione antidemocratica subita negli ultimi venti anni, lo svelamento di precise dinamiche di genere, di classe e di subalternità che animano i rapporti tra artisti e il potere. Si tratta dunque della camminata di una donna che ha lavorato ai massimi livelli della scala artistica musicale in Italia, in Europa e nel mondo, di un’artista d’eccellenza che oggi dichiara ad alta voce l’incessante perdita, se non proprio la rovinosa caduta, della vita intellettuale e musicale come professione nel nostro Paese.

Accetto di rilasciare questa intervista in un momento di sconfitta. Rilascio questa intervista in un momento di senso di disfatta per la soppressione del Festival della Basilica di San Vitale, un segmento di programmazione piccolo, forse difficile e tormentato da mille difficoltà, ma l’ultimo che mi era rimasto nella mia terra, l’ultimo che mi era rimasto in Italia, in Europa e nel Mondo. Soppresso dall’oggi al domani. A farlo è stata la Chiesa Cattolica: è stato l’arcivescovo di Ravenna Monsignor Ghizzoni che ha deciso che io non potessi più esercitare il mio lavoro di Direttrice artistica di un festival musicale laico; un Festival che io, donna laica, organizzavo da ventidue anni; un Festival finanziato da istituzioni laiche, ovvero dalla Regione Emilia Romagna, dal Comune di Ravenna, dalla Fondazione Capit e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna. Tutte istituzioni laiche. Un Festival in cui invitavo a suonare musicisti e musiciste su uno strumento a canne molto suggestivo pagato dall’amministrazione provinciale di Ravenna, ente laico dallo Stato. Questo Festival fu fondato sessantaquattro anni fa da un ente laico, dall’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo della Provincia di Ravenna, sponsorizzato dalla Regione Emilia Romagna e fondazioni bancarie (dunque anche privati) e cancellato con un colpo di spugna dalla Curia Arcivescovile di Ravenna. Questo apre un serie di riflessioni su tutti i livelli: a livello del diritto e della Costituzione della Repubblica italiana che sancisce che, nei rapporti Stato-Chiesa, la Chiesa Cattolica non abbia nessun diritto di determinazione sulla cultura dello Stato. Un tema enorme: la laicità della cultura è in pericolo e la vicenda che è accaduta a me lo dimostra chiaramente.

Pensi che, se tu fossi stata un uomo, la Curia avrebbe avuto un atteggiamento diverso verso il tuo lavoro di Direttrice del Festival?

Non ho strumenti per dimostrarlo però, all’interno della polemica che ha caratterizzato questa presa di posizione fortissima della Curia verso di me, verso il mio lavoro e verso il Festival che io da più di ventidue anni curo (proseguendo una tradizione portata avanti per sei decenni), ci sono stati passaggi comunicativi gravissimi: la Curia arcivescovile mi ha scritto un messaggio in cui si diceva che “i miei modi bolscevichi” non sarebbero più stati tollerati e che ne avrebbero tenuto conto per il futuro. Una curia si è espressa così, addirittura per iscritto, con questi toni nei miei confronti. C’è da chiedersi: ma cosa sta dunque succedendo? Che senso ha essere un artista nella situazione in cui si gioca questo gioco dell’esserci per l’arte? Un artista chiede costantemente a sé stesso e agli altri il senso delle proprie azioni. Perché continuare a fare dischi e concerti? Da otto, nove anni me lo domando. Ci sono tantissimi festival, non meno libri, non meno incisioni. Ho un’età per cui ho potuto assistere a molte dinamiche interne alla vita artistica: rapporti tra artisti, tra artisti e direzioni e con sovraintendenze e ho assistito alla progressiva scomparsa della professionalità nella musica. Non esistono più cachet. Nessuno vive più di questo mestiere. È una continua umiliazione. Il musicista di professione sta scomparendo. Non si vive più dell’attività di concertista, di serate. Gli artisti sono sottoposti a condizioni contrattuali assurde e sempre più spesso mettono soldi propri nelle produzioni. Il sistema è profondamente drogato e una vera e propria repressione distorce il pensiero creativo. Il musicista di professione è scomparso. Prima era possibile vivere dell’attività di concertista. La vita intellettuale era una professione. Oggi se va bene si lavora per pochi soldi. Che senso ha fare l’ennesimo disco di fronte a questo sistema che non consente la vita? Avrebbe più senso creare atti di riflessione, di rivolta. Bisognerebbe portare allo scoperto sempre di più tutto questo, mettere in manifestazione questa situazione.

