Una nuova concezione della fisarmonica
L’obiettivo di divulgare lo strumento fuori dall’ambito prettamente fisarmonicistico
Paolo Vignani è un fisarmonicista di grande esperienza, attivissimo sia da concertista che in qualità di didatta. Da direttore d’orchestra e come solista, ha tenuto numerosissimi concerti in tutta Europa ottenendo sempre eccellenti riscontri e consensi. In questa chiacchierata racconta le sue esperienze più importanti e, soprattutto, espone il suo concetto e la sua visione sul ruolo della fisarmonica in questi tempi.
Nell’arco del tuo percorso professionale sei brillantemente passato dal banco alla cattedra. Infatti, oltre a essere stato docente presso numerosi conservatori, da vent’anni sei titolare della cattedra di fisarmonica del conservatorio “Gioachino Rossini” di Pesaro. Soprattutto in questi vent’anni di docenza a Pesaro, hai formato giovani fisarmonicisti che oggi si sono affermati in ambito nazionale e internazionale?
Sono onorato di essere il titolare della cattedra di fisarmonica del Conservatorio “Gioachino Rossini” di Pesaro, prima cattedra italiana a essere istituita nel 1984 e affidata al M° Sergio Scappini, dapprima come corso straordinario e infine, dal 1992, come corso ordinario. Dal 2002 gli sono subentrato, quindi ad oggi sono vent’anni che opero in questo istituto. Sono tanti gli allievi che hanno compiuto gli studi sotto la mia guida. Di loro ho ricordi piacevolissimi, sia per le soddisfazioni in termini di risultato artistico, sia per averli potuti conoscere dal punto di vista umano: ragazzi splendidi! Molti sono rimasti legati affettivamente a me e ai loro compagni di studi, quindi ci si rivede in occasione di masterclass, di corsi o di incontri conviviali. Penso che la soddisfazione di un docente sia quella di sapere che gli sforzi compiuti dagli studenti per giungere al titolo di studio non siano stati vani, ma li abbiano portati a concretizzare i loro sogni, le loro ambizioni, facendone della fisarmonica il proprio lavoro. Questo per me ha avuto e ha una funzione di enorme stimolo nel proseguire nel mio operato. Senza fare la lista dei nomi, posso dire che la maggior parte dei diplomati che hanno studiato con me si sono affermati soprattutto come didatti nell’ambito delle scuole di vario grado, dalle scuole medie a indirizzo musicale, ai licei musicali e al conservatorio. Altri, oltre alla docenza, svolgono in parallelo la carriera concertistica in vari ambiti. Direi che il resoconto di tutti questi anni è positivo.
Dal 2003, sei direttore dell’Orchestra di Fisarmoniche Bellinzonesi. In Svizzera, segnatamente nel Canton Ticino, la fisarmonica è uno strumento che gode di particolare considerazione in svariati generi musicali?
Certamente. La fisarmonica può affrontare qualsiasi genere di musica, per cui sta nella scelta di chi dirige trovare il giusto repertorio che sappia valorizzare sia lo strumento sia gli stessi musicisti. Un repertorio che dia soddisfazioni a chi esegue e a chi ascolta. Non è facile, ma se l’orchestra prosegue il suo cammino fin dal lontano 1966 significa che sia i miei predecessori, che io, abbiamo visto giusto sulla scelta dei brani da proporre. La varietà del repertorio è senz’altro un’arma vincente per la longevità di un simile gruppo. A mio avviso, una trascrizione o un arrangiamento, perché è di questo che si compone la maggior parte del repertorio dell’orchestra, non deve mai far rimpiangere l’originale. Il segreto sta lì. Elaborare eccessivamente snaturando l’essenza del brano è talvolta solo un esercizio per tentare di valorizzare sé stesso e non le peculiarità della composizione.
Sia nelle vesti di direttore, che come solista, ma anche in formazioni più ridotte, hai tenuto concerti in giro per tutta Europa in sedi di assoluto prestigio. Dal punto di vista squisitamente culturale, sotto l’aspetto della conoscenza della fisarmonica e del repertorio proposto, in quale Paese hai notato maggiori riscontri da parte del pubblico?
Non saprei. In qualsiasi posto tu possa fare concerti, la fisarmonica gode di un apprezzamento particolare da parte di tutti, dal semplice ascoltatore al musicista professionista presente in sala. Desta stupore, sempre! Sarà perché nell’immaginario collettivo la fisarmonica è sovente legata al modo della musica popolare, dunque quando si propongono altri generi musicali sorprende, sarà perché il suo suono suscita emozioni e sensazioni, sarà perché molti non si aspettano un simile repertorio. Sta di fatto che in ogni luogo abbia frequentato da concertista ho sempre avuto riscontri positivi.
Hai effettuano una pletora di pubblicazioni per fisarmonica con case editrici del calibro di Rugginenti, Berbèn, Eridania, Physa e Ame-Lyss. A grandi linee, che tipo di argomenti trattano questi tuoi testi didattici?
