Come mare squarciato d’estate – Il futurismo musicale (sesta parte)
“COME MARE SQUARCIATO D’ESTATE”
Il futurismo musicale
(sesta parte)
Il 1913 non è solo l’anno di Russolo, ma anche quello di “Lacerba” e dei suoi ideatori. Mentre il pittore-musicista dà alle stampe L’arte dei rumori – quarto manifesto del futurismo musicale – enunciandovi il concetto di suono/rumore, mette in scena al Teatro Storchi di Modena, per la prima volta, un intonarumori, e scrive un testo sull’uso compositivo dell’enarmonìa, Giovanni Papini, scrittore, e Ardengo Soffici, scrittore e pittore, fondano a Firenze “Lacerba”, rivista di letteratura, arte e politica, che alla missione di operare un aggiornamento del gusto poetico e figurativo e accelerare il processo di ammodernamento della letteratura e dell’arte italiane, associa il gusto di spaventare il borghese con atteggiamenti estremi e, a volte, clowneschi, auspicando guerra e rivoluzione e propugnando un acceso nazionalismo con modi e parole decisamente futuristi.
È sulle pagine di “Lacerba” che Filippo Tommaso Marinetti pubblica il suo poema sulla battaglia di Adrianopoli (1912-1913) – alla quale aveva assistito come inviato del quotidiano francese “Gil Blas” – e al quale dà il titolo di Adrianopoli assedio orchestra. Qui, il poeta, si serve dell’onomatopea e di veri e propri “rumori” che sostituiscono le parole:
“Pungoli carri flic flac zing zing sciaack sciaack
Tre battaglioni bulgari in marcia croc-crac, croc crac
Sciumi Maritza o Karvavena vrrr brom brom
280 in arrivo chan tun-tun
149 in partenza tatatata
Croc-crac, croc-crac”
Poi, l’evento bellico assume le sembianze di un’orchestra futurista, una
“Immensa orchestra di guerra
Gonfiarsi sotto una nota di silenzio
Tenuta nell’alto cielo”
e con timpani, flauti, clarini, i professori d’orchestra suonano grandi fragori.
Marinetti tornerà a scrivere di musica sulle pagine di “Lacerba”. Sul numero del 13 ottobre di quello stesso anno esce Il teatro di varietà – Manifesto futurista, nel quale propugna di vivificare le opere dei più celebrati compositori inserendovi canzonette napoletane o eseguendo le loro sinfonie a rovescio, mentre in quello del 15 gennaio 1914, a far da bersaglio alle sue invettive sono il tango e Wagner. Sul ballo argentino le parole di Marinetti sono particolarmente inique. Per lui, si tratta di un dondolio epidemico che “minaccia di imputridire tutte le razze […], miniatura delle angosce sessuali […], mimica del coito per cinematografo, valzer masturbato […]” e via dicendo. Ma Wagner è un nemico assai peggiore. Gli strali marinettiani si concentrano sul compositore romantico la cui musica è “cattiva digestione e alito pesante delle vergini quarantenni […], russare d’organi ubbriachi e sdraiati nel vomito dei leitmotivs amari […]” e, soprattutto, quel che è peggio per un futurista: “Passatismo!”. Tuttavia, occorre ricordarlo, non tutti i futuristi esprimono un giudizio negativo su Wagner. Francesco Balilla Pratella, per esempio, lo definisce “sublime genio” e il movimento fa proprie l’idea di Wagner dell’opera d’arte totale e quella secondo cui dietro la musica e il libretto di un’opera ci debba essere una sola mente creativa.
Un altro tema musicale sul quale le opinioni all’interno del gruppo futurista sono divergenti è il jazz. E a volte, addirittura, uno stesso futurista esprimerà, in periodi diversi, idee tra loro contrastanti. Ad occuparsi della musica afroamericana sono, soprattutto, Franco Casavola e Anton Giulio Bragaglia.
