La fisarmonica che evoca mondi

Intervista a Lorenzo Monguzzi, frontman dei Mercanti di Liquore

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Mercanti di LiquoreIn questa nuova intervista vi portiamo in Brianza, dai Mercanti di Liquore: una band nata nel 1995, evoluta, sospesa e rinata. Dopo più di dieci anni fuori dalle scene, ritornano in una nuova veste: nuova per i suoi componenti, di cui resta soltanto Lorenzo Monguzzi della formazione originale, ma nuova anche come essenza e suono, che sa adattarsi ai tempi e agli stimoli del panorama musicale odierno. Rimane, comunque, la fisarmonica, suonata dalle sapienti mani di Elio Biffi e che Lorenzo definisce come “un’orchestra portatile a disposizione di chi una vera orchestra non ha mai avuto la possibilità di ascoltarla”, che evoca mondi in cui è piacevole ritrovarsi. Ringrazio Lorenzo Monguzzi, autore, voce e chitarra dei Mercanti di Liquore per avermi concesso l’intervista.

Iniziamo dalle origini. Nel 1995, in tre decideste di chiamarvi Mercanti di Liquore per legare il vostro nome a quello di Fabrizio De André, che avete omaggiato con le vostre cover per anni e che, a conclusione del brano La collina, canta, riferito a Jones: “Sembra di sentirlo ancora dire al mercante di liquore: tu che lo vendi, cosa ti compri di migliore?”. Ma perché avete scelto proprio Mercanti di Liquore, si tratta di una metafora che avete fatto in qualche modo vostra o è una scelta casuale?

La metafora era perfettamente calzante con la vita che facevamo all’epoca, ci sembrava di essere coerentemente all’interno di una narrazione simile a quella che ha spesso caratterizzato il lavoro di De André. Suonavamo in provincia, in locali piccoli e talvolta malfamati, ed eravamo costantemente a contatto con un pubblico particolare, direi quello degli “ultimi”, sempre per tornare a De André: gente spezzata dalla vita ma orgogliosa e creativa, molto protettiva e amorevole nei nostri confronti. Da qui, la scelta di un nome che fosse anche una dichiarazione di appartenenza, che raccontasse l’orgoglio di sentirsi fuori dal coro e in qualche modo “diversi” da quello che si suol definire normalità. C’è sicuramente anche molta ingenuità in tutto ciò, ma le spinte ideali non si rinnegano, neanche col passare degli anni.

Abbiamo detto che i Mercanti di Liquore nascono nel 1995, dedicandosi alla reinterpretazione del repertorio di De André, per poi evolversi: da dove arriva la decisione di iniziare a dedicarsi ai brani inediti e quanto rimane della musica di De André nei vostri brani successivi?

Non siamo mai stati una cover band, noi non replicavamo nulla: prendevamo le canzoni di De André (e anche di altri autori all’inizio) e le suonavamo a modo nostro, prendendoci tutte le libertà del caso. A volte il risultato era decente, a volte no, ma questo è un altro discorso. Dopo la morte di De André, siamo stati introdotti nei salotti buoni della musica e inizialmente ne eravamo molto lusingati. Col passare del tempo, però, ci siamo resi conto che era una trappola, dorata quanto vuoi, ma sempre artisticamente letale. Potevamo scegliere: continuare a fare meravigliose canzoni altrui o provare a farne di nostre. La scelta è stata facile e niente affatto dolorosa, poi è evidente che i maestri rimangono e qualcosa di loro sopravvive in ciò che fai, credo che valga per tutti quelli che scrivono musica o testi.

A proposito dei vostri brani, chi li ascolta si trova necessariamente a riflettere su temi sociali, ma questo probabilmente avviene in modo ancora più immersivo negli spettacoli teatrali a cui avete preso parte in collaborazione con Marco Paolini. Come vi siete approcciati a spettacoli come Song n.32 (2003) e Miserabili-Io e Margaret Thatcher (2006)?

Difficile rispondere sinteticamente a questa domanda. È stato meraviglioso e complicato approcciarsi al lavoro in teatro con Marco. Ricordo che, per assurdo, mi spaventava il silenzio. Noi eravamo abituati ai chiassosi locali della Brianza dove contava più l’energia che mettevi nel suonare che la precisione; in teatro, invece, si sentiva tutto distintamente e realizzammo che dovevamo migliorare la tecnica! Parlando seriamente, è stata una palestra importante e ci è toccato imparare che la musica può essere usata in tanti modi, anche molto lontani dalla forma canzone. Lavorare con Marco significa danzare sulle sue parole, seguirne la suggestione con forti e piano, rispettarne il ritmo e i silenzi: è una pratica intrigante, tant’è che non ho più smesso di farlo.