Se mi sono approcciato alla stesura di testi didattici, l’ho fatto per cercare di contribuire a colmare quel vuoto che qualche anno fa era particolarmente evidente. Tanto repertorio solistico, ma poca attenzione alla formazione, soprattutto quella legata all’uso dei bassi sciolti. Da qui, alcuni testi scritti da solo, altri in collaborazione con amici fisarmonicisti come Sergio Scappini e Mario Milani. Alcuni libri hanno come argomento la cosiddetta “tecnica pura”: “Le Scale” (ed. Rugginenti), gli “Arpeggi e gli Accordi” (ed. Rugginenti), “Esercizi per l’Articolazione” vol. I e II (ed. Berbèn). Una serie di testi è dedicata agli studi formativi: “17 Studi per Fisarmonica” (ed. Berbèn), “Dieci Studi da Concerto su Tema Russo” (ed. Physa). Un testo è legato all’approccio polifonico dove ne ho curato la parte tecnica. Si tratta dei “Canoni per Fisarmonica” (ed. Physa) del compositore e pianista Alberto Magagni. Inoltre, presso le case editrici Ame Lyss (CH), Berbèn ed Eridania, ho pubblicato alcune trascrizioni per “Fisarmonica Sola” e per orchestra di fisarmoniche.
Focalizzando l’attenzione proprio sulla fisarmonica, che modello utilizzi attualmente in studio di registrazione e dal vivo?
Attualmente uso una fisarmonica modello “Nòva” della ditta Pigini, con manuale destro a pianoforte e sinistro per terze minori sistema italiano.
Con il Quartetto di Fisarmoniche Hans Brehme, sei stato ospite in programmi su Rai 3, Rete 4, Rai Radio 3 Suite, Radio Svizzera Italiana e in trasmissioni per la televisione della Svizzera italiana. Sul piano dell’esposizione mediatica, quanti benefici hai tratto da queste importanti esperienze?
Sono passati parecchi anni da quell’esperienza che ricordo con grande nostalgia, venticinque anni non sono pochi. I componenti di quel quartetto, Mario Milani, Anna Uccelli e Roberto Sgaria, li considero come fratelli, magari ci si vede occasionalmente, ma il piacere è sempre grande. L’idea comune di quel gruppo fu quella di operare affinché la fisarmonica si potesse inserire in contesti che esulavano dalle rassegne o dai circuiti dedicati all’accordion. Con oltre cinquecento concerti, riuscimmo a calcare le scene di importanti teatri in prestigiose stagioni concertistiche, al fianco di nomi in cartellone di tutto rispetto come Bruno Canino, Salvatore Accardo, Uto Ughi e molti altri – e di essere stati ospiti in molte trasmissioni televisive e radiofoniche. Questo modo di considerare la fisarmonica è stato, ed è ancora oggi, il mio personale pensiero: questo strumento si può esporre mediaticamente con maggior forza e incisività solo se esce dall’ambiente prettamente fisarmonicistico, spesso chiuso e avviluppato in sé stesso.
Hai registrato tre dischi per la M.A.P. di Milano e un album di composizioni firmate da Astor Piazzolla per la Radio Svizzera Italiana, pubblicato dalla Dynamic. Inoltre, hai inciso un CD con il Quartetto Se.Go.Vi.O. che prevede un repertorio di autori sudamericani come Pujol, Marquez e Piazzolla. Dal lato tecnico e interpretativo, quali sono le analogie e quali le differenze sostanziali fra questi dischi?
Con il quartetto di fisarmoniche Hans Brehme facemmo quattro progetti abbastanza distinti tra loro. La prima registrazione risale alla fine degli anni Ottanta ed era formata da un repertorio antologico composto da brani originali per ensemble di fisarmoniche, come V. Motov Vozle Rechki, Vozle Most, Rudolph Wurthner Mattino in Montagna, Mátyás Seiber Suite Irlandese, Felice Fugazza Scherzo e trascrizioni quali Gioachino Rossini Ouverture da Il Signor Bruschino, Johann Strauss Tritsch Tratsch (Polka Schnell), Aram Il’ič Chačaturjan La Danza delle Sciabole e molti altri. La seconda registrazione effettuata nei primi anni Novanta, dal carattere più serioso, Mátyás Seiber Preludio e Fuga in La min. nello stile di Buxtehude, Johann Sebastian Bach Passacaglia e Tema Fugato BWV 582, Václav Trojan La Cattedrale Distrutta (elaborazione Mario Milani), Hans Brehme Ballet-Suite, Sergio Scappini Improvvisazione Quattro. A seguire due altre registrazioni di carattere completamente diverso, la prima formata da brani di genere contemporaneo scritti e dedicati al gruppo da vari compositori: Emanuela Angela Ballio, Roberta Silvestrini, Paolo Tortiglione, Sergio Scappini, Alberto Magagni, Paolo Colombo. La seconda, incisa presso gli studi della Radio della Svizzera italiana, dedicata interamente ad Astor Piazzolla. Con il quartetto Se.Go.Vi.O (Seminara – chitarra, Gori – flauto, Vignani – fisarmonica, Oglina – clarinetto), la registrazione è interamente dedicata alla musica sudamericana. I brani presenti sono tutti miei arrangiamenti.
Per quel che riguarda il futuro, hai in mente nuovi progetti a breve?
Ho molti progetti nel cassetto, ad esempio quello di registrare ancora qualche brano con il quartetto Se.Go.Vi.O che è in attività da ormai dieci anni con un nutrito numero di brani non ancora incisi, ma i ruoli che rivesto in qualità di docente al conservatorio di Pesaro, direttore della scuola di musica “Arturo Toscanini” di Verbania, direttore dell’Orchestra di Fisarmoniche Bellinzonesi, oltre all’attività concertistica, sono impegni che sommati, ahimè, non lasciano molto spazio ad altro.
(Foto di Enzo Franza)