Il più wagneriano della sua generazione
David Chandler, Raffaele Mellace, “Opera tra due mondi. Vita, musica e teatro di Italo Montemezzi”
Scorrendo il catalogo delle novità de il Saggiatore, il primo colpo d’occhio era caduto su un titolo, che, per il direttore di un giornale che opera da Spoleto, non poteva rimanere inosservato. Quel “tra due mondi” evocava immediatamente il Maestro Menotti e il suo Festival. In realtà, il libro è dedicato a un altro compositore transoceanico (ma vedremo che tra i due esiste qualche collegamento), poco noto al grande pubblico, Italo Montemezzi, che viene presentato a tutto tondo, consentendone, finalmente, la piena conoscenza sotto il profilo artistico e umano, con uno stile letterario che sfiora il romanzo, oltreché il saggio. Di Italo Montemezzi ho parlato con l’autore italiano del testo, Raffaele Mellace.
Professore, a che cosa si deve il suo interesse per Italo Montemezzi, un autore poco conosciuto dal grande pubblico (e, forse, anche da molti melomani) e altrettanto poco trattato dalla critica, almeno da quella odierna?
Si è trattato di una fortunata serie di circostanze. Esattamente vent’anni fa sono stato invitato a intervenire a un convegno su Gabriele d’Annunzio e la musica all’Accademia Chigiana di Siena. Mi è stato proposto di occuparmi della Nave, un’opera ambiziosa di Italo Montemezzi su libretto di Gabriele d’Annunzio, allestita alla Scala la sera del 3 novembre 1918 (in sala venne annunciata, durante gli intervalli, la presa di Trento e Trieste), che gli organizzatori del convegno, e segnatamente Adriana Guarnieri Corazzol, ritenevano meritasse un approfondimento. Il saggio che ho pubblicato negli atti di quel convegno senese, qualche anno dopo ha suggerito a David Chandler di contattarmi in occasione dell’esecuzione in forma di concerto della Nave, per la prima volta dal 1938, al Teatro Grattacielo di New York. Durante il Covid, Chandler mi ha poi proposto di realizzare insieme un suo sogno: la prima monografia dedicata a Montemezzi, sul quale nel frattempo stavo scrivendo anche la voce dell’edizione online del prestigioso dizionario tedesco MGG. Con Chandler abbiamo sottoposto il progetto all’editore più importante del settore, Oxford University Press, che, dopo averlo valutato attraverso esperti anonimi, ha accolto con entusiasmo la proposta. Altrettanto entusiasmo ha manifestato Luca Formenton, reduce dell’allestimento dell’Amore dei tre alla Scala nel 2023, che ci ha proposto di pubblicare, a sei mesi dall’uscita del libro a New York, la traduzione italiana per i tipi del Saggiatore.
Come ricordava poc’anzi, Il libro è stato scritto a quattro mani con il Prof. David Chandler. Come vi siete diviso il lavoro? Chi si è occupato di cosa?
Abbiamo condiviso in toto il progetto del libro, la struttura, l’apparato iconografico e le tante altre scelte che ci si trova ad affrontare nel realizzare un libro. Ciascuno di noi però ha dato il suo contributo in base alle proprie competenze. David Chandler, anglista, professore alla Doshisha University di Kyoto, grande esperto e collezionista di Montemezzi, si è incaricato soprattutto della parte storico-documentaria: ha realizzato per anni, nei cinque continenti, una ricerca approfondita attorno alla biografia di Montemezzi, al contesto storico-sociale in Italia e negli Stati Uniti, alla ricezione internazionale della musica di Montemezzi. Io come musicologo mi sono invece incaricato dell’analisi musicale di tutta la musica di Montemezzi giunta fino a noi, dagli esercizi come studente al Conservatorio di Milano, a tutte le sue sette opere (inclusa la prima, Bianca, inedita), ai lavori sinfonici, attraverso ricerche compiute sia all’Archivio Storico Ricordi a Milano che alla casa natale di Montemezzi a Vigasio. La discussione dei drammi e dei loro libretti è stata condotta invece a stretto contatto tra noi due. Abbiamo scritto entrambi in inglese e David Chandler, madrelingua inglese e anglista, ha conferito al testo, secondo una lodevole tradizione della pubblicistica anglosassone, un tono narrativo che ne ha reso scorrevole e piacevole la lettura.
