Le nuove frontiere della fisarmonica
Simone Zanchini al PIF 2025 con un "insolito" concerto
Alla vigilia dell’apertura del PIF, intervistiamo uno dei fisarmonicisti di casa nostra più conosciuti e apprezzati anche fuori dai confini italici. Di Simone Zanchini abbiamo già parlato diffusamente in altre circostanze, ma quello che presenterà in occasione della 50^ edizione del Premio Internazionale della Fisarmonica di Castelfidardo è un progetto… insolito, come lo definisce il “visionario” artista romagnolo. E che merita attenzione. Buona lettura!
Sei oramai un habitué delle pagine di questo giornale, pertanto, non andremo a rispolverare le tue origini musicali e le tue molteplici esperienze passate… Una cosa, però, ci intriga in maniera particolare: sarai uno dei prossimi ospiti (illustri) del PIF e, questa volta, con un progetto diverso dagli altri. Ce ne vuoi parlare?
Sì, il progetto, oltre che diverso, direi che è anche un progetto piuttosto insolito, nel senso che nella storia dello strumento ci sono stati veramente pochissimi esempi della fisarmonica in big band. Così, adesso, al momento, mi viene in mente un disco di Art Van Damme del 1964 che si chiamava Septet: The New Sound Of Art Van Damme dell’Art Van Damme Septet (settetto), che in realtà non era però una big band, ma era il suo quartetto più un trio di fiati (con flicorno, sax baritono…) che suonava un po’ come una big band, però era il ‘64 e lui è sempre stato un pioniere. A parte questo, esiste un disco di Richard Galliano del 2009, che si chiama Ten Years Ago, con la Brussels Jazz Orchestra, che, effettivamente, è una big band vera e propria, con lui solista, e poi c’è il mio disco che si chiama NINO, registrato con la HR Big band, la big band nazionale tedesca di Frankfurt e questo è quello che ricordo. Poi ci sarà sicuramente qualcos’altro, ma veramente sono rarissimi gli esempi nella storia. Attenzione, parliamo della fisarmonica solista con big band perché, invece, la fisarmonica inserita come strumento all’interno della big band in sezione non esiste proprio per nulla dal dopoguerra a oggi, mentre prima, negli anni Venti e Trenta, c’era eccome! La fisarmonica era parte nelle orchestre come strumento di sezione. Un esempio su tutti è quello del grande Ernie Felice con l’orchestra di Benny Goodman. Ci sono altri esempi di quegli anni lì, ma dal dopoguerra in poi non si è più vista la fisarmonica in big band, a parte, appunto, questi pochi esempi di fisarmonica solista con la big band. Quindi, perché questo progetto? Perché è qualcosa di sicuramente originale, e poi perché per me si realizza proprio un sogno, nel senso che erano diversi anni che pensavo ad un progetto di questo tipo: un progetto dove suonare anche musiche mie, brani miei, che sarà quello che succederà a Castelfidardo. NINO è stato un bellissimo disco con la Frankfurt Jazz big band, ma quello era un disco dedicato a Nino Rota; invece, in questa occasione, tra gli altri, suonerò anche brani di mia composizione. Questo sogno era nel cassetto e quale migliore occasione del Festival della Fisarmonica di Castelfidardo, il festival sicuramente più importante al mondo dedicato a questo strumento? Quest’anno compie cinquant’anni, quindi è proprio una grande occasione, sono molto emozionato per questo e, tra l’altro, il concerto sarà registrato in forma audio e video in maniera professionale; poi vedremo se realizzarne un disco o un DVD, questo lo capiremo più avanti. Non sarà solo un semplice concerto: rimarrà sicuramente impresso come ricordo anche di questo cinquantesimo anniversario.
