Natalino Marchetti: libertà e forza espressiva

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Natalino MarchettiFisarmonicista dal lirismo sopraffino, dal fraseggio torrenziale, Natalino Marchetti è un musicista particolarmente intraprendente che ha scoperto la passione per il jazz dopo aver effettuato gli studi riguardanti la musica classica. Attraverso questa amena chiacchierata si racconta umanamente e artisticamente.

Quando è sbocciato l’amore per la musica?

L’amore per la musica è sbocciato molto presto, precisamente all’età di otto anni. Ero solo un bambino, ma già sentivo la voglia di giocare con i suoni, di creare ed emozionarmi. Esattamente quello che provo anche oggi. Le competenze sono cambiate e maturate, ma l’approccio alla musica, nella sostanza, è rimasto lo stesso.

Come hai scoperto la passione per la fisarmonica?

In realtà, al mio primo giorno di lezione, suonai il pianoforte. Non smetterò mai di ringraziare mia madre, che mi “obbligò” a suonare la fisarmonica, perché le ricordava lo strumento che suonava mio nonno, ossia l’organetto. Mai scelta fu così azzeccata per il mio carattere, la mia personalità e il mio modo fisico di vivere la musica.

Che tipo di percorso hai intrapreso per quanto concerne lo studio di questo strumento?

Il percorso è stato molto accidentato e tortuoso. Quando iniziai a studiare la fisarmonica c’era ancora molta confusione sull’atteggiamento da adottare nei confronti dello strumento. Non si sapeva nemmeno se il titolo accademico valesse a tutti gli effetti oppure no. Quindi, dopo svariati anni di lezioni private, il mio primo insegnante mi consigliò vivamente di dedicarmi al pianoforte, perché a suo avviso non avrei avuto futuro nella musica come professionista. Successivamente ho frequentato gli anni accademici dedicati allo studio della musica classica, del pianoforte, del contrappunto, dell’armonia, della direzione di coro, della didattica e i conseguenti titoli. Nel frattempo non ho mai smesso di suonare e studiare la fisarmonica da autodidatta. Riversavo su questo strumento tutto quello che stavo imparando sulla tecnica tastieristica, sull’interpretazione, sulla musica da camera e tutto ciò riguardante la formazione accademica più seria e rigorosa.

Quali sono, nello specifico, tutte le caratteristiche tecniche della fisarmonica?

A dire il vero non amo parlare molto delle specifiche tecniche del mio strumento. In primo luogo, perché ritengo che sia un discorso prettamente da ambiente fisarmonicistico in senso stretto, quasi riduttivo, in secondo luogo sento di avere una profonda conoscenza del mio strumento, ma indissolubilmente legata al discorso musicale. Posso asserire, però, senza tema di smentita, che la grande risorsa della fisarmonica stia nell’azione combinata del mantice con i manuali. Il primo è fonte inesauribile di colori, sfumature, accenti, ritmo ed espressività, mentre i secondi permettono soluzioni tecniche e digitali ai limiti delle possibilità umane. Nessuno strumento, eccetto la fisarmonica, può fare tanto.

La fisarmonica, nell’immaginario collettivo, è uno strumento popolare legato indissolubilmente alla musica folk. Tu, invece, hai maturato svariate esperienze come fisarmonicista jazz. Perché hai deciso di cimentarti con questo genere musicale?

Imparare la musica veramente, conoscere in maniera pratica ed immediata tutta la materia musicale e suonare liberamente quello che sentivo: queste sono state le motivazioni principali. Grazie alle associazioni mentali libere ed estemporanee, solo la musica improvvisata può darmi tutta la libertà e la forza espressiva di cui ho bisogno.

Dal tuo punto di vista, come mai la fisarmonica è stata sempre sottovalutata nella musica jazz?

Penso che si tratti di un fattore culturale legato all’assimilazione degli idiomi musicali. Se ascolto il suono e il fraseggio di un sax, la mia memoria uditiva ed emotiva mi riporta alle migliaia di registrazioni ascoltate e interiorizzate anche involontariamente. È altamente probabile che la maggior parte di questi ascolti sia di impronta jazzistica. Lo stesso, secondo me, si potrebbe affermare per molti altri strumenti che nel jazz, notoriamente, hanno trovato una felice realizzazione. La fisarmonica si è diffusa in un ambiente socioculturale dove questo genere musicale è praticamente sconosciuto. Ecco perché nell’immaginario collettivo, difficilmente, si identifica questo strumento con il jazz. Altri motivi, più di carattere tecnico-musicale, che non antropomusicologico, potrebbero essere la difficile gestione dei voicing nella mano sinistra (bassi standard), una corretta armonizzazione che utilizzi Drop2 nella destra, un’efficace resa ritmica nei vari andamenti medium, fast e così via e la realizzazione di un adeguato walking bass unitamente ad altre questioni tecniche.

Oltre a essere un ottimo fisarmonicista, sei un elegante compositore. Quanta importanza assume la composizione nella tua vita artistica?

È semplicemente fondamentale e prioritaria. Che senso avrebbe, nel mondo odierno, limitarsi a eseguire musiche altrui? Per me nessuno, ai fini dell’espressione di una propria testimonianza vitale.

Quali sono le maggiori fonti d’ispirazione che nutrono la tua vena compositiva?

Arte e vita sono due facce della stessa medaglia. Per chi come me vive a stretto contatto con la musica, o si fa esso stesso musica, la fonte di ispirazione primaria rimane la vita stessa con i suoi incredibili “piccoli miracoli quotidiani”.

Chi è il compositore che ammiri di più?

Sulla terra sono passati geni incredibili e personalità straordinarie. Ognuno, a suo modo, ha contribuito all’evoluzione della specie umana. Solo per un mio particolare modo di vivere la vita e gli accadimenti dico Beethoven. Se paradossalmente si perdesse tutta l’esperienza musicale basterebbe, secondo me, la Sinfonia n.9 op. 125 per recuperare il 70%.

Hai in mente nuovi progetti discografici per l’imminente futuro?

C’è un progetto molto ambizioso, ancora in cantiere, con un grande nome del jazz internazionale, però preferisco non anticipare niente. Il motivo è semplice: si chiama scaramanzia!