Chi (è) sarà di scena? Cronache del popolo della musica ai tempi del Coronavirus

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Anna RollandoLo scenario non andrebbe neppure raccontato, dato che ci siamo immersi completamente: tutti a casa, paura, sgomento, malcontento ma anche inventiva e buona volontà. E tante analisi dell’oggi, tanta ricerca di responsabilità e desiderio di soluzioni immediate, tanta paura del domani.
Ogni settore professionale trattiene il fiato in attesa di riprendere l’attività: qualcosa riapre, un po’ alla volta, e sappiamo tutti che niente sarà come prima, perché questo periodo ha creato tanti disagi, danni enormi, un senso di vuoto e di sconfitta.
Qualcuno si augura che il nostro domani sarà più attento alla Natura, che ci sta dimostrando, con sovrana nonchalance, che senza di noi sa benissimo come riappropriarsi in brevissimo tempo dei suoi equilibri.
O che saremo forse più attenti al Tempo, che abbiamo creduto infinito e eternamente disponibile nel modo distratto in cui lo abbiamo vissuto, mentre lo percepiamo ora diverso, lentissimo e fragile, ma tutto nostro.
O magari saremo più attenti all’Essere Umano, perché sappiamo di averne da tempo smarrito il centro e l’equilibrio, e sarebbe bene ritrovare il rispetto per noi e l’empatia verso gli altri.
Con un triste afflato di realismo devo dire invece che non penso che saremo migliori, “dopo”.
Saremo sempre gli stessi, un po’ più spaventati, un po’ più diffidenti, un po’ più soli.
Anche dopo l’11 settembre non è cambiato nulla, nonostante il dolore, la paura e le innumerevoli dichiarazioni di intenti: la storia potrebbe insegnare, ma l’umanità non impara, è un dato di fatto.
Tutti faranno, nei limiti del possibile, quello che facevano prima.
Ma qualcosa dobbiamo cambiare per forza: di certo non dobbiamo dimenticare i defunti e tutte le persone di buona volontà che, in ogni ambito, si impegnano per salvare vite e per arginare i danni sociali e sanitari, perché la loro memoria e il loro operato siano un monito per migliorare quanto ci rimane e quello che saremo da oggi in poi. Dovremo riflettere e ricostruire, e ritrovare coraggio.
Nel rispetto di tutto questo, che maggiormente e legittimamente occupa i nostri pensieri adesso, voglio però aprire una parentesi e non chiuderla affatto.
Con che cosa ci siamo aiutati in questo periodo buio, e con che cosa continueremo a farlo?
Cosa ci ha dato coraggio, o consolazione, o distrazione, o divertimento in questi giorni domestici? Chi si è subito dato da fare per mettere a disposizione energia e talento online inventando nuovi modi di condividere? Lo sapete, è ovvio: gli artisti e l’arte di ogni tipo.
“Se pensate che gli artisti siano inutili, provate a passare la quarantena senza musica, libri, film, poesia, teatro, pittura…”
Questo semplicissimo ma illuminante aforisma sta circolando e riscuotendo grande successo nei social, affollati come non mai in questi tempi di lockdown.
Nella quarantena ci stanno facendo compagnia i libri e i film, il teatro e la musica (e anche la gastronomia, sarei disonesta a dimenticarla…).
La Rete è piena di artisti che in modo volontario e gratuito hanno suonato dai balconi e nella tromba delle scale, che hanno messo a disposizione le loro performances dal salotto di casa in tuta da ginnastica, che leggono libri in diretta dalla cucina, propongono a tutti spettacoli teatrali e di danza registrati in passato sempre gratuitamente, tutorial per insegnare di tutto, concerti di gruppo montati con lo split screen… e così via, fino quasi all’infinito.
Ne abbiamo usufruito tutti, perché lo scopo era questo: condividere e incoraggiare, alzare il morale e indicare la strada della ripresa stimolando le energie positive in ciascuno di noi.
Tutto bellissimo, ma dopo?
Ci sarà una presa di coscienza di quanto è avvenuto, quando tutto sarà tornato ad una pseudo-normalità? O tutti esigeranno, ancora e di più, questo contributo gratuito dato che, “in fondo vi divertite”, e “se l’avete fatto prima potete farlo anche adesso”?