Ci sono stati pochi esempi di fisarmonica in big band come solista per varie ragioni: intanto perché la big band è un organico grande, (noi saremo in venti sul palco) a Castelfidardo, quindi l’organico è impegnativo da tutti i punti di vista e, ovviamente, anche da quello economico, ma anche perché la fisarmonica, al contrario di quello che molti credono, è uno strumento, che, dal punto di vista sonoro, è debole, è uno strumento delicato, uno strumento che non non regge il confronto con un sax tenore o una tromba solisti, figuriamoci a metterla nel ruolo di solista con dietro una big band che di trombe ne ha cinque, di sassofoni ne ha cinque, di tromboni ne ha cinque… è chiaro che sarebbe una guerra impari. Quindi, se gli arrangiamenti non sono veramente ben fatti e orchestrati dal punto di vista dell’organico sonoro, il rischio è che poi lo strumento soffra, che non si senta bene, non esca bene. Noi, con questo concerto “La fisa in Big Band” penso che abbiamo fatto un bel lavoro di ri-arrangiamento e, oltre ai brani miei, arrangiati da Fabio Petretti, che sarà anche il direttore dell’orchestra, suoneremo, in prima assoluta in Italia, il Concerto n. 1 in RE minore per clavicembalo e orchestra BWV 1052 di Bach, in una versione jazz per fisarmonica e big band: un arrangiamento stupendo, di un musicista inglese, che si chiama Callum Au. Dunque, repertorio originale, progetto originale, la fisarmonica in big band, già di per sé, è una formazione originale… direi che sarà una bellissima serata e spero che questo sarà l’inizio di un progetto da portare avanti con, magari, un disco, un DVD e altri concerti.
Hai portato la fisarmonica sul palco condividendo la scena con tantissimi musicisti di diversa estrazione. Credi davvero che questo strumento abbia valicato tutti i confini? Ci sono ancora, in termini musicali, delle frontiere da esplorare?
No, direi che non solo lo strumento non ha marcato tutti i confini, ma ci sono ancora tantissimi territori da esplorare. La fisarmonica è uno strumento ancora tutto da scoprire, da utilizzare, il ventaglio espressivo della fisarmonica secondo me è ancora troppo poco esplorato. I fisarmonicisti bravi oggi, anche di jazz, ovviamente parliamo di questo, ce ne sono diversi: sta emergendo anche tutta una nuova generazione che suona molto il linguaggio più mainstream, bebop, ci sono degli esempi, anche italiani (pochi, ma ci sono). Però, per esempio, dal punto di vista sonoro, della cura del suono (sempre riferito al jazz), lo strumento è ancora troppo poco approfondito, troppo poco esplorato, troppo poco curato, manca la cura del suono per i fisarmonicisti. Questo è l’esempio di un ingrediente fondamentale della musica: il suono, che ancora deve essere esplorato sullo strumento. Ripeto, ci sono bravissimi fisarmonicisti, oggi, ma quelli che curano il suono, che hanno un suono bello, sono molto pochi. Se poi andiamo a vedere le formazioni, le combinazioni, le possibilità di usare la fisarmonica in ensemble particolari, in ensemble dove si accosta con altri strumenti appartenenti anche a mondi diversi, quelli del rock, dell’elettronica, ci sono veramente pochissimi esempi ancora oggi. Dunque da esplorare c’è ancora tantissimo, secondo me. Del resto, lo strumento è giovane: la fisarmonica è lo strumento acustico più giovane della storia della musica, è uno strumento che è entrato nei conservatori solo nel 1992, prima non era nemmeno considerata uno strumento accademico. Voglio dire, la storia la stiamo facendo adesso, la stiamo costruendo noi in questi decenni e ci vorranno ancora altri decenni perché lo strumento possa avere veramente un posto di rilievo. Per esempio, il mio sogno sarebbe vedere la fisarmonica in big band come una cosa normale, consolidata, e invece oggi questa formazione è un esempio rarissimo. Ci sono tante frontiere da esplorare, sia dal punto di vista sonoro, sia dal punto di vista degli organici, delle formazioni orchestrali ecc.
Ma, del resto, lo strumento è giovane, quindi diamoci il tempo che ci serve.
Come giudichi il tuo modo di fare jazz? Ti ritieni un purista del genere o subisci l’influenza di altri stili?