Nell’edizione inglese del suo libro, nel titolo si fa spoiler circa un interrogativo posto invece, in quella italiana, nell’Introduzione: Italo Montemezzi fu “erede” di Verdi o di Puccini?
L’edizione inglese del libro porta effettivamente come titolo Succeeding Puccini, che si potrebbe tradurre all’incirca come “L’erede di Puccini”: una tesi provocatoria confermata dalla copertina di quell’edizione, che mostra su due piani diversi le foto ritratto di Montemezzi e Puccini. Il rapporto tra i due autori è una chiave decisiva per interpretare la vicenda di un autore della generazione di Montemezzi. Montemezzi ripercorse esattamente le tappe professionali e creative di Puccini a vent’anni di distanza. Una simmetria, quella tra le due carriere, che proseguì fino alla Nave, ma poi s’interruppe. Quando nel 1905 Casa Ricordi lo scritturò, all’indomani del successo della sua opera di debutto, Giovanni Gallurese, Montemezzi venne inserito tra le giovani leve che avrebbero potuto succedere al maestro, così come Puccini era succeduto a Verdi con la memorabile staffetta del 1893 tra Falstaff e Manon Lescaut. Come era avvenuto con Puccini, Montemezzi fu un “prodotto” di Giulio Ricordi, il formidabile talent scout che, ormai nei suoi ultimi anni, ne aveva intuito il grande potenziale, ma non visse abbastanza per godere del più grande successo di Montemezzi, L’amore dei tre re.
Nonostante la critica coeva favorevole e l’essere riuscito a varcare le soglie del Teatro alla Scala e dell’Atlantico con questa sua opera maggiore, diretta a New York da Toscanini, la carriera di Montemezzi si arenò. Perché?
A differenza di quanto avvenne con Puccini, che macinò un successo dopo l’altro, superò le difficoltà (per esempio il fiasco iniziale di Madama Butterfly) e individuò sempre strade nuove per la propria creatività, fino alla testamentaria Turandot, Montemezzi non riuscì a confermare l’affermazione internazionale dell’Amore dei tre re (1913) e la sua carriera di fatto implose. Remò contro un intreccio di circostanze di carattere storico, personale e artistico. La crisi della carriera di Montemezzi avvenne negli anni Venti: il nuovo titolo su cui puntava, La nave, era troppo legato al patriottismo della Grande Guerra e al pruriginoso testo dannunziano per poter circolare facilmente come una Bohème; i progetti operistici di quegli stessi anni naufragarono per indisponibilità o inadeguatezza dei libretti scelti; nell’Italia dell’epoca era andato crescendo il peso per la musica strumentale, mentre Montemezzi era rimasto fedele in termini esclusivi all’opera; la mancata adesione al fascismo non promosse il suo lavoro e la promulgazione delle leggi razziali lo spinse a lasciare l’Italia alla vigilia della guerra. Il compositore aveva infatti sposato un’americana di origini ebraiche e famiglia benestante, circostanza quest’ultima che lo privò dell’incentivo a comporre per vivere. Negli Stati Uniti, che frequentava regolarmente dal 1919 e dove si trasferì, veniva infatti osannato come l’autore di una delle opere più geniali della contemporaneità, L’amore dei tre re, vezzeggiato dalla stampa e dal mondo musicale, oltre che apprezzato anche come direttore: un trattamento onorifico che contribuì a tenerlo lontano dal tavolo di lavoro.
Sappiamo che Puccini conosceva, ed era interessato, al mondo musicale internazionale a lui contemporaneo. Verso chi era rivolta, musicalmente, l’attenzione di Montemezzi?
Montemezzi ambiva a realizzare un melodramma profondamente rinnovato. Fu tra i pionieri della cosiddetta Literaturoper, cioè di un’opera che mette in musica direttamente il testo di un dramma in prosa, senza la mediazione di un libretto, come fece con L’amore dei tre re. Il suo scopo era rendere il dramma attraverso una musica che aderisca come un guanto alla parola. Montemezzi dichiarò in un’intervista rivelatrice: “Non ho mai potuto costruire un pezzo lirico simmetrico che non fosse l’ineluttabile conseguenza della situazione drammatica che aveva inevitabilmente condotto fin lì. La melodia, ovviamente, sempre la melodia! Ma soltanto la melodia che si adatta logicamente alle urgenze del dramma”. Nel perseguire questo obiettivo Montemezzi fa ampio ricorso alle sue doti di sinfonista, in grado d’impiegare l’orchestra con straordinaria sensibilità e sottigliezza. Caratteristiche che ne fanno, come riconobbe già all’epoca Pizzetti, il “più wagneriano fra i più celebri operisti della sua generazione” in Italia. Un occhio a Wagner, ma anche uno a Verdi, perché la stringatezza e il ritmo drammatico delle opere di Montemezzi sono tutti italiani. Se ne accorsero subito pubblico e stampa negli Stati Uniti, che videro nell’Amore dei tre re “senza dubbio la più grande opera tragica italiana dai tempi dell’Otello di Verdi”.