Dopo i primi album, gli spettacoli e i concerti arriva quello che a posteriori possiamo chiamare l’ “arrivederci” dei Mercanti, un passo che, leggendo le dichiarazioni a riguardo, sembra essere avvenuto in modo piuttosto naturale. Cosa ha fatto, invece, scattare la scintilla che ha portato al vostro ritorno?

Il ritorno è nato dall’interessamento di alcune persone del settore e soprattutto dall’affetto di tanta gente, affetto rimasto invariato nonostante il gruppo sia sparito per un decennio. Abbiamo smesso di suonare insieme perché si era rotto qualcosa, senza drammi, con una certa naturalezza. Altrettanto naturalmente mi è venuta la voglia di riprendere il progetto, pensavo di poterne fare a meno, ma non era così. Poi, in realtà, del trio originale, ad oggi, sono rimasto soltanto io, gli altri due hanno preferito non riprendere la strada, anche questo con estrema naturalezza.

A tal proposito, nel 2021 è uscita la riedizione di Lombardia in collaborazione con altri grandi attori della scena musicale italiana. Sappiamo che i ricavati sono stati donati a Emergency per far fronte all’emergenza Coronavirus. Ma com’è nata esattamente l’idea di riunire i “Figli Storti” in questo progetto e come si lega al ritorno dei Mercanti?

L’idea è stata di Riccardo Canato, la persona che attualmente segue le date e il management dei Mercanti. Eravamo in pieno lockdown e l’idea di festeggiare il nostro ritorno coinvolgendo tanti musicisti amici in un progetto utile ci sembrava fantastica. In effetti, fantastica è stata tutta l’esperienza, a cui hanno accettato di partecipare in tanti e tutti estremamente disponibili. Ricordo le sessioni di registrazione, eravamo tutti commossi, commossi di ritrovarci, di parlare di musica e raccontarci gli incontri passati e i progetti futuri: soprattutto questi ultimi, sembrava un sogno anche solo parlarne in quei giorni.

Dopo il vostro ritorno, salta all’occhio l’ingresso, oltre che di nuovi nomi, di strumenti che non erano presenti nei Mercanti di oltre dieci anni fa come il banjo, il mandolino, la chitarra elettrica e la batteria. Cosa ci dobbiamo aspettare dai futuri inediti? Avremo Mercanti diversi ed evoluti che offriranno un liquore ancora più ricco e squisito?

L’idea è quella, certamente sarà un liquore diverso: non mi interessava replicare i suoni del passato. Credo che un gruppo, per definirsi tale, debba valorizzare e rispecchiare la personalità di ogni suo membro. I Mercanti di oggi fanno una musica diversa perché all’interno del gruppo ci sono persone diverse, ma mi piace pensare che anche se fossimo gli stessi di prima faremmo comunque qualcosa di diverso, perché diversi sono i tempi, i suoni e gli stimoli di oggi. Il nuovo disco sarà un po’ meno folk e più moderno, non tanto per scelte commerciali, ma semplicemente perché più moderni sono buona parte dei musicisti con cui suono ora.

Nonostante le novità, una costante è la fisarmonica: strumento che si trova anche al centro di questa rivista. Qual è il valore aggiunto che rende questo strumento imprescindibile nella musica dei Mercanti?

La fisarmonica evoca mondi in cui mi è sempre piaciuto stare, la potrei definire un’ orchestra portatile, sebbene non propriamente leggera. Un’ orchestra a disposizione di chi una vera orchestra non ha mai avuto la possibilità di ascoltarla.

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Vale sempre la pena imparare a suonare uno strumento, serve a coltivare la parte migliore di ognuno di noi ed è capace di metterci in connessione con chi questa nostra parte la apprezza.

 

DISCOGRAFIA

Mai paura (Musica Mezzanima, 1999)

La musica dei poveri (Mezzanima/Bloom, 2002)

Che cosa te ne fai di un titolo (Bagana Records, 2005)

Live in Dada (Mezzanima, 2006)

 

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