Compositore, allievo di Ottorino Respighi, Casavola (1891-1955) non è tra i membri della “vecchia guardia” del futurismo. Aderisce al movimento, infatti, solamente al termine del primo conflitto mondiale, diventandone, però, tra il 1920 e il 1927, uno degli esponenti più significativi. Scrive cinque manifesti del futurismo musicale ed è convinto della necessità di introdurre l’improvvisazione nell’insieme orchestrale, anche se, scrive nel manifesto La musica futurista (1924), “l’orchestra non deve essere composta da famiglie di strumenti, ma di individui, differenti gli uni dagli altri, nel carattere, nel timbro, nella espressione. L’estemporaneità, elemento germinale della musica, concepita come vera arte della eloquenza, libera la musica dalle forme e dai modi tradizionali”. Quale genere musicale, secondo Casavola, esprime meglio i postulati futuristi? “Il jazz-band rappresenta, oggi, l’attuazione pratica, sebbene incompleta, dei nostri principî” – prosegue Casavola nello stesso testo del 1924 – la individualità del canto dei suoi strumenti, che riuniscono per la prima volta elementi sonori di differente carattere; la persistenza dei suoi ritmi, decisi e necessari, costituiscono la base della musica futurista. Diamo a ciascuna voce, nel canto, una individualità libera, improvvisatrice: dall’insieme non prevedibile, nei rapporti improvvisi ed inimitabili, avrà vita il nuovo canto, ricco e profondo come l’anima della folla. La musica è soprattutto movimento. I nostri ritmi devono essere decisi, insistenti, di netto disegno”. Nel balletto Hop Frog, nel quale è presente il tipico schema ritmico del ragtime, Casavola sperimenta direttamente l’inserimento di elementi musicali provenienti dalla musica afroamericana. Il compositore sancisce, inoltre, una correlazione tra l’estetica della macchina e i ritmi del jazz, incappando, però, nella risoluta reazione di altri futuristi come Mario Carli, Emilio Settimelli e Anton Giulio Bragaglia, che considerano il jazz come un genere inferiore se non, addirittura, spregevole. Tra questi, il più avverso a quei suoni provenienti dall’America è Anton Giulio Bragaglia (1890-1960). Nel 1906, inizia la sua carriera nel mondo del cinema, ma è interessato anche allo studio dell’archeologia e alla sperimentazione nel campo della fotografia.
È tra gli adepti della prima ora al movimento futurista e le sue ricerche si estendono anche alle trasposizioni visive della musica. Nel Manifesto (1919) che dedica all’argomento, scritto con Sebastiano Arturo Luciani (compositore, musicologo e critico cinematografico) e Franco Casavola, definisce la “sinopsia” come “la relazione scenica dell’idea dominante ed essenziale di un brano di musica. […] La visione deve sintetizzare mediante forme, luci, colori, lo stato d’animo che la musica ha già determinato nell’ascoltatore”. Stupisce non poco, dunque, che un intellettuale di così ampie e prospettiche vedute mostri tutta la propria cecità e ignoranza di fronte al jazz. Dovute anche, ça va sans dire, al momento storico-politico che l’Italia sta vivendo allora. È il 1929, e Bragaglia ha bisogno di accattivarsi le simpatie del Duce per ottenere finanziamenti alle proprie attività culturali e, come sostiene Adriano Mazzoletti in Il jazz in Italia dalle origini alle grandi orchestre (EDT, 2004), per fare carriera politica. Ecco, dunque, che pubblica Jazz Band, una raccolta di articoli – già apparsi altrove – sulla storia della musica afroamericana in Italia, frammisti a svariate riflessioni sul teatro e sulla danza, che mostra immediatamente l’adesione dell’autore ai pregiudizi razzisti e all’esasperato nazionalismo del regime fascista:
