Era l’ultima settimana di un luglio di mezzo secolo fa quando Amilcare Rambaldi, cittadino sanremese mai abbastanza celebrato, diede il la alla prima edizione della rassegna dedicata alla canzone d’autore. Nel frattempo il nostro paese (e, di conseguenza, la scena musicale) ha subìto notevoli trasformazioni sociopolitiche a cui la rassegna ha provato ad adeguarsi. Dopo alcuni anni in cui il disimpegno del Festival di Sanremo si era parzialmente intrufolato in una rassegna nata proprio per dare spazio ad un’ altra forma espressiva oggi, e nell’edizione precedente, abbiamo notato importanti segnali di discontinuità che fanno sperare in un ritorno all’ispirazione originale del succitato Amilcare.
Tre serate al Teatro Ariston, concerti pomeridiani nella Città Vecchia, presentazioni di libri e dibattiti hanno animato il weekend tra il 17 ed il 19 ottobre con la gustosa anteprima del concerto di Sighanda, accompagnata dall’Orchestra Sinfonica di Sanremo, nel Teatro del Casinò. Senza indugiare nella cronaca completa della “tre giorni” amerei porre l’accento sui momenti, a mio parere, più convincenti di questa 47° edizione.
La responsabilità di aprire la rassegna cantando “Lontano, lontano” è stata affidata a un Diodato che, seppur emozionato, ha ben interpretato il classico tenchiano cancellando il ricordo di terribili versioni come quella di Achille Lauro del 2019. Il cantante di origini pugliesi ha successivamente presentato “Che vita meravigliosa”, la nuova “Un atto di rivoluzione” e “La mia terra” (Targa Tenco come miglior canzone) che ha fatto da colonna sonora al film “Palazzina Laf”, premiata opera prima di Michele Riondino dedicata al malaffare legato alla gestione dell’Ilva di Taranto. Un miniset basato su un buon compromesso tra impegno sociale e gradevolezza musicale.
Altra performance interessante è stata quella di Simona Molinari, Targa Tenco come miglior interprete per “Hasta siempre Mercedes”, omaggio a Mercedes Sosa. Nota per la sua versatilità che le permette di passare dal pop sofisticato al jazz passando per la canzone d’autore ha saputo mettere voce e sensibilità al servizio di una vera icona della canzone popolare argentina e della lotta contro la brutale dittatura argentina. Nel gruppo che la accompagna si distingue la sapienza armonica del pianista Claudio Filippini, stimato jazzista.
Presente già nelle prime edizioni della rassegna, Mimmo Locasciulli ha confermato la sua vena poetica accompagnato dal figlio al contrabbasso e dal quartetto d’archi Pessoa che ha punteggiato ed arricchito le sue raffinate liriche. Momenti di emozione tra il pubblico alla scoperta che i loro strumenti sono stati costruiti dai detenuti del carcere di Opera (su indicazione di esperti liutai) usando il materiale recuperato da barche naufragate nel Mediterraneo: il miglior modo per trasformare il dolore in amore per l’umanità.
Il rap militante di Kento e l’appello a favore dei diritti del popolo palestinese da parte di due componenti del Grup Yorum in occasione del premio omonimo destinato a Toomaj Salehi, detenuto nelle carceri iraniane per il suo canto di protesta, hanno spostato il focus dalla musica all’impegno politico. Impegno che non è mai mancato all’argentina Teresa Parodi (Premio Tenco) militante ed ex ministro che, insieme a Tosca ha dimostrato l’assenza di confini tra artiste preparate e sensibili fino all’emozionante bis di “Gracias a la vida”. Il duetto tra Simone Cristicchi ed Amara, colmo di poesia e misticismo, è stato uno dei punti più alti di questa edizione dimostrando che non è necessario cercare il consenso ad ogni costo per poter essere apprezzati dal pubblico. L’interpretazione quasi medianica del repertorio del padre da parte di Filippo Graziani, il folk abruzzese con suggestioni blues di Setak, l’energia di Edoardo Bennato, l’understatement di Samuele Bersani, l’inno pacifista di Jurij Sevchuk e la storica fisarmonica del novantaquattrenne Gianni Coscia sono altri momenti da ricordare.
La speranza è che la convivenza tra ricerca musicale ed impegno politico proseguano come antidoto ad una scena musicale in cui il profitto ad ogni costo e l’approssimazione tecnica la fanno da padrone.