La fisarmonica è imbattibile!

Intervista a Francesco Casagrande e Federico Zugno dei Daushasha

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DaushashaPer questa intervista siamo andati in Veneto, dove ci hanno virtualmente accolto i Daushasha: una band decisamente eclettica che fa della continua sperimentazione di suoni e strumenti il proprio cavallo di battaglia. Il risultato è un ritmo complesso e diversificato dove, però, ogni sonorità trova il proprio posto, raggiungendo il giusto equilibrio e permettendo a chi li ascolta di godersi un concerto dinamico e all’insegna dell’ottima musica.

Ringrazio Francesco Casagrande e Federico Zugno, rispettivamente chitarrista e fisarmonicista dei Daushasha, per avermi concesso questa intervista.

In un’intervista avete dichiarato che, a un certo punto, dopo gli inizi decisamente più rock, avete deciso di chiamare una violinista e un fisarmonicista per rendere più folk dei pezzi durante una sessione di studio: scelta che poi avete confermato, facendo del violino e della fisarmonica strumenti fissi all’interno della vostra formazione. Essendo questa una rivista che ha il focus proprio sulla fisarmonica, la domanda sorge spontanea: che cosa significa questo strumento per la vostra musica?

Dopo i primi anni in cui ci siamo concentrati su sonorità rock, abbiamo voluto seguire una vena più cantautoriale e legarla al folk, per poter dare sfogo alla nostra energia e poter raccontare meglio storie legate al contesto in cui siamo cresciuti, ci siamo conosciuti e abbiamo condiviso esperienze. La fisarmonica arricchisce sia la melodia che l’armonia, può affiancare il violino e tenere l’accompagnamento per dare spazio alla chitarra, o stare in primo piano con quel suo timbro aspro, un po’ rauco e un po’ argentino che tanto ci piace: insomma, ci offre diverse soluzioni per mantenere diversificata la nostra musica sia nelle registrazioni che, soprattutto, nei live, che vogliamo rendere sempre dinamici e coinvolgenti. E su questo la fisarmonica è imbattibile!

A proposito delle sperimentazioni che avete fatto per arrivare alla formazione attuale, pensate che ci possano essere nuove entrate a livello strumentale in futuro? Non che il vostro suono non sia già abbastanza ricco ed energico…

Negli ultimi anni abbiamo voluto approfondire alcuni generi musicali, potendo contare sulla curiosità di ognuno di noi e facendoci guidare e consigliare da amiche e amici che abbiamo conosciuto grazie alla musica in questi anni. In questo modo abbiamo potuto sfruttare appieno i vari strumenti di cui finora disponiamo senza mai tralasciare la parte ritmica, imprescindibile per far saltare e ballare il nostro pubblico. Ultimamente, in linea con i nostri gusti musicali e con lo stile dei testi che componiamo, abbiamo cominciato a sperimentare l’utilizzo dell’elettronica con l’obiettivo di circondare il nucleo formato da voce, chitarra, violino e fisarmonica con una atmosfera di suoni più ampi e coinvolgenti. Certo, bisogna stare attenti a non arrivare alla saturazione dei suoni, perché il limite è sempre l’equilibrio, senza il quale la canzone non può trasmettere efficacemente il messaggio che porta. Rimaniamo comunque curiosi e sicuramente coinvolgeremo altri strumenti, soprattutto per le nostre prossime registrazioni: in primis alcuni strumenti a fiato.

Sul vostro sito vi definite “una band folk/rock ballabile ed esplosiva con influenze che spaziano dalla musica balcanica alla pizzica salentina, dal cantautorato italiano anni ‘60 al punk rock”. Permettetemi un po’ di ironia, avete mai avuto una crisi d’identità (musicale)? Come riuscite a gestire le diverse facce del folk su uno stesso palco?

