Tango senza bandoneon

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Tulio CarellaIl tango non è una danza. E neanche un genere musicale. Il tango è una cultura. Se proprio ne dovessimo andare a cercare gli elementi principali, essi sarebbero la musica, la danza, la poesia e il canto. Ma tanti altri potrebbero essere gli aspetti da affiancare a quelli già elencati, proprio perché ci troviamo di fronte ad una cultura. Facciamo alcuni esempi: i vari rituali relativi al tango, i locali dove lo si pratica e le loro caratteristiche, l’abbigliamento dei ballerini e dei musicisti, gli scritti sull’argomento, i database oggi esistenti sull’argomento, la grande presenza nella cinematografia, la geolocalizzazione delle sue manifestazioni, ecc… Il tango costituisce, dunque, un fenomeno culturale di rilievo. Cerchiamo di capire perché “di rilievo”: ha vita lunga (siamo ormai al secolo e mezzo di vita); ha avuto una diffusione internazionale, ma, al tempo stesso, le culture che se ne sono appropriate lo hanno contaminato e rigenerato conferendogli nuova energia; ad oggi, la sua fase creativa non si è affatto conclusa (anzi direi che è proprio in buona salute); ha generato figure (nel senso di persone) che si sono dedicate ad esso in modo professionale o semi-professionale, comunque con taglio specialistico, spesso motivate da grandissima passione. Una prima riflessione che vorrei fare riguarda un aspetto storico dello strumento musicale che più lo identifica (sia come immagine sonora, sia visiva): il bandoneon (in spagnolo, la lingua originale del Tango, “bandoneón”). Ventura Robustiano LynchSe proprio oggi non riusciamo a immaginare un Tango (che sia autentico, genuino) senza il suono del bandoneon, vale la pena ricordare che questo strumento non era presente nelle sue fasi gestazionali. Anzi, il bandoneon non ha fatto parte della storia del tango per un periodo quantificabile attorno ai venticinque-trenta anni. Periodo che fu necessario agli immigrati tedeschi per portare lo strumento musicale bandoneon in Argentina (e Uruguay) e poi per far innamorare i componenti della cosiddetta “orquesta típica” del suo suono. L’ingresso del bandoneon e lo sbarco del tango a Parigi prima, e in altre nazioni poi, ridonò un forte slancio al genere in un periodo di stanca. Un aspetto su cui tutti gli studiosi sono concordi, relativamente alla nascita del tango, è la sua localizzazione in una area ben precisa: l’estuario del Río de la Plata (estuario enorme, che, gradatamente, fa diventare il fiume mare e poi oceano). Ad Ovest, sul lato argentino, c’è Buenos Aires, a cui tutti riconoscono un ruolo di assoluto primo piano nella storia del Tango; a Est, sul versante uruguaiano, c’è Montevideo, città in cui il tango ha avuto un gradissimo sviluppo, ma comunque sempre tenuta nell’ombra dalla capitale argentina. Tanto per fare qualche esempio, è a Montevideo che Gerardo Matos Rodríguez ha scritto La cumparsita nel 1919 e sempre dall’Uruguay venivano Francisco Canaro (violinista e compositore), Enrique Saborido (pianista e compositore) e Horacio Ferrer (poeta divenuto famoso per la sua collaborazione con Astor Piazzolla). Si tende a voler collocare la data di nascita del tango nel 1880, data in cui Buenos Aires diventa la capitale politica dell’unificata Argentina, ma, probabilmente, il fenomeno culturale del tango aveva già scorto i propri prodromi. Cosa certa – che resterà un tratto caratteristico del tango in modo indelebile – è che ci troviamo di fronte ad un fenomeno urbano, che ha vissuto tutte le tappe più importanti della propria evoluzione in città, nelle due città (Buenos Aires e Montevideo) in particolare. El EntrerrianoUn altro elemento su cui tutti gli studiosi concordano è relativo al «carburante» utilizzato per accendere il motore del tango: l’immigrazione. Senza il grande flusso immigratorio, che attirò grandi masse nell’estuario del Río de la Plata, non sarebbe nato il tango. La gran parte dei migranti erano spagnoli e italiani, ma anche slavi, inglesi, tedeschi, ebrei; il loro primo approccio con l’America Latina fu inevitabilmente il porto, nello specifico