La gente si renderà conto dell’impegno dei tantissimi artisti che senza chiedere niente hanno messo in campo energie e competenze per farci passare – a tutti, anche a me- attimi, minuti e ore di sospensione dai pensieri?
Rispondo io per tutti: no, non credo.
Perché la memoria è corta e il ruolo degli artisti è delicato, e noi saremo gli ultimi a vedere riprendere le nostre attività, per innumerevoli motivi.
Provo a raccontare più dettagliatamente quello che sta accadendo nel mondo della musica.
I numeri sono scoraggianti: quella cui si sta assistendo nel mondo dello spettacolo è una fase di stallo che sta portando a grosse perdite in termini economici, oltre che a un’immobilità professionale di cui non si conosce in pieno la portata e soprattutto la durata. L’emergenza sanitaria sta danneggiando il settore della danza, della recitazione, della musica e delle arti tutte. Ci sono centinaia di migliaia di persone legate al mondo dello spettacolo che in Italia non stanno lavorando, e dei quali si parla poco o per niente, e del cui destino non ci si cura.
Ad esempio, per citare un ambito che in molti conosceranno, tutto il mondo dei promotori di eventi, dai più piccoli ai più grandi, vive questo tempo con grandissima preoccupazione non sapendo se e quando si potrà ripartire. Gli organizzatori di Lucca Summer Festival, Pistoia Blues, Umbria Jazz, (solo per fare alcuni nomi noti) ma anche chi, nel piccolo e in tutta la penisola, gestisce i cartelloni delle numerose manifestazioni artistiche estive, spesso portate avanti con poco denaro e tanti sacrifici, stanno ‘tra color che sono sospesi’ in attesa di capire come muoversi e nella speranza di salvare qualcosa. Ma sappiamo che non sarà così. Alla data del 3 aprile, il settore aveva già perso circa 40 milioni di euro, senza contare la filiera. Secondo le stime di Assomusica – l’associazione degli organizzatori e dei produttori di spettacoli di musica dal vivo – a fine maggio saranno in totale 4.200 gli eventi saltati, che comporteranno 63 milioni di perdite in poco più di due mesi per il solo settore dei concerti dal vivo, a cui si aggiungono le perdite legate all’indotto che si stimano in non meno di 130 milioni di euro. Oltre ai grandi nomi della musica e dello spettacolo, dei quali qui non mi voglio occupare, sono incalcolabili i danni subiti dai piccoli imprenditori, dai numerosi Circoli Arci e dalle Associazioni Culturali presenti su tutto il territorio nazionale, i tantissimi Festival di Teatro, Danza e Lirica che organizzano instancabilmente tour, manifestazioni ed eventi estivi dando lavoro a migliaia di persone.
Portando un altro esempio, tutti i contratti nei Teatri sono stati risolti per causa di forza maggiore, e non solo per le produzioni da iniziare, ma anche per quelle che erano in corso, talvolta senza alcun pagamento neanche per il lavoro preparatorio svolto. Si pensa sempre alla lirica come a un mondo dorato, e senza dubbio ci sono alcuni aspetti che lo confermano, se ne potrebbe discutere ampiamente, ma nella realtà è un mondo variegato formato da tantissimi lavoratori.
Tantissimi professionisti meno visibili, musicisti, cantanti, ma anche scenografi, costumisti, truccatori, tecnici del suono e delle luci, sarte, coreografi, direttori di palcoscenico, attrezzisti etc…, lavoratori con contratto a tempo determinato, con poche tutele e poca visibilità, che sono rimasti disoccupati di colpo e non hanno idea di quanto dovranno aspettare per riprendere una qualche forma di attività. E adesso i grandi teatri, che hanno messo i dipendenti in cassa integrazione, devono fare i conti non solo con i mancati incassi della stagione invernale, ma con le rassegne estive che salteranno quasi sicuramente. Il teatro La Fenice ha stimato perdite per 7 o 8 milioni, l’Opera di Roma per 4,4 milioni, il Regio di Torino fino ad oggi ne ha persi 1,5.
Alcuni Teatri si sono attivati con la proposta di repliche gratuite di spettacoli online: prima il web era uno spazio in cui si cercavano informazioni, adesso è diventato un luogo reale in cui ci si sofferma per ascoltare un concerto o seguire una diretta. Ma è soltanto un palliativo, il tentativo di mantenere un contatto con il proprio pubblico, per ricordare a tutti che l’arte continua a fare compagnia in qualunque modo. Ma certamente non è, almeno in questa forma, una possibilità professionale da considerare per il futuro.