Ecco che cosa scrive Bragaglia nel capitolo “Prodezze”: “Musica ammattita e gambe storte, suoni fischianti, arrugginiti, urli di sirene e crepitare di motori, rauchi e assordanti, cui corrisponde la frenesia di un gestire corbellone e minchionato, avventuroso e truffaldino. Nel capitolo “Negrerie”, così prosegue Bragaglia: “Dovrebbe esistere anche un “genio negro” […], ma questa è una grave panzana, imperdonabile e odiosa. Come uomini, ci sia rispetto umano fra tutti, ma poi che debbano venire i negri a insegnarci cosa è arte o magari semplicemente cosa si deve fare come divertimento, questa è difficilmente accettata, se non già unanimemente respinta e deprecata. I sollazzi, i giochi e trattenimenti nostrani debbono respirare ben più alto. E nel music-hall, nel caffè-concerto, nel teatro d’attrazione o varietà, nei circhi e nelle rappresentazioni di ogni sorta, la negreria va respinta in nome del buon senso per lo meno. Le solite Black-Follies ci ammorbano, le sale da spettacoli ci avviliscono senza parere nell’atmosfera isteropilettoide che vengono a costruire, con i modi selvaggi prevalenti. È ora di piantarla colla pretesa di raddrizzare le gambe ai cani, cani-danzatori in ispecie; e in particolare di colore nero”. Bragaglia ripropone un immaginario che vede il nero come essere animalesco, incapace di frenare i peggiori istinti. Gli stessi luoghi comuni che certa stampa americana diffonde, già da anni, a ogni pie’ sospinto. Per esempio, il 20 giugno 1918, il quotidiano di New Orleans “Times-Picayune” aveva pubblicato un articolo che recitava così: “La musica jass è la storia sincopata e contrappuntata dell’impudicizia […]. Il jass offre un piacere sensuale più intenso di quello dei valzer viennesi […]. Sta a noi essere gli ultimi ad accettare queste sconcezze nell’ambito di un consorzio civile”. Con l’impeto polemico che esterna nelle pagine di Jazz band, Bragaglia vuole concorrere a dare vita ad una danza autenticamente italiana e, quindi, fascista. Il regime ringrazia e, nel giro di poco tempo, il regista viene nominato segretario del Comitato Nazionale scenotecnici in seno alla Confederazione fascista professionisti e tecnici, nonché direttore del nuovo Teatro delle Arti di Roma.
Occorre sottolineare che i futuristi, pur parlando – bene o male -di jazz, ne hanno assai scarsa cognizione ed esperienza. La musica afroamericana raggiunge presto l’Europa, ma non l’Italia. Gli artisti americani che arrivano nel nostro Paese sono rarissimi e il commercio di spartiti e dischi d’oltreoceano è del tutto trascurabile. Ciò che i futuristi scambiano per jazz sono, in realtà, balli che hanno solamente pochi elementi mutuati dalla cultura afroamericana: one-step, foxtrot, two-step, shymmy e charleston, che furoreggia in Francia grazie al mito di Josephine Baker, icona nera assai sgradita al regime fascista. E, ancor più, sarà sgradita ai nazisti che occuperanno la Francia a partire dal 1940. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, Josephine Baker ricoprirà, infatti, un ruolo importante nel controspionaggio della Francia Libera, mentre nel dopoguerra metterà la sua grande popolarità al servizio della lotta contro il razzismo e a favore dell’emancipazione dei neri.
PER APPROFONDIRE
BIBLIOGRAFIA
DE LISO, Giuseppe, Franco Casavola e il futurismo pugliese cinquant’anni dopo, Firenze, Atheneum, 2008.
LANGELLA, Giuseppe, L’utopia nella storia. Uomini e riviste del Novecento, Roma, Studium, 2003.
LISTA, Giovanni, Futurismo e fotografia, Milano, Edizioni Multhipla, 1979.
MARINETTI, Filippo Tommaso, Teoria e invenzione futurista, Milano, Mondadori, 1990
MAZZOLETTI, Adriano, Il jazz in Italia dalle origini alle grandi orchestre, Torino, EDT, 2004.
SEBASTIANI, Grazia, Franco Casavola e la sua musica tra futurismo e tradizione, Modugno, Edizioni dal Sud, 1996.
VERDONE, Mario, Anton Giulio Bragaglia, Roma, Edizioni di Bianco e Nero, 1965.
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