Una domanda d’obbligo per un giornale che ha la propria sede a Spoleto. C’è qualche relazione tra Montemezzi e Gian Carlo Menotti, citato in coda al suo libro? Una curiosità che nasce anche dal richiamo ai “due mondi” presente nel titolo…
È vero, sia Montemezzi che Menotti sono decisamente esponenti dell’opera tra le due sponde dell’Atlantico. Tra i due musicisti, di cui non siamo riusciti ad appurare contatti diretti (che pure possono esserci benissimo stati), c’è anche qualcosa di specifico in comune. I due compositori sono stati infatti tra i primi a comporre opere scritte per la radio o trasmesse per la prima volta via etere. È il caso di The Old Maid and the Thief di Menotti, del 1939, e dell’Incantesimo di Montemezzi, che, benché non concepito appositamente come opera radiofonica, debuttò il 9 ottobre 1943, trasmesso dagli studi newyorkesi di Radio City della NBC. E fu soltanto dopo la morte del compositore, un decennio più tardi, che vide le scene.
Quanto – e dove – viene ancora eseguito Italo Montemezzi?
L’amore dei tre re continua a essere un titolo in repertorio, benché non sia facile osservarlo dall’Italia. Tra il 2000 e il 2023 l’opera è stata rappresentata in 18 allestimenti in Europa e nelle Americhe, per complessive ottantuno recite in otto Paesi diversi, ventinove delle quali negli Stati Uniti. In Italia ci sono stati solo due allestimenti, nel 2005 al Regio di Torino e nel 2023 alla Scala, il teatro dove l’opera aveva iniziato il suo percorso. Come per altri operisti a cavallo tra Otto e Novecento, Montemezzi è passato alla storia come l’autore di un’unica opera. Sono state infatti storicamente rare le occasioni di ascoltare gli altri titoli del compositore. E tuttavia gli ultimi anni fanno sperare in un’inversione di tendenza: L’incantesimo, grazie anche al suo formato ridotto, dal 2007 è stato ripreso due volte in forma scenica e altrettante in forma di concerto (è stato anche inciso e un allestimento è disponibile su YouTube), La nave è stata ripresa in forma di concerto a New York (registrazione live sempre su YouTube), mentre Bianca, l’opera inedita scritta all’indomani del diploma al Conservatorio di Milano e rimasta manoscritta tra le carte del compositore nella sua casa natale di Vigasio, nel Veronese, vivrà la sua prima assoluta il prossimo 8 maggio al Teatro Sociale di Rovigo. Insomma, non è impensabile che Montemezzi possa riprendere il posto che gli spetta nel grande affresco dell’opera italiana del primo Novecento: una storia molto più sfaccettata di quanto la narrazione corrente faccia credere. Una migliore conoscenza della sua figura, della sua musica e del contesto in cui vide la luce non potrà che contribuire a farlo apprezzare come merita.
Raffaele Mellace (Milano, 1969) insegna Storia della Musica all’Università di Genova. È consulente scientifico del Teatro alla Scala. Fra le sue pubblicazioni più recenti: Con moltissima passione. Ritratto di Giuseppe Verdi (2017), Il racconto della musica europea (2019), La voce di Bach (2022).
David Chandler (Elmswell, Suffolk, 1968) insegna alla Doshisha University di Kyoto. È specialista di letteratura britannica del periodo romantico e di teatro musicale britannico. Collezionista di Montemezzi, ha curato Essays on the Montemezzi-D’Annunzio «Nave» (2014) e Americans on Italo Montemezzi (2014).
David Chandler, Raffaele Mellace, Opera tra due mondi. Vita, musica e teatro di Italo Montemezzi
Editore: il Saggiatore, Milano
Anno di edizione: 2025
Pagine: 460, Ill., brossura, € 35,00
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