Nemo profeta in patria – Intervista a Romano Benetello

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Romano BenetelloClasse 1950, Romano Benetello può essere considerato uno dei trait d’union tra i fisarmonicisti “scuola dopoguerra” e quelli di nuova generazione. Interprete sopraffino e pluripremiato, il concertista e docente padovano ci dà la propria visione dell’attuale contesto musicale legato alla fisarmonica e agli ambienti didattici ad essa connessi.

Hai mosso i primi passi nel mondo della fisarmonica con il M° Leone Prandin per poi approdare nella “scuderia” del M° Elio Boschello. Trovi delle analogie tra quei sistemi di insegnamento e le metodologie che si utilizzano adesso?

In parte si, anche se oggi abbiamo insegnanti più preparati musicalmente e una conoscenza più approfondita dello strumento.

Che tipo di repertorio si eseguiva prima dell’avvento dei compositori dell’est Europa?

Per quanto riguarda il repertorio, si eseguivano brani di autori italiani: Felice Fugazza, Luciano Fancelli, Luigi Ferrari Trecate, Ettore Pozzoli, Vittorio Melocchi, Guido Farina, Franco Bignotto.

C’è un autore in particolare che prediligi?

Personalmente più di uno… Melocchi, Fugazza, Pozzoli.

Com’era l’ambiente dei concorsi? Sbirciando nel tuo curriculum ho visto che hai partecipato a numerose competizioni… C’era un notevole afflusso di concorrenti? Com’era il livello medio dei partecipanti?

All’epoca i concorsi erano soprattutto motivo di aggregazione e condivisione e l’affluenza era notevole. Molte le categorie e i premi, il livello era discreto.

Tra gli altri hai pure vinto il Trofeo Mondiale nel 1967 (cat. Junior) e nel 1972 (cat. Senior). Parlaci di quelle esperienze.

Del primo Trofeo, nel 1967, a Calais, in Francia, ho grandissimi ricordi, non solo per l’ambiente, ma soprattutto per aver conosciuto Richard Galliano che, ancora adesso, è un grande amico. Richard, in quell’occasione, vinse la categoria Senior e il secondo posto in classifica se lo aggiudicò mio fratello, Bruno Benetello. Un aneddoto che mi riconduce al secondo Trofeo, quello del 1972 a San Sebastian in Spagna, in aggiunta alla bella esperienza formativa, è il ricordo di una visita presso una scuola di musica, all’avanguardia sotto il profilo organizzativo, dove il direttore e insegnante di fisarmonica, dal proprio ufficio, con una sfilza di monitor, si collegava a turno con gli allievi rinchiusi in piccole stanze. Personalmente, penso sia fuori luogo questa tipologia di insegnamento poiché ritengo un valore aggiunto e indispensabile la presenza fisica dell’insegnante durante la lezione.

Qual è il tuo cavallo di battaglia? C’è un brano in particolare che per caratteristiche tecniche consiglieresti ai giovani fisarmonicisti in carriera?

Non ho cavalli di battaglia, ma consiglierei ai giovani di non sottovalutare brani come Tema e variazioni (Pozzoli), Valzer da concerto (Pozzoli), Danza fantastica (Pozzoli), Ballettomania (Melocchi) e Sonatina (Fugazza).

Romano BenetelloChe tipologia di strumento suoni? Hai studiato anche i bassi sciolti? E, se si, quale sistema?

Suono da sempre una mitica Super VI Scandalli, che ritengo la mia seconda pelle. Secondo me è uno dei migliori strumenti sia a livello fonico che meccanico, un’opera d’arte frutto anche dell’ingegno di Felice Fugazza e Gervasio Marcosignori. Io ho studiato i bassi sciolti sistema per quinte Victoria e sistema cromatico.

Sei stato membro del Quintetto di fisarmoniche “Accordion Ensemble” con Ivano Battiston, Francesco Visentin, Ivano Paterno e Bruno Benetello e, attualmente, ti esibisci con il “4×4 Four by Four accordions” con Gianfranco De Lazzari, Roberto Salvalaio e Roberto Rusalen. Fai concerti anche da solista? Viviamo in un Paese estremamente votato all’arte (per meriti acquisiti), ma a volte è molto più facile ottenere consensi fuori dai nostri confini nazionali… È così complicato fare il concertista in Italia?

Si, mi esibisco anche come solista, anche se raramente. Concordo con la definizione di Paese votato all’arte, ma, come sempre accade, nemo profeta in patria, poiché all’estero la cultura musicale degli artisti viene maggiormente considerata e apprezzata. In Italia, purtroppo, si dimentica facilmente chi, nel proprio piccolo, ha contribuito a far valorizzare la fisarmonica oltre lo stereotipo di strumento da genere popolare quale il “liscio”.

Hai insegnato a Treviso presso l’Accademia Musicale Antonio Vivaldi diretta dal M° Francesco Visentin… Come giudichi, oggi, il livello medio di preparazione degli insegnanti e quello dei giovani fisarmonicisti?

Purtroppo, da quattro anni, ovvero dalla prematura scomparsa di un grande insegnante, musicista ed amico quale il M° Francesco Visentin, ho smesso con l’insegnamento. Riguardo il livello di preparazione degli insegnanti, credo sia migliorato parecchio, ma non uniformemente. Vedo, invece, nei giovani fisarmonicisti, una preparazione musicale più completa.

La fisarmonica, uno strumento in forte ascesa, che riscuote sempre più consensi anche tra la massa di “disinformati” sempre pronti a rispolverarne le origini “popolari”. Senza scadere nella retorica, a tuo parere, dove si dovrebbe intervenire per favorirne l’approccio con le nuove generazioni?

A mio parere, purtroppo, le nuove generazioni, attratte dal progresso tecnologico, hanno dimenticato un valore essenziale come lo studio di uno strumento e i sacrifici da fare per raggiungere l’obiettivo musicale. Anche i genitori hanno una grande responsabilità al riguardo, troppo impegnati per seguire i figli e magari consigliare uno strumento per amico invece di un nuovo cellulare. Tornando alla fisarmonica, vorrei fare un appello alle aziende affinché inizino a costruire piccoli strumenti a prezzi accessibili per i bambini, non è importante quale sistema di bassi sciolti adottare, ciò che conta è la qualità del prodotto finale.