Chi mi segue un po’ lo sa, io sono un fisarmonicista che ha frequentato mondi musicali molto diversi tra loro, e sono stato anche uno dei primi, una sorta di pioniere, a fare certe cose con la fisarmonica: mi viene in mente l’accostamento di una fisarmonica midi con l’elettronica nel disco Better Alone..!, o il disco di standard col grande Frank Marocco nel 2006, che penso sia il primo esempio di album dedicato al bebop, di due fisarmoniche. Insomma, ci sono state delle “porticine” che nel mio piccolo sono riuscito ad aprire. Di base, io sono un grande amante del jazz d’oltreoceano: i miei due grandi maestri sono stati Art Van Damme e Frank Marocco e ho avuto la fortuna di conoscerli entrambi. Con Art Van Damme, ho avuto l’occasione di suonare in jam session, Ricordo che aveva una grande stima di me, purtroppo era già troppo anziano per registrarci un disco, mentre con Frank, più giovane, era ancora possibile. Dopo il disco abbiamo fatto diversi tour: Frank era un po come il mio “zio buono”, il mio guru, che mi ha portato sotto la propria ala protettiva. Io ero giovane e con lui ho avuto l’occasione di crescere musicalmente oltre che suonare tanto. Per me, gli esempi della grande scuola del jazz sono questi, sono quelli d’oltreoceano, del jazz afro-americano. Lo stile europeo mi interessa meno, i musicisti europei, per quanto bravissimi, mi affascinano di meno. Io parto dalla radice del jazz, come punto di partenza, però poi posso dire di essere tutt’altro che un musicista purista, sono uno che mescola le carte, proprio perché ho avuto l’occasione di frequentare linguaggi musicali molto diversi tra loro: ho iniziato da bambino con il folklore, poi ho fatto approfonditi studi classici, sono stato uno dei primi diplomati in fisarmonica in Italia, nel 1998, ho frequentato tantissimo jazz, ho frequentato tantissimi musicisti stranieri, soprattutto balcanici e sudamericani. Quindi per me, oggi, essere un jazzista vuol dire mescolare tutti questi mondi sonori, a cominciare dalla mia radice popolare, fino alle cose più estreme, più di ricerca, più di avanguardia, però di base rimango un grande appassionato di jazz, oserei dire non tradizionale, ma comunque mainstream.
Infatti, il concerto di Castelfidardo mescolerà tutti questi mondi, il concerto di Bach, per esempio, è la musica barocca accostata al jazz, ad una big band jazz, quindi proprio un accostamento fortissimo di mondi, solo apparentemente lontani.
C’è un musicista che, più di altri, ha forgiato la tua sensibilità artistica?
I musicisti che mi hanno formato, che mi hanno colpito sono stati tantissimi, sarebbe troppo lunga adesso qui fare degli esempi. Da ragazzo, per me, la grande scuola è stata quella del bebop: Charlie Parker, Dizzy Gillespie, i grandi maestri americani del bebop, dell’hard bop. Poi, dopo, crescendo, mi sono formato col suono di musicisti geniali come Keith Jarrett, musicisti che sono andati oltre la musica. A me interessano i musicisti che vanno oltre la musica, mi interessano i musicisti che vanno oltre lo strumento. Il problema dei fisarmonicisti, e questo è un problema che io ancora oggi denoto anche se piano piano comincia a diminuire, è che sono troppo fisarmonicisti! anche quelli bravissimi. A me interessano i musicisti che usano la fisarmonica, i musicisti che suonano la fisarmonica, non i fisarmonicisti: tra essere fisarmonicista ed essere un musicista che suona la fisarmonica c’è una grande differenza! A me interessano i musicisti che usano lo strumento in senso musicale generale, i musicisti che hanno portato il proprio strumento oltre il repertorio dello strumento stesso: Keith Jarrett è sicuramente un esempio, da questo punto di vista. Ecco, i riferimenti sono questi per me. Io sono un fisarmonicista atipico. Quando ho cominciamo a studiare io non c’era la possibilità di ascoltare i fisarmonicisti jazz, a parte gli americani, quelli che ho citato già (Van Damme, Marocco e pochi altri): Astor Piazzolla non era ancora arrivato in Europa, Richard Galliano non esisteva. Negli anni Ottanta, quando io ho cominciato a cercare, a studiare, non c’era nulla di questo tipo. Quindi la mia fatica, ma anche la mia fortuna, è stata quella di studiare con un pianista l’armonia jazz, il linguaggio, e poi li ho trasferiti autonomamente sulla fisarmonica. Questa cosa, unita al fatto che mi hanno sempre interessato i musicisti, più che i fisarmonicisti, mi ha dato la possibilità di crearmi, forse, un mio stile, di trovare una mia strada personale. Quello che sento, che manca un po’ ancora oggi è, appunto, oltre alla cura del suono che citavo all’inizio, proprio questo aspetto: fisarmonicisti che abbiano ascoltato e studiato tanta musica in senso generale, che abbiano dei riferimenti che non siano solo fisarmonicistici.