Ci si potrebbe forse ispirare all’esperienza, virtuosa e ben precedente nel tempo a questo periodo di pandemia, del Digital Concert Hall, ben conosciuta dagli appassionati di musica classica di tutto il mondo: una vera e propria sala da concerti digitale dei Berliner Philharmoniker, una delle orchestre più prestigiose del pianeta. Si tratta di un servizio a pagamento di grande successo messo in opera già da anni dai Berliner, un vero e proprio centro di produzione audio e video, con attrezzature di ultima generazione distribuiti nelle loro sale da concerto, e che realizza due tipi di servizi: trasmissioni in diretta streaming dei principali concerti e archiviazione. E proprio nell’archivio della Digital Concert Hall gli utenti hanno modo di selezionare e godersi in differita centinaia di concerti di altissima qualità, registrati non solo alla Philarmonie ma anche durante le tournée e con la collaborazione di ospiti prestigiosi. Un esperimento interessante che ha riscosso grande successo e che ha tantissimi abbonati da tutto il mondo: potremo imparare qualcosa da questa esperienza virtuosa, ma non possiamo limitarci a questo, chiudendoci nel castello d’avorio della Rete.
I ragazzi sono più abituati a questo tipo di fruizione, non hanno difficoltà a seguire i propri beniamini in rete e a considerare soddisfacenti le performances digitali: ma chissà se davvero questa sarà la frontiera verso cui siamo diretti. Non sono certa di volermelo augurare: a mio personale avviso il web è un luogo ricchissimo di possibilità ma pur sempre un surrogato, e niente uguaglia la partecipazione dal vivo a qualunque evento musicale.
Così come le lezioni online: tutte le scuole di musica – innumerevoli e preziose, disseminate capillarmente in tutta Italia –di colpo hanno fermato le attività di insegnamento di strumento e di canto. Un danno gravissimo a piccole e fragili gestioni, spesso di associazioni culturali, che si sforzano orgogliosamente di diffondere la musica a tutti i livelli, ora che i Conservatori hanno la stessa struttura delle Università. Come tanti altri docenti colti alla sprovvista, gli insegnanti di strumento musicale hanno cercato immediatamente di reinventarsi una momentanea didattica online con tutti i mezzi a disposizione: stimolante, spesso innovativa per i dispositivi utilizzati, ma senza dubbio un palliativo temporaneo che non può in nessun modo reggere il confronto con la classica lezione frontale, dove allievo e insegnante sono davvero a contatto. Come si può insegnare la qualità del suono, la bellezza e precisione di un gesto, la tecnica dell’emissione del fiato e della voce guardandosi da un monitor? Meno male che abbiamo avuto questa possibilità, lo riconosco, ma deve essere solo la soluzione di un breve periodo.

Sicuramente c’è bisogno che le istituzioni, italiane ed europee, si attivino con manovre importanti inserite nel contesto di tutto quanto va e andrà fatto per l’economia del Paese intero. E trovino un meccanismo che possa offrire un salario minimo garantito a tutti i lavoratori della filiera della musica, o qualche altra forma di ammortizzatore sociale, e magari un periodo di defiscalizzazione alle aziende del settore e la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati. O ancora il blocco dei mutui e dei leasing per chi ha acquistato location e tecnologie, e indennizzi alle imprese di spettacolo per i cali di fatturato, e misure di sostegno ai lavoratori ed alle cooperative, come decontribuzioni e detassazioni. O anche un drastico abbassamento dei compensi di tantissimi vip della musica e dello spettacolo, in ogni settore, che pontificano facilmente davanti alle telecamere sulla condizione della musica in Italia, ma che non hanno mai abbassato di un euro – né ora, né in passato – i loro cachet stratosferici a fronte delle difficoltà del loro entourage.
Sono tutte proposte di cui si sente parlare, che vengono chieste a gran voce e di cui si sta discutendo in vari contesti: il popolo della musica si sta muovendo e sta cercando visibilità e soluzioni, ma io non sono in grado, e non è questa la sede, di suggerire realistiche ed efficaci manovre economiche.