Assolutamente sì, nel senso che il gusto musicale dei singoli componenti cambia molto nel corso degli anni, per cui a volte ci sono dei vecchi brani che non ci identificano più. Altre volte, magari, ci sentiamo fortemente influenzati da un genere o da una band in particolare che abbiamo visto dal vivo e ci viene voglia di riportare quelle sonorità sul nostro palco. Per riuscirci, però, c’è bisogno di inserire altri strumenti o di cambiare radicalmente arrangiamenti e suoni: insomma, siamo molto curiosi e ci piace sperimentare. A dire la verità, negli ultimi singoli che abbiamo pubblicato (come Riviera, Pertegan e un nuovo pezzo che faremo uscire entro l’estate) abbiamo sperimentato molto in studio di registrazione, tant’è che le versioni studio di questi brani non hanno propriamente il sound di una folk/rock band, ma si avvicinano più a un elettro-pop sperimentale. In realtà, però, quando arriviamo sul palco, abbiamo sempre una formazione, un’attitudine e una strumentazione folk/rock, non ci sono basi e l’unico strumento elettronico che inseriamo è un microKORG che interviene nei brani più recenti. Per cui, per rispondere alla seconda domanda, quando suoniamo dal vivo siamo in tutto e per tutto una band folk in cui le varie contaminazioni passano attraverso il filtro del nostro modo di suonare e di arrangiare. Per esempio, la versione di Riviera che portiamo in live è piuttosto diversa da quella in studio: è più folk e pensata per l’impatto dal vivo, che, però, mantiene l’impronta di un brano elettro-pop.

Nel 2021, in occasione del ritorno ai live dopo l’emergenza sanitaria, esce la vostra bellissima reinterpretazione della famosa pizzica Lu Rusciu te lu mare. Raccontateci come avete vissuto quel momento di ritrovata “libertà” e come mai avete scelto proprio questo brano. C’è qualcosa in particolare che lega un gruppo di veneti al territorio e al repertorio salentino?

È stato un momento davvero bello ed emozionante perché dopo il periodo di chiusura del Covid, tutte le sensazioni positive provate suonando, che prima davamo per scontate, apparivano nuove e potentissime. Ci siamo ritrovati in una location fantastica per la registrazione di quel live in studio (la sala di una barchessa di una villa veneta) e abbiamo tenuto buona la prima versione del brano che abbiamo suonato tutti assieme dopo quei mesi di stop. L’abbiamo suonato in presa diretta, senza tagli, per mantenere l’emozione del momento; anche il video è stato girato in piano sequenza senza montaggio o tagli. In realtà, siamo stati fortunati, perché non ci viene mica sempre così bene. Ci siamo affacciati alla pizzica salentina quando Vito, il nostro bassista e tamburellista, è entrato nel gruppo facendoci scoprire questo genere così ipnotico e potente. Essendo l’unico pugliese in una band di veneti ci ha influenzato con il suono del suo tamburello salentino e ci ha convinto a inserire la cover di Lu Rusciu te lu mare in scaletta. Già dalle prime volte in cui l’abbiamo suonata live ci siamo accorti che la pizzica salentina faceva impazzire il pubblico, fa alzare la gente dai tavoli e di solito è il momento in cui anche i più timidi si convincono a ballare. Dato che ci siamo accorti che era uno dei momenti salienti del nostro live, abbiamo deciso di registrarne una versione studio. In realtà, pensiamo che la pizzica coinvolga così tanto anche il pubblico veneto perché è un genere che deriva dalla cultura contadina, viene dalla terra e risveglia dei legami viscerali con la natura. Questo il lato più romantico; poi, è vero anche che è il momento remember vacanze in Salento, per cui chi tra il pubblico è stato in vacanza in quei luoghi stupendi e ha ballato alle feste di pizzica, entra subito in un mood festoso e nostalgico.

A proposito dei live, nel corso dei vostri oltre dieci anni di carriera avete aperto i concerti di diversi artisti tra cui Finaz, Folkabbestia e, non da ultimo, i Modena City Ramblers. Avete un vostro palco dei desideri su cui non avete ancora suonato e una band, o un artista, di cui vi piacerebbe aprire per la prima volta un concerto?