Questo tuo invito a fermarsi, a riflettere, a riempirsi di senso piuttosto che disperdersi in mille occasioni mal gestite e mal retribuite mi sembra preziosissimo, soprattutto per le giovani generazioni già stremate da ritmi forsennati che non corrispondono, come hai chiaramente descritto tu, a nessun orizzonte di prosperità o di ingaggio a pieno titolo in una vita d’arte dignitosa. Fermarsi e provare a portare ancora più in luce l’alterazione repressiva a cui è sottoposta l’attività intellettuale. Ma come si inserisce in tutto questo l’essere donna? Che tipo di aggravante è?

La discriminazione della donna nella musica classica è un problema enorme da contestualizzare in un più ampio discorso sociologico. Se non lo affrontiamo all’interno della più ampia questione di classe e della “predestinazione classista”, avulso cioè da una considerazione più ampia sulla deriva fortissimamente classista della musica classica italiana degli ultimi venti anni, il discorso sulla discriminazione delle professionalità femminili perde efficacia. Questo della classe di appartenenza è un punto di vista focale che va mantenuto: se guardiamo alle donne impegnate, presenti e attive nella musica classica italiana e in altre arti, dobbiamo chiederci con onestà quante tra loro non abbiano un marito, un fratello maggiore, un padre, un mentore anziano che le aiuti e che dia legittimazione al loro essere donna artista. Mi viene in mente la bravissima Speranza Scappucci… affiancata da Corrado Augias! Il patriarcato si manifesta nella misura in cui le donne non possono parlare da sole, agire da sole, senza un marito regista, un padre o fratello in carriera se non già grandi direttori orchestra. Contiamole le donne che non hanno parentele forti da far valere! Questo è un aspetto evidente del patriarcato che perseguita le donne, che oblia le donne che non hanno nessuno o che hanno mariti padri e fratelli che non contano niente in campo artistico; il patriarcato è un sistema che ostacola e scarta le donne che hanno solo sé stesse e il loro talento. In Italia non c’è nessuna speranza senza un maschio che vidima la figura della donna artista e tranquillizza un pubblico che ancora non riesce a non vedere in controluce nell’artista donna la figura della donna pubblica, quella insomma di facili costumi.

Mi viene in mente una tua intervista del 2023 [2] in cui racconti di tua madre, che nel 1940, quando le viene imposta la fisarmonica delle “piccole italiane” durante il regime fascista in Romagna, scappa e fra il ‘46 e il ‘47 si guadagna da vivere girando per le aie dei contadini con la sua fisarmonica a suonare per qualche soldo e che raggiunti i ventuno anni affitta un pianoforte e apre in proprio a Ravenna la prima scuola di musica di cui si ha memoria. E penso al senso della parola “predestinazione” che hai usato poco fa. Anche in quell’occasione ci hai raccontato che Elena Sartori non era predestinata, non provenendo né da una classe sociale facoltosa, né, tantomeno, da un’educazione femminile progressista. Eppure la madre, quella madre ribelle, ti inizia agli studi e tu prosegui con lode presso i Conservatori “G. Frescobaldi” di Ferrara e di Basilea, al Mozarteum di Salisburgo con lode e menzione di onore finali e alla Bach Akademie di Stoccarda; consegui la laurea superiore in pianoforte, organo e composizione organistica, direzione di coro e direzione d’orchestra con il massimo dei voti; all’università di Bologna ti laurei in Canto Gregoriano; la tua dedizione all’opera di Francesca Caccini ti porta a incidere il CD La liberazione di Ruggiero dall’Isola di Alcina selezionato dall’International Women’s Day 2017 della BBC e segnalato da decine di testate; nel 2021, ricevi la Nomination agli International Classical Music Awards per l’incisione dell’Orfeo di Luigi Rossi e la segnalazione Speciale al Premio Abbiati Disco. Nonostante tutto questo, Elena Sartori sembra incredibilmente non essere “predestinata” a dirigere un’orchestra stabile. Come mai?