Dicevo che secondo me dovremo imparare a porci delle domande, e la prima domanda a mio avviso non è solo “quando”, ma anche “come”.
Quando si ripartirà bisognerà probabilmente immaginare un sistema completamente rimodulato sulle esigenze di distanziamento sociale e sulla nuova percezione degli spazi delle performances. Non solo quelle del pubblico, ma anche e soprattutto quelle degli artisti, anche se è facile immaginarsi come sul palco sia quasi impossibile farlo. Organizzare uno spettacolo tenendo conto delle distanze di sicurezza è irrealistico: pensate ai professori d’orchestra, seduti vicini nei leggii o addirittura in buca sotto il palco, e maggiormente agli strumentisti a fiato. Oltretutto dietro le quinte c’è una grande quantità di costumisti, tecnici, truccatori, macchinisti, comparse, coristi, runners e moltissime altre figure professionali di tanti tipi, ed è impensabile che stiano a un metro di distanza l’uno dall’altro.
Ci sono ancora tanti soggetti che non ho nominato ma che non per questo vanno dimenticati: i costruttori di strumenti musicali, gli editori di musica, le case discografiche, le sale prova, le sale di registrazione, gli organizzatori di eventi di tutti i tipi, dai matrimoni ai meetings internazionali.
Una filiera complicata e variegata, differente per la quantità di denaro che smuove e per visibilità, ma enorme e, soprattutto, adesso inerte.
E, lo ripeto, sono quasi tutte schiere di lavoratori invisibili, “a contratto”, che appaiono sui palcoscenici soltanto per il periodo della produzione dello spettacolo e poi tornano a casa, in attesa del prossimo ingaggio, oltretutto senza la certezza che quell’ingaggio arrivi e che adesso sono immobili, senza possibilità di cassa integrazione e senza prospettive per mesi.
Senza farci illusioni, sappiamo che ci vorrà molto tempo per riportare il pubblico ad assistere ad eventi dal vivo, senza contare che saranno in molti ad avere paura di affrontare i luoghi di aggregazione, e oltretutto ci saranno anche persone che non potranno permettersi di pagare i biglietti.
È centrale riflettere su come dovremo ricominciare per porre le basi di un nuovo scenario professionale.
Non abbiamo riferimenti forti, siamo una categoria sparpagliata e poco coesa da sempre, dispersa in mille rivoli e differenziazioni professionali, in cui ciascun settore si accapiglia per dimostrare le ragioni del proprio disappunto a dispetto di quello altrui.

Va detto che ogni tanto, e soprattutto in questo momento, si stanno affacciando realtà associative che sottolineano come l’arte e la musica nello specifico necessitino di una riflessione particolare e di una azione mirata e collaborativa. La già citata Assomusica, l’Imaie, tanti nuovi gruppi su Facebook o Instagram che cercano di far convergere musicisti e lavoratori dello spettacolo intorno ad un unico tavolo per lavorare insieme: ma anche se c’è l’impegno è ovvio che non sia facile, gli interessi sono complicati e diversi, le idee sparse e le proposte spesso poco percorribili.
La crisi del settore è gravissima e non vede una risoluzione a breve, l’abbiamo capito.
Non abbiamo letteratura in merito e l’unico precedente a cui possiamo fare riferimento e che forse ci suggerisce uno spiraglio è il secondo dopoguerra, quando alla riapertura dei teatri c’erano file di pubblico ovunque: una rinascita insperata, c’era bisogno di Bellezza, di divertimento, di arricchire l’anima o soltanto di spensieratezza dopo un periodo buio.
Anche stavolta, allora, anche se per fortuna non siamo reduci da una guerra, dovremo farci molte domande e essere coraggiosi e onesti nelle risposte e nelle riflessioni conseguenti.
Anch’io voglio fare una riflessione, ed è questa: è fondamentale trovare al più presto misure risolutive da parte degli organismi preposti, che non possono lasciare ridurre alla fame centinaia di migliaia di persone.
Ma è altrettanto importante che da questo momento terribile ne usciamo tutti insieme, responsabilmente. Gli aiuti dello Stato e dell’Europa saranno fondamentali, ma la musica, e l’arte tutta, non hanno senso senza il vero carburante che la muove: il pubblico e le idee.