Louis Armstrong, Duke Ellington, Miles Davis, Charlie Parker… sono solo alcune delle figure leggendarie del jazz, quelli che hanno segnato un percorso e che hanno indicato la via per le generazioni future. Scrutando l’orizzonte, ci sono, allo stato attuale, dei musicisti che possono essere lontanamente paragonati a questi grandi del passato? E quanto è cambiato il modo di fare jazz dall’inizio del XX secolo?
Il jazz penso che sia la musica in assoluto che si è bruciata nel più breve tempo possibile nella storia della musica: voglio dire, il jazz in cento anni, si è bruciato, ha fatto un percorso ed è ritornato da capo. Basta pensare che nei primi anni Dieci, Venti, iniziavano a comparire le prime dixieland jazz band e, già negli anni Sessanta, Ornette Coleman registrava l’album Free Jazz, dove rompeva tutte le strutture, dove rompeva tutti gli schemi, destrutturava completamente il senso del quartetto con pianoforte, contrabbasso, batteria, … Il jazz è una musica che è andata a una velocità incredibile. Miles Davis già negli anni Settanta, i Weather Report, i Zawinul Syndicate mescolavano il jazz con il rock. Il jazz è stata la musica più veloce della storia, sicuramente. Quindi, certamente, il modo di fare jazz è cambiato, ma cambiava ogni cinque o dieci anni. Ora, cosa riserva il futuro io non lo so, ma quello che mi auguro è che la fisarmonica, andando avanti, abbia sempre più spazio, abbia sempre più possibilità di esprimersi, sia in formazioni classiche, di jazz tradizionale, ma anche e soprattutto in formazioni originali, dove vengono mescolati i generi, dove vengono sperimentate delle forme di fisarmonica, anche con l’uso dell’elettronica. Attenzione non sto parlando di fisarmoniche digitali, io le fisarmoniche digitali le disprezzo, non hanno assolutamente un livello accettabile di suono: anche questo è un altro esempio di crescita necessaria, che speriamo nei prossimi decenni succederà. Mi auguro che la fisarmonica, in futuro, abbia sempre più spazio in questo senso. Io, nel mio piccolo, cerco di fare progetti spesso particolari, creativi, o comunque dove la fisarmonica abbia una collocazione nuova o poco frequentata, come l’esempio della fisarmonica in big band del concerto di Castelfidardo.
Che consigli dai a un fisarmonicista che si avvicina a questo genere musicale?
Il consiglio che posso dare a un fisarmonicista che voglia approcciare il jazz, che voglia approfondire in maniera seria questo genere musicale, è, ovviamente, che l’aspetto tecnico dev’essere assolutamente messo da parte, nel senso che dev’essere un fattore già acquisito, assimilato, consapevolizzato. Quando suoni jazz, quando improvvisi, non devi avere il pensiero dell’aspetto tecnico strumentale, per poter lasciare spazio alla creatività, alla creazione estemporanea; la velocità cervello-dita dev’essere immediata, senza alcun tipo di ostacolo dal punto di vista tecnico. Per quanto riguarda lo studio potrei dire tantissime cose ai giovani, ma, almeno due, sono alla base di tutto. Uno: curate il suono, pensate al suono che volete tirar fuori dal vostro strumento, perché il suono non lo fa solo la fisarmonica, per quanto ben costruita, ma il suono è nella testa di chi suona. Due: se volete fare i jazzisti, ascoltate i jazzisti, la grande scuola, i grandi maestri del bebop, dell’hard bop, i grandi maestri afroamericani che sono stati coloro che hanno inventato questa musica, studiateli, trascrivetene i soli, studiate l’armonia, ma ascoltate loro e non solamente quei pochi esempi di fisarmonicisti che ci sono.
