Le tante sfaccettature del percussionista calabrese Massimo Cusato

Dal folk più tradizionale ai ritmi afrocubani

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Massimo CusatoMassimo Cusato nasce a Gerace, in provincia di Reggio Calabria, nel 1972. Adolescente inizia la sua formazione musicale da autodidatta, in seguito apprende i primi insegnamenti dai musicisti Carlo Spina e Piero Longo per poi proseguire gli studi presso i Conservatori di Reggio Calabria e Campobasso con il M°Giulio Costanzo. A metà degli anni ’90 si trasferisce a Roma dove studia con Arnaldo Vacca, Giovanni Imparato, Ettore Mancini, Horacio “el Negro” Hernandez, Cristiano Micalizzi, Maurizio Dei Lazzaretti e, nel 1998, vola fino a Cuba per approfondire i ritmi afrocubani con Louis “Changuito” Quintana. Nel 1994 Massimo combina i suoni della batteria con quelli del tamburello creando le sonorità uniche e inconfondibili del Tamburello – Drumset combo, diventando così un punto di riferimento per i percussionisti impegnati nel repertorio folk-etnico italiano. Nel 2015, a Los Angeles, firma un prestigioso contratto di Endorsement con la Remo Incorporated, azienda californiana leader mondiale nella costruzione di pelli per batteria e produttrice di innovativi strumenti a percussione. Insieme alla Remo progetta e lancia sul mercato mondiale il Tamburello Calabria e l’ibrido Pandurello. Numerose sono anche le masterclass in alcune sedi prestigiose, tra le quali la New York University, il Drummers Collective di NYC, California Institute of the Arts, Bennington College, Hofstra University, PH Heidelberg, i Conservatori di Trieste, Adria, Campobasso e Reggio Calabria.

Nasci in provincia di Reggio Calabria ed è lì che muovi i primi passi in ambito musicale, poi inizi a girare frequentando i corsi di batteristi e percussionisti molto quotati per affinare la tua tecnica esecutiva. La voglia di sperimentare ti spinge fino a Cuba, ma il richiamo della tua terra è troppo forte, così te ne torni in Calabria e il resto… è storia recente. Ha più pesato in questa tua scelta il cuore oppure la grande tradizione folcloristica/musicale che caratterizza i luoghi della tua infanzia?

È stata una scelta di cuore. Lasciare Roma, verso la fine del 2008, la mia “seconda casa” che mi ha dato tutti gli strumenti necessari per intraprendere la mia carriera da musicista, insieme ai tanti amici, non è stato facile. In quel periodo la mia famiglia aveva bisogno del mio supporto e sono rientrato. Dopo qualche anno di assestamento ho pensato che anche da Locri si può fare qualcosa di buono, perciò ho iniziato a puntare su me stesso e proprio in questo momento, le mie radici, la mia tradizione hanno avuto un ruolo importante.

Sul tuo curriculum figurano collaborazioni con QuartAumentata, Massimo Ranieri, Niccolò Fabi, Simone Cristicchi, Paola Turci, Eugenio Bennato, Pilar, Tony Bungaro, Marco Zurzolo, Lucilla Galeazzi e Elisabeth Cutler. Quale di questi professionisti ha maggiormente segnato il tuo percorso artistico?

Sembra banale dirlo, ma, per svariati motivi, ognuno di loro mi ha regalato, inconsapevolmente, qualcosa che porto sempre nella mia valigia immaginaria, quella dell’esperienza. Attraverso le prove, i concerti, i viaggi, il tempo passato insieme, tutto quello che vivi ti rimane sulla pelle. Un immenso tesoro artistico e di vita che non può essere disperso. Per quanto mi riguarda, inoltre, con alcuni, ho instaurato un legame che va oltre la musica ed oggi è ancora vivo.

ABC del Tamburello Tradizionale CalabreseDella bravura come musicista parlano le collaborazioni sopracitate, non si suona per caso con personaggi di quel calibro, adesso però descrivici il libro che hai appena pubblicato “ABC del Tamburello Tradizionale Calabrese di Massimo Cusato”.