Beh, diciamo che, dopo aver aperto il live dei Modena City Ramblers a Ravenna, potremmo anche ritirarci e dichiararci soddisfatti. Peraltro, sono stati molto carini e gentili con noi, cosa per nulla scontata. Diciamo che facendo folk/rock in Italia non potevamo desiderare di più. Un altro sogno che ci piacerebbe avverare è quello di aprire un live della Bandabardò: è una band che da sempre ci ha ispirato e decine di volte abbiamo ballato ai loro concerti. Poi, chiaramente, ogni componente dei Daushasha ha le proprie band del cuore di cui vorrebbe aprire i concerti. Per il genere folk/rock italiano, però, diciamo che i Modena e la Bandabardò erano i nostri riferimenti principali quando abbiamo deciso di formare i Daushasha. Per quanto riguarda invece i palchi dei desideri, qui in Veneto diremmo assolutamente lo Sherwood Festival e il New Age Club: palchi sotto casa dove abbiamo visto un sacco di band nazionali e internazionali che ci hanno ispirato e ci hanno formato musicalmente. Di recente, ho visto un video del Canzoniere Grecanico Salentino suonare con Jovanotti al mega party sulle spiagge: sembrava il contesto perfetto per i Daushasha, per cui se serve ci offriamo volentieri, ahah.

Possiamo sicuramente dire che vivete molto di live e dell’energia del vostro pubblico. In ogni caso, nell’ultimo anno, avete comunque trovato lo spazio per due singoli. Dobbiamo aspettarci un nuovo album?

Sicuramente è in programma, ma dobbiamo ancora decidere quando farlo uscire di preciso. Al momento, stiamo lavorando al mix di un nuovo singolo che uscirà a primavera. È un momento in cui stanno prendendo forma varie idee e stiamo ancora valutando come muoverci. Ci sono alcuni singoli che abbiamo pubblicato di recente che non sono inseriti in un disco e altri che usciranno a breve per cui non appena sarà il momento più opportuno non mancheremo.

Mi verrebbe da definirvi come un gruppo eclettico sotto vari punti di vista: dalla varietà di generi e strumenti che vi contraddistinguono alla partecipazione a progetti extra, come nel caso della colonna sonora che avete realizzato per il documentario Cresceranno le Siepi – Storie di contadini che amano la terra di Dimitri Feltrin, incentrato sul racconto di un modello di agricoltura sostenibile. Che tipo di esperienza è stata per voi?

Quella è stata un’esperienza fantastica, una di quelle che ci hanno fatto capire quanto fortunati siamo a essere dei musicisti e ad avere questo progetto. Il documentario è bellissimo e se volete è disponibile anche su YouTube. Dimitri è davvero bravo e sta continuando a fare strada con i suoi documentari sempre più accurati e interessanti. È un documentario che parla di un nuovo modo di fare agricoltura, nel rispetto dell’ambiente e dell’essere umano. Quando siamo stati invitati alla prima proiezione privata, in cui erano presenti i vari agricoltori che erano stati intervistati nel documentario, e abbiamo sentito le nostre musiche all’interno di una produzione di quel tipo è stato davvero emozionante, anche perché la nostra anima “campagnola” si sposava molto bene con le immagini e le tematiche. Poi, siamo stati invitati a suonare in alcune aziende agricole e fattorie didattiche/sociali che avevano partecipato al documentario in occasione del tour di proiezioni di Cresceranno le Siepi e sono stati dei concerti indimenticabili con una bellissima atmosfera agreste e di condivisione.

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Beh, venite a trovarci ai nostri concerti e nelle piattaforme digitali dove potrete ascoltare la nostra musica e avere informazioni sui nostri progetti: ci trovate su Spotify, YouTube, Instagram, Facebook ecc. Non esitate a contattarci se volete invitarci a suonare dalle vostre parti e buona musica!

 

DISCOGRAFIA

Canzoni dal fosso (Officine Underground, 2013)

Luna (Indiebox Music, 2016)

Canzoni fatte a Mano (Solo copia fisica, 2019)

 

Singoli

Flaco (2019)

Il Paesano (2019)

Le Bestemmie feat. Los Massadores (2020)

Pertegan (2023)

Riviera (2023)

 

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