Hai mai provato a immaginarti in una storia diversa da questa? Chi sarebbe stato Simone Zanchini senza una fisarmonica? Qual è il valore aggiunto che questo strumento ha portato nella tua esistenza?
Domanda molto interessante questa, chissà chi sarei stato se non fossi stato un fisarmonicista… Intanto, è chiaro che la fisarmonica ha condizionato la mia vita ma, più che la fisarmonica, direi la musica in senso generale, che chiaramente non è solo un lavoro, ma è tutta la mia esistenza: anche perché io sono un musicista che ha sempre fatto una propria ricerca molto personale, per scelta non insegno, non frequento le accademie, non per snobismo, ma perché non ho tempo, faccio il concertista a tempo pieno e, se ho del tempo libero preferisco studiare, studiare per me, perché mi sento un musicista che ancora vuole esplorare e crescere.
Se proprio ho del tempo libero, io faccio tutt’altro, ho delle grandi passioni oltre alla musica: sono un motociclista, un Biker, ho due Harley-Davidson, che uso per i miei viaggi o per i miei giri, sono un grande appassionato di moto, di paesaggi, di valichi di Appennino, sono un appassionato di natura, vivo isolato in una casa in un bosco e quindi, ecco, diciamo che se dovessi immaginare (cosa alquanto difficile) Simone Zanchini senza la musica e senza la fisarmonica, probabilmente sarei un tagliaboschi, un contadino che taglia la legna nei boschi, che commercia la legna, fa l’agricoltore col suo trattore cingolato (cosa che peraltro faccio d’inverno, quando ho dei momenti liberi, degli spazi liberi un po’ più lunghi). Ho un podere con degli attrezzi, ho un trattore cingolato, ho tre motoseghe professionali, vado nel mio podere, taglio la legna per l’inverno, sto nel bosco, respiro l’aria buona e sto in mezzo alla natura. Ecco, l’unica alternativa che potrei vedere di Simone Zanchini senza musica e senza fisarmonica, sarebbe questa.
Il prossimo step?
Il prossimo step è sicuramente quello di fare una bella performance il 12 settembre a Castelfidardo con un programma particolarmente complesso, a partire dal concerto di Bach e il suo arrangiamento strepitoso, molto impegnativo per la fisarmonica, ma anche per l’orchestra. Il concerto, come dicevo, sarà registrato da un mio fonico di fiducia, Raffaele Bassetti, anche in formato video, nella prospettiva di pubblicare un CD. In futuro, ci sono molte cose in programma, soprattutto nella testa, perché, devo dire, io sono uno di quei musicisti che non sta sempre sul pezzo, ho tanti hobby da coltivare e la musica, pur essendo la mia grande passione, non ruba tutte le mie attenzioni. Non mi sono dato scadenze immediate, ma in cantiere c’è la prospettiva di rifare un disco in SOLO; ne ho registrati altri due in precedenza, ma sono passati parecchi anni. Un altro progetto che mi fuma nella testa è quello di una seconda versione della musica di Romagna, quella delle mie radici, in versione jazz. Il primo disco si chiama CASADEI SECONDO me, questa volta però, vorrei allargare il repertorio non solo ai brani di Secondo Casadei, ma anche a quelli di compositori di musica romagnola più in generale, in una pubblicazione che mi piacerebbe intitolare Romagna nello spazio. Queste sono un po’ le idee, poi vedremo cosa mi riserverà il futuro…