Questa è una doppia scommessa personale ed editoriale che mi rende orgoglioso. È un manuale in cui, attraverso il tamburello, racconto la mia terra dal Monte Pollino fino all’Aspromonte. Il primo capitolo è un viaggio nella tradizione. Parlo delle feste tradizionali più importanti che ci sono nelle ex 5 province (voglio ricordarle così perché mi piace pensare in analogico). Attraverso gli usi e i costumi, le processioni, le feste di paese racconto una Calabria, fortunatamente, ancora oggi viva e vegeta e, il timone di questo viaggio, non può che non essere il tamburello. Strumento ricco di storia e di aneddoti. Il secondo capitolo, invece, è prettamente didattico. Con 50 foto, didascalie e partiture con cui conduco il lettore, passo dopo passo, a suonare i ritmi della tradizione calabrese. In questo volume ho cercato di dare tutte quelle informazioni che fino a novembre 2020 erano tramandate oralmente. È questa la dimensione che deve vivere la musica tradizionale. Mantenere e tramandare le cose del passato assumee un sapore diverso. Il libro è solo una testimonianza per far sì che le generazioni future possano avere qualcosa in mano per informarsi o prendere spunto. Mi auguro che il mio sia uno di una lunga serie dedicato al nostro tamburello e spero che altri miei colleghi possano dare anche loro un contributo a questo meraviglioso strumento.

Cosa ha di speciale il tamburello calabrese? Che tipo di legni e pelli si usano per la costruzione e in quali contesti musicali è maggiormente indicato, o meglio, è uno strumento prettamente folkloristico oppure si adatta anche ad altre situazioni?

Il tamburello calabrese ha di speciale che, ancora dopo tanti anni, è vivo e risuona da Nord a Sud! Detto ciò, ci sono due aspetti da considerare. In situazioni di feste tradizionali, in cui i suonatori si ritrovano e iniziano a suonare spontaneamente, è molto apprezzato l’utilizzo di un tamburello tradizionale. La cornice è affidata al legno di faggio, legno flessibile e leggero, essenza che si trova in abbondanza in Aspromonte, mentre la pelle è quella di capra. I sonagli spesso sono ricavati dal fondo delle boatte di pomodoro o alimenti conservati in quel tipo di confezione. In situazioni dove invece i musicisti si esibiscono su un palco con attrezzature audio più sofisticate, e in cui la musica non è prettamente tradizionale, si preferiscono tamburelli accordabili con pelle sintetica e sonagli lavorati con dimensioni più piccole. Detto ciò non ci sono regole nell’utilizzo dei due tipi di tamburello, si tratta di gusto musicale personale e di un impatto sonoro che ogni singolo suonatore vuole dare alla propria band. Concludo dicendo che il tamburello “moderno” ha una versatilità maggiore e lo puoi utilizzare in più contesti o stili musicali, ma se parliamo di suono tradizionale la versione “artigianale” è il top.

I giovani? Qual è il rapporto, in Calabria, tra le nuove generazioni e la tradizione?

È fantastico. In questi ultimi anni, per via di una riscoperta delle nostre tradizioni e per l’abbondanza di tanti gruppi musicali, tantissimi ragazzi si sono avvicinati agli strumenti tradizionali. Molto spesso, anche per puro divertimento o momento di condivisione, puoi trovare, soprattutto nei paesini, gruppi di ragazzi che improvvisano una tarantella o meglio “U Sonu a Ballu”, così nessuno storce il naso. L’unico appunto che faccio alle nuove generazioni è quello che, insieme alla musica tradizionale, dovrebbero ampliare le proprie conoscenze musicali, ascoltando vari generi. Cibare la mente è fondamentale quanto appagare “la pancia”!

Parlaci del domani… Come vedi il futuro (musicale) post pandemia?

Mi auguro con tutto il cuore di sbagliare, ma non vedo un futuro positivo o meglio non ritengo che ci saranno grossi cambiamenti a tutela dei lavoratori dello spettacolo. Questa pandemia ha messo in evidenza un problema strutturale enorme che tutta la categoria porta con sè da decenni.

 

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