Per ricominciare ci vorranno nuove idee, nuovi linguaggi, nuove fascinazioni per riportare il pubblico davanti ai palcoscenici. Questo l’impegno degli artisti verso il pubblico.
Ma il pubblico siamo tutti noi.
Senza retorica, ricordiamoci che siamo l’Italia dell’Arte che ci rende famosi nel mondo da sempre e ovunque. Migliaia di turisti ogni giorno vengono da noi per ammirare i nostri capolavori, e tutto il mondo si ispira alla nostra cultura e tenta di copiarla.
L’Arte muove il mondo perché muove l’anima della gente, ora lo sappiamo meglio di prima perché l’abbiamo sperimentato nel silenzio delle nostre case, e muove fortemente anche l’economia, ormai anche questo è chiaro a tutti.
Non dobbiamo snobbare o temere le parole Arte e Cultura: ci appartengono più di quanto crediamo, sono nel nostro Dna, plasmano i nostri pensieri e i nostri ricordi, sono nella vita di tutti i giorni e nelle nostre esperienze dall’infanzia fino alla vecchiaia. Siamo noi.
Lo sforzo sarà grande per tutti: abbiamo subito un tracollo economico e per ciascuno il percorso sarà necessariamente differente.
Ma investiamo per quanto possiamo sulle cose di valore, in generale: inferiori nel numero, magari, ma preziose per noi stessi. Diventiamo, tutti, spettatori attivi dell’Arte che ci circonda e non solo fruitori passivi di contenuti già preconfezionati.
Usciamone tutti insieme, affolliamo teatri e mostre, leggiamo libri e diventiamo curiosi di quel mondo favoloso che è quanto secoli di pensatori hanno creato e continuano a creare.
Non è difficile, queste giornate di clausura ce l’hanno mostrato: ci piace ascoltare musicisti che prima non avremo mai considerato, abbiamo scoperto strumenti che non conoscevamo, ci siamo cimentati con tentativi artistici che non credevamo possibili. Oppure no, abbiamo continuato a seguire solo i nostri beniamini ma siamo consapevoli che la loro compagnia ci è stata fondamentale. Tutto questo fanno l’arte e la cultura, tutto questo siamo noi.
Quando torneremo a poterlo fare, impariamo a suonare lo strumento che avremmo tanto voluto studiare da piccoli, e che abbiamo sempre rimandato, o a ballare, a cantare, a recitare: abbiamo capito che il Tempo è un regalo nuovo, e quello che abbiamo è solo qui e adesso.
Scegliamo di ascoltare e vedere spettacoli dal vivo, quando sarà possibile: ci sarà chi andrà alla Scala, chi nelle chiese, nei locali, negli stadi e nelle piazze, per sostenere e applaudire quegli artisti, grandi e piccoli, che si sono prodigati per rendere accettabile o addirittura piacevole questo periodo buio e che finalmente potranno tornare a farlo dal vivo.
L’eccezionalità di tutti gli spettacoli in forma gratuita che la quarantena ha prodotto non deve far sedimentare il pensiero che gli artisti non meritino di essere pagati perché “tanto si divertono”: sarebbe, questo, un discorso molto complesso e articolato che varrebbe una trattazione a parte, ma che di sicuro non deve abitare nemmeno il retropensiero di qualcuno.
La musica (e le arti) richiedono fatica, applicazione, studio e investimenti e offrono benefici a tutti: riconosciamoli e decidiamo di fruirne di più.
Libri, strumenti, dischi, cinema, teatro, concerti, scuole di musica e di arte varia: muoviamo la testa, il cuore e l’anima.
Saremo migliori e avremo contribuito – tutti – a far tornare il nostro Paese in forze e l’Essere Umano, nella sua accezione migliore, al centro del nostro pensiero.
C’è bisogno di Bellezza: lo diceva Dostoevskij e io lo ripeto sempre. Ma stavolta è diverso, stavolta lo scenario è del tutto nuovo: dobbiamo rimboccarci le maniche e pensare a fare davvero qualcosa di nuovo perché stavolta la Bellezza, da sola, NON ci salverà. Soprattutto da noi stessi.

 

Anna Rollando è violista, diplomata al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, e autrice di saggi sul mondo della musica. Recentemente, ha pubblicato Applaudire con i piedi, e Applaudire con i piedi 2, editi entrambi da Graphofeel.