i grandi porti di Buenos Aires e Montevideo in cui attraccavano le navi che avevano attraversato l’Atlantico. Da qui l’aggettivo porteño, aggettivo che ritornerà con frequenza nella storia del tango. Queste grandi masse, di origine diversa, avevano necessità di comunicare e di integrarsi. Uno dei mezzi di interconnessione culturale fu proprio il tango, che poteva oltrepassare la barriera delle differenze linguistiche. Ovviamente, gli immigrati avevano portato con sé i balli europei (valzer, mazurka, polka, ecc.); in loco, essi trovarono, però, un ritmo che avrebbe fornito un apporto determinante alla nascita del tango: la milonga. Altri contributi decisivi sarebbero giunti dall’Habanera (contaminata e incrociata con il cosiddetto tango andaluso), dal Candombe, di origine africana, e, in parte, anche dalla Zamacueca. Ma l’elemento su cui occorre porre maggiore attenzione è il fatto che, in questa fase di gestazione e di ibridazione tra tali diverse influenze, l’organico strumentale fosse alquanto lontano dalla nostra idea odierna di tango. Indicazioni chiare ci arrivano dal musicista, pittore e studioso di folklore argentino Ventura Robustiano Lynch, che nel suo Libro de canciones de la provincia de Buenos Aires del 1883 (che poi verrà rieditato come Folklore Bonarense) ci dice che la milonga – che era sostanzialmente già il tango – veniva suonata con la chitarra (con pettini di carta) assieme al flauto, l’arpa e il violino. Rosendo MendizabalQuesto organico fa pensare anche alla possibilità che i musicisti fossero itineranti: era dunque possibile un loro spostamento da un locale all’altro o da un contesto all’altro, magari anche all’aperto. Ma è un altro studioso, il poeta, scrittore, drammaturgo e giornalista argentino Tulio Carella ad aggiungere altri elementi, a dir poco sorprendenti. Nel suo libro Tango – mito y esencia, pubblicato per il Centro Editor de América Latina nel 1966, fa riferimento agli stessi strumenti elencati da Ventura Lynch aggiungendo “un flautino, a volte un basso di metallo, una fisarmonica, un armonio portatile (il classico a tre ottave) e in occasioni un mandolino o una baldosa; non c’è il pianoforte, perché il pianoforte è un oggetto di lusso”. Ricordiamo subito che la “baldosa” è un antico strumento musicale a corde di origine provenzale o spagnola. Ma, udite udite, qui è stato appena asserito che la fisarmonica faceva parte degli organici strumentali del tango prima dell’arrivo del bandoneon nell’area rioplatense. Dal punto di vista timbrico, assolutamente importante è anche il riferimento all’armonio, altro strumento appartenente alla famiglia delle ance libere, anch’esso portato dagli europei. Come si può facilmente dedurre, non è citata in alcun modo la voce umana. Non è ancora scoccata l’ora del Tango-canción, il tango cantato. El EntrerianoQuanto alla composizione ‘Tango’ più antica di cui si abbiano dati certi, i vari studiosi non riescono a individuare e fissare nulla che sia antecedente al 1897. Questa è la data in cui Rosendo Mendizábal compone El Entrerriano, brano rintracciabile in versione pianistica o chitarristica. Ma queste versioni non costituiscono se non una traccia delle vere esecuzioni dell’epoca. Non bisogna per di più farsi confondere dal fatto che il successo conseguito da questo Tango lo abbia fatto restare nel repertorio delle “orchestre tipiche” anche dopo l’ingresso in organico del pianoforte e del bandoneon. Si possono, quindi, trovare versioni di questo brano anche di grandi nomi come Juan D’Arienzo o Aníbal Troilo con le loro orchestre. Singolare risulta anche l’origine del nome del tango che fa riferimento al soggetto a cui è dedicato. Era usanza, infatti, non esistendo i compensi del diritto d’autore, che la dedica di un brano venisse ricompensata con dei soldi: è presumibile che Mendizábal abbia ricevuto alcuni pesos da un personaggio benestante originario di Entre Ríos (provincia del Nord-Est argentino). Ecco, l’uso dell’aggettivo “entrerriano” significa proveniente da Entre Ríos. Nell’immagine a fianco possiamo veder scritto nella copertina del brano “Al Señor Ricardo Segovia”.