Il pianista e compositore Paolo Lazzarini presenta il suo nuovo Ep “Tre Notturni”

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Tre notturni EP - Paolo LazzariniDiplomato in pianoforte, il compositore rodigino che vanta già diverse pubblicazioni discografiche con composizioni originali, torna sulla scena con la sua ultima produzione “Tre Notturni”, tre brani per pianoforte solo registrati live una decina di anni fa presso il Teatro Sociale di Adria.

L’Ep Tre Notturni è una pubblicazione sicuramente in linea con quelle precedenti connotata da un gusto particolarmente raffinato e da una sapiente interpretazione. A cosa ti sei ispirato e, soprattutto, perché hai deciso di pubblicarla dopo così tanto tempo?

Erano tre brani che avevo nel cassetto da diverso tempo. In questo periodo di quarantena forzata li ho riascoltati casualmente e li ho trovati perfettamente in linea con quello che sto provando in questo periodo: sospensione, solitudine, riflessione intima.

Una sequenza di brani che ben si sposa anche con l’attuale contesto sociale, un ascolto che invita alla riflessione, alla valutazione e all’analisi di ciò che ci circonda, del resto non sei nuovo a questo tipo di operazioni, i tuoi brani sono spesso connessi a momenti storici particolarmente rilevanti…

È vero. Tra le mie prime opere rappresentate c’è un quintetto intitolato “9/11” ispirato ai tragici fatti dell’11 settembre 2001. Credo che un’artista non possa esimersi dall’esprimere la propria partecipazione con i mezzi che ha a propria disposizione, siano essi un pennello, un pianoforte, una penna.

Diplomato in pianoforte con il massimo dei voti e una carriera da compositore costellata da una moltitudine di riconoscimenti, a testimonianza del fatto che c’è comunque bisogno in giro di ascoltare buona musica… Se andiamo ad analizzare, nel corso degli ultimi 2/3 secoli si sono succeduti alcuni “rivoluzionari” che hanno gradualmente condizionato le abitudini musicali di intere generazioni. Sarà così anche questa volta? Dovremo “abituarci” ai nuovi linguaggi oppure abbiamo ancora qualche via di scampo? In fondo anche i vari Mozart, Scarlatti erano degli innovatori…

Credo che l’opera di un qualsiasi artista sia il risultato della “digestione” di una quantità enorme di materiale, a partire da quello assimilato negli anni della formazione. Occorre tanta curiosità ed il coraggio di riconoscere infine il proprio linguaggio, senza paura di essere giudicato o incasellato. L’artista è il vero innovatore di sé stesso nel momento in cui riconosce il proprio sentiero. Solo così potrà lasciare una traccia autentica nei linguaggi espressivi che lo circondano. Tuttavia è un percorso che richiede “labor limae”, una sincera e violenta autoanalisi che occorre fare per non essere a propria volta “digeriti” dal mercato musicale che ci circonda.

Che consiglio ti senti di dare ad un giovane che si iscrive in uno dei tanti conservatori e che pensa alla musica per il suo prossimo futuro?

Di non lasciarsi condizionare. Una volta acquisita la tecnica, bisogna capire quale sia il vero interesse e puntare tutto su quello. Lasciarsi indirizzare si, senza farsi vincolare. Un ragazzo di 18 anni che ascolta il proprio cuore sa benissimo riconoscere i segnali che lo portano in una direzione oppure in un’altra.

Hai studiato musica classica, ti sei cimentato nel jazz e nella musica da camera. C’è un genere nel quale ti riconosci prevalentemente?

La musica classica è la mia musica dell’infanzia ed adolescenza.È la matrice, il latte materno che ancora mi nutre. Ho affrontato quasi tutti i generi musicali, ma non esiste un genere in cui mi riconosca particolarmente. Sono alla ricerca del mio linguaggio, e sarà un viaggio che si fermerà soltanto con la morte.

Stai lavorando a qualche altro progetto?

Sto scrivendo brani per diverse ensamble musicali. Vorrei realizzare in futuro un album di impronta cameristica. Ma è ancora tutto work in progress.

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