Feeling e dialogo con gli altri musicisti per coinvolgere il pubblico

Questi gli elementi indispensabili nell’idea di musica del fisarmonicista Thomas Sinigaglia

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Thomas Sinigaglia (PH Roberto Cifarelli)Thomas Sinigaglia è un puro talento della fisarmonica. Particolarmente predisposto ad affrontare svariati generi musicali senza mai farsi condizionare da etichette stilistiche, costantemente alla ricerca di una sua “voce” personale, riconoscibile, Sinigaglia punta tutto sull’interplay con i suoi partner musicali, peculiarità di vitale importanza per tenere alto il livello di attenzione del pubblico nell’ascolto. Il fisarmonicista fa un excursus sul lato personale e artistico raccontando il suo vissuto professionale fino a questo momento della carriera.

Oltre a una ricca formazione accademica, grazie al tuo talento, hai vinto svariati concorsi nazionali e internazionali per fisarmonica. C’è un concorso, fra questi, che ha segnato maggiormente la tua crescita artistica?

A dire il vero non so se un concorso, più di un altro, mi ha permesso di crescere artisticamente. Sono stati tutti importanti, fatti in momenti diversi della mia vita e, soprattutto, con programmi diversi. Sicuramente, i primi, li affrontavo con più ansia e timidezza, sempre con l’angoscia di non deludere, ma col tempo ho capito che mi sarebbero serviti soltanto per fare il punto della mia evoluzione artistica, per sapere in quale direzione lavorare e migliorare. Su quest’ultima considerazione, devo dire che in molte occasioni ho incontrato dei giurati che mi hanno dato pareri e consigli in modo schietto e da veri maestri, di quelli che, con due parole, ti aprono la mente e ti cambiano la visione delle cose. Tra tutti i concorsi a cui ho partecipato ricordo con una certa tenerezza il primo, a nove anni, quello in cui, oltre al brano d’obbligo, suonai uno swing. Ci pensai solo molti anni dopo: già a quell’età volevo suonare jazz e improvvisare.

Suoni regolarmente in diverse formazioni, soprattutto in ambito jazzistico. Ma da qualche anno ti stai dedicando, in particolare, alla dimensione del duo. In questo tipo di formazione, credi che l’interplay e il feeling siano più facilmente raggiungibili?

Probabilmente sì. Le piccole formazioni regalano sempre uno spazio maggiore per poter esprimersi, sia durante il proprio solo, sia durante l’accompagnamento degli altri solisti. Quindi, proprio in virtù di questo spazio, c’è una grande possibilità di interazione. Con più strumenti, quasi sempre i ruoli sono più definiti e gli spazi più delimitati. La cosa più importante, comunque, rimane mantenere alto il livello di ascolto, indispensabile per trovare un buon feeling e dialogare con gli altri musicisti, per divertirsi e far divertire appunto chi ascolta. Inoltre, le formazioni più piccole mi pongono sempre dinnanzi a notevoli sfide e mi danno molti stimoli per cercare un modo di suonare più personale.

Focalizzando l’attenzione sul repertorio, oltre al jazz, spazi con naturalezza dal tango argentino alla musica colta, fino ad arrivare al cantautorato. Questo eclettismo stilistico che ti contraddistingue è figlio di una curiosità musicale sempre viva?

Da sempre ascolto la musica senza considerare a quale genere o categoria potrebbe appartenere. Questo mi permette di non precludermi una grande varietà di brani, potendo così trovare sempre qualcosa di nuovo e di stimolante per arricchire il mio linguaggio musicale, tanto nell’esecuzione, quanto nella composizione. In qualsiasi musica da cui mi sento attratto, trovo molti elementi curiosi che mi affascinano e che talvolta mi mettono in gioco a livello tecnico o sul piano creativo. Composizione a parte, è sicuramente nell’improvvisazione che riesco maggiormente ad esprimere le mie idee, ad essere me stesso. Ma pur rispettando il contesto musicale, il brano e l’autore, faccio in modo di trovare il mio spazio, aggiungendo la mia personalità e dando il mio personale contributo, anche in quella musica che non lo prevede.

Thomas Sinigaglia (PH Marco Corbellari)A proposito della tua poliedricità, sei molto attivo anche in ambito teatrale in qualità di musicista di scena, compositore e arrangiatore. Il teatro è un’altra dimensione che ti appaga pienamente dal punto di vista artistico?

Come si sa, la musica è un’arte del tempo. Esiste perché esiste il tempo ed è necessario per tutti gli aspetti che la compongono. Questo vuol dire che ha delle sue esigenze temporali. Il teatro ne ha delle altre, proprie della recitazione e forti di un testo. Quindi, dal mio punto di vista, è un altro modo di fare musica. A volte​ quello che vorrei fare musicalmente in scena non corrisponde a quello che richiede la regia, ma è del tutto naturale, succede tra due linguaggi diversi. Non per questo è meno interessante, anzi, a volte trovo delle chiavi di lettura molto diverse da quelle che normalmente troverei nel contesto musicale “tradizionale”, quindi la loro interpretazione può diventare quasi un gioco. Diversamente, quando scrivo per la danza o sonorizzo dei film muti, che pure hanno dei tempi propri, percepisco un maggiore grado di libertà musicale ed espressiva, non vincolata ad un testo, ma solo a delle immagini.

Guardando al tuo strumento, quale modello di fisarmonica utilizzi in studio di registrazione e nei live?

Da anni utilizzo sempre lo stesso strumento: una Victoria A420V, a piano 41 tasti – 4 voci, 2C/2 e 120 bassi standard – 5 voci per quasi tutti i progetti, sia in studio di registrazione che nei live. Ho un sistema di amplificazione interna Sennheiser che mi soddisfa molto e mi restituisce con fedeltà il suono che lo strumento ha in acustico. È la fisarmonica a cui sono legatissimo, con cui ho passato buona parte della mia vita, con il mio suono. Per pochi altri progetti, dove è richiesta la musette, uso invece una Lucchini di vecchia fabbricazione.

Cosa bolle nella tua pentola musicale da qui al termine dell’estate?

I progetti sono sempre tanti e, per me, tutti ugualmente interessanti e creativi. I principali live saranno con il trombonista Mauro Ottolini e il chitarrista Marco Bianchi, con i quali abbiamo registrato da poco il disco che uscirà quest’anno. Un progetto molto stimolante, affascinante per la scelta delle musiche e per la forte interazione che abbiamo in trio. Altri concerti, invece, saranno in duo con il flautista Stefano Benini, un sodalizio che dura da anni, in cui affrontiamo il jazz “puro”. Non mancheranno le occasioni di fare dei live in “Solo”, una dimensione che vivo sempre con piacere come momento di riflessione personale e di sfida, che mi permette di spaziare molto nel repertorio. Poi, il duo con Samanta Chieffallo, pianista classica con cui affronto una scaletta che abbraccia tango e mie composizioni, tra cui Il Fregio della Vita, una suite per fisarmonica e orchestra d’archi liberamente ispirata alle opere del pittore norvegese Edward Munch che ho scritto qualche anno fa. Oltre a questi, continuo nelle mie collaborazioni con altri musicisti, attori e cantautori. Insomma, il rischio di annoiarsi direi che non c’è!

 

(Foto di Christian Miorandi, Roberto Cifarelli, Marco Corbellari)

 

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