Per risponderti devo riassumere la mia vita professionale costituita da tutta una serie di fallimenti o meglio una vita di successi di pubblico e di critica e di fallimenti di carriera e istituzionali. La mia prima nomina è del 1996: vengo chiamata su base curriculare e fiduciaria per i risultati ottenuti, supero una selezione e divento insegnante di coro presso l’istituto musicale della mia città, Ravenna. Comincio a lavorare: sono contenta ma soprattutto mi arrivano dei feedback molto positivi. Gli studenti sono molto contenti e mi ferma addirittura per le scale anche il Direttore per complimentarsi e dirmi che tutti sono molto contenti del lavoro che io sto facendo e lo sono così tanto che al bando successivo mi fanno precipitare in fondo alla graduatoria sostituendomi con un altro: un uomo giovanissimo, molto più giovane di me con qualche dato forte sul cv ma anche figlio di un avvocato. Da quel momento non insegnerò più nel Conservatorio della mia città e su tutti i concorsi banditi io sarò sempre eternamente seconda. Nel 2002, vengo incaricata di occuparmi della Direzione della civica corale della Polifonica della mia città, una corale molto antica: mi viene detto che versa in condizione di abbandono e che occorre darle una nuova vita, una nuova energia. All’inizio essere pagata è un grosso problema: devo sostenere molte discussioni estremamente dure con il presidente dell’Associazione Polifonica che si chiamava Renato Notturni. Al primo incontro – non lo dimenticherò mai – mi dice che il mio predecessore, il Professor Bruno Zagni, prendeva cento euro per ogni prova e che con me avevano pensato di fare cinquanta! Questo a proposito dell’uguaglianza di trattamento economico fra uomini e donne… E io mi impunto! Domando perché il mio compenso ammonta alla metà del direttore maschio che andava in pensione. Esplode il conflitto, io però faccio un passo indietro e accetto lo stipendio dimezzato. Dunque i lavori cominciano, di nuovo tutti sono molto contenti: la Polifonica di Ravenna in quegli anni lavora veramente tanto, soprattutto si arricchisce di tanti coristi che arrivano da Bologna e da Imola, che viaggiano anche la sera per accrescere le fila del coro che in quegli anni prende parte anche al Ravenna Festival con produzioni importanti; riceviamo molte recensioni veramente positive sui giornali e la Polifonica viene definita uno dei migliori cori italiani. Le cose stanno andando benissimo, e stanno andando talmente bene che nel tra il 2007 e il 2008 ci vengono tagliati tutti i finanziamenti e il ruolo di corale civica viene assunto dal nuovo coro, formato proprio per l’occasione, diretto… dallo stesso direttore maschio figlio di avvocati e titolare di tutte le cariche al Conservatorio… la stessa persona!

Quindi sei di nuovo senza lavoro.

Fortunatamente, quello stesso anno, mi chiamano dal Ravenna Festival, nientemeno che dal Teatro Alighieri. La Signora Cristina Mazzavillani Muti mi chiama per dirmi che ha intenzione di costruire il Coro del Teatro Stabile Alighieri e mi dice che questo è un riconoscimento per essere stata scaricata dalle altre cariche precedenti. Sono felicissima perché è una donna che me lo chiede: è la moglie di Riccardo Muti! Una donna che assegna un ruolo a un’altra donna è una cosa fantastica in quel momento per me. Vengo assunta con un ottimo contratto e facciamo tre lunghi mesi di audizioni per selezionare i coristi migliori. Debutto nel 2007 con Orfeo ed Euridice, un titolo grandissimo con una lunga tournée, recensioni bellissime, complimenti e soddisfazione di tutti, pubblico registi e direttori e quindi mi sento fiduciosa sul lungo futuro di questa nuova realtà. Ma, come al solito, tutto viene distrutto in un soffio: il mio contratto non viene rinnovato e la Signora Cristina Mazzavillani Muti non mi risponderà mai più al telefono; io provo a sondare per provare a capire ma tutti quanti mi rispondono in maniera molto vaga. Il coro del Teatro Alighieri diventa il Coro Cremona Antiqua diretto dallo stesso giovane maschio musicista napoletano figlio di avvocati che mi porta via anche questo posto dopo quello da Direttrice della Corale Civica e del Conservatorio: Antonio Greco. Sono di nuovo senza nessun incarico in casa mia, però mi rimbocco le maniche: so che il coro della Cattedrale è senza direttore e mi presento all’Arcivescovo Don Luigi Ghizzoni offrendomi di tirarlo nuovamente su. Il Coro della Cattedrale è stata un’istituzione di grandissimo pregio nel passato. Pensiamo che nel 1600 aveva un coro di eccezionale valore composto da coristi che studiavano a Venezia da Costanzo Porta. Nel Museo dell’Archiginnasio a Bologna c’è tantissima letteratura su questa Cappella musicale del Duomo di Ravenna. L’Arcivescovo è entusiasta ma mi dice che devo assumere l’incarico senza compenso. Io accetto pensando che in futuro si potranno sistemare le cose e comincio a lavorare. Pian piano il coro si ricostituisce e io faccio l’organista. Ma un bel giorno l’Arcivescovo Ghizzoni mi chiama e dice che sono alla fine dell’incarico perché hanno pensato di darlo a un uomo, a Stefano Sintoni che ha già un coro costituito e che quindi preferirebbe fare un contratto a pagamento a loro. Insomma, sarebbero tutti più contenti se rimanessi a casa! Dopo questa batosta decido di concentrare la mia attività in altri luoghi: insegno tantissimo a Bari, in Calabria, a Malta, a New York alla Columbia University, ad Amsterdam fino ad avere finalmente nel 2019, non più giovanissima, il mio contratto in ruolo presso il Conservatorio Monteverdi di Bolzano.

Il tuo racconto ha dell’incredibile. Sembra tu sia stata sempre chiamata a creare delle situazioni nuove, oppure a sistemare e rivitalizzare situazioni che versavano in situazione di crisi e difficoltà di cui poi altri hanno professionalmente beneficiato. Cosa ti era rimasto a Ravenna?

A Ravenna mi rimaneva la programmazione dell’Antico Festival Internazionale di Musica di Organo, affidatomi per ventidue anni. Anche questa realtà all’inizio andava rimessa in piedi: il Comune aveva bloccato i finanziamenti, la Regione non dava nulla. Un Festival che per sessant’anni era stato il fiore all’occhiello della cultura ravennate, come la maggior parte delle persone di cultura in Europa sa benissimo… senza soldi! L’ho finanziato e diretto personalmente, ho sistemato la platea, ho cercato e pagato nuovi collaboratori, ho cercato nuovi sponsor a Roma e a Bologna e piano piano, attraverso il finanziamento della Cassa di Risparmio di Bologna, l’aspetto finanziario si risolve. Realizzo le ultime tre edizioni del Festival piene di pubblico, di gente, di entusiasmo! Repubblica scrive di noi, le riviste internazionali scrivono del Festival di San Vitale che finalmente può ricominciare a chiamare i grandi nomi del panorama organistico mondiale (si può permettere di nuovo i grandi divi!) mentre io allargo la programmazione, organizzo conferenze, presentazioni di libri; addirittura, nel 2024, prende vita una mostra fotografica seguitissima sulla storia del Festival a partire dagli anni Sessanta. Ed è in questo contesto di grande successo che… arriva la lettera della Curia Arcivescovile che afferma la necessità di tener conto dell’aumento del turismo in città: la Curia ha intenzione di destinare esclusivamente all’utilizzo turistico la Basilica di San Vitale e aggiunge anche che, per ragioni di espressa opinione (Elena Sartori va sui social, fa polemica e crea imbarazzi) non mi concederanno mai più la Basilica di San Vitale. Una morte grave per la città Ravenna…

… con cui ritorniamo all’inizio di questo tuo intenso racconto biografico. Sembra si possa affermare, con te Elena, che la discriminazione delle donne sia incastonata tra questi due pilastri: da una parte la provenienza, ovvero l’appartenenza di classe, il cognome, la famiglia e la classe economica di partenza che segnano una sorta di predestinazione nel mondo delle arti e, dall’altra parte, il potere, il controllo della Chiesa sulla creatività femminile, sulla cultura italiana sulla musica.

Dopo aver concluso questa intervista ripenso di nuovo alla ragazza iraniana, alla camminata di quella giovane donna priva di tutto che senza chinare mai la testa, incurante dei feroci strali dell’epoca, va. E di nuovo l’una mi appare come l’altra, e l’altra mi sembra l’una. È l’epoca delle donne che camminano, spogliandosi ancora di più dopo che è stato loro tolto tutto. È l’epoca del gioco del coraggio. E mi ritorna ancora tra le labbra la parola predestinazione. E mi ritrovo a pensare, o forse di più, a credere che, quando una vita decide di attraversare lo spazio pubblico in questo modo assoluto è perché la sua libertà ha raggiunto il massimo grado, è perché nessuna delle conseguenze possibili potrà nuocerle. E noi abbiamo il privilegio di vederle libere, senza nessuna protezione, negli spazi in cui gli altri hanno paura di andare. E in mezzo a tutta questa oscurità, a volte, sono proprio loro… quelle predestinate a splendere!

 

[1] Evento a cura della Professoressa e Sociologa delle Arti Milena Gammaitoni “Le direttrici d’orchestra – TiC – Teatri in Comune”.
[2] Elke Mascha Blankenburg, Le direttrici d’orchestra nel mondo. Una galleria di ritratti da Marin Alsop a Xian Zhang. A cura di Milena Gammaitoni, Zecchini